I SENTIERI DELLA GLORIA: IN VIAGGIO CON MARIO MONICELLI
SUI LUOGHI DELLA GRANDE GUERRA di Gloria De Antoni (2005-2011)

Film documentario di Gloria De Antoni con la collaborazione di Oreste De Fornari; una produzione della Cineteca del Friuli.
Consulenza di Carlo Garbescek e Livio Jacob; con la partecipazione straordinaria di Mario Garbuglia.
Produttore esecutivo: Livio Jacob; fotografia: Roberto Meddi e Marco Monti; montaggio: Letizia Caudullo; operatori: Michele Federico, Ivan Marin, Simone Trezza; organizzazione: Silvia d'Amico Bendicò; assistenza riprese in esterni e premontaggio: Gioia Magrini; fotografo di scena: Paolo Jacob.
Realizzato con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia/Assessorato alle Attività Produttive e della Friuli Venezia Giulia Film Commission/Fondo Regionale per l'Audiovisivo.
Riprese effettuate a Venzone, Gemona del Friuli, Marano Lagunare, Palmanova e sul treno Gemona-Sacile.

Articolo di Carlo Gaberscek

Nel 2005 la Cineteca del Friuli e Gloria De Antoni avevano festeggiato il 90° compleanno di Mario Monicelli con il reportage I sentieri della gloria - In viaggio con Mario Monicelli sui luoghi della grande guerra.
Ora il lavoro è stato rivisto e ampliato, con l'inserimento di preziose sequenze lasciate fuori nella prima versione. La nuova edizione 2011, che ha inaugurato venerdì 24 giugno a Pescara il 38° Flaiano Film Festival, si è arricchita dei ricordi di Furio Scarpelli, Mario Valdemarin e Bruna Parmesan, testimoni eccellenti dell'avventura cinematografica della Grande guerra. Di straordinario interesse anche un brano dello stesso Monicelli riemerso dalla registrazione originale in cui il regista, parlando della vecchiaia, racconta e spiega la sua scelta di stare solo.

Calendario proiezioni 2005

Anteprima nazionale
TORINO: Sala Massimo, Museo Nazionale del Cinema, 20 gennaio 2005
Prime regionali
TRIESTE: Alpe Adria Cinema, 24 gennaio; UDINE: Centro Arti Visive Visionario, 25 gennaio; PORDENONE: Cinemazero, 26 gennaio; GORIZIA, Kinoatelje, 3 febbraio 2005
Altre proiezioni 2005
ROMA: 10 febbraio, Sala Trevi (a cura della Cineteca Nazionale)
CESENA: 30 marzo, Backstage Film Festival
TORINO: 11 aprile, Università di Torino
LERICI (SP): 3 maggio, Cinema Teatro Astoria, ore 21
MILANO: 22 maggio, Spazio Oberdan (a cura della Cineteca Italiana)
UDINE: 27 maggio, Chiesa di San Francesco, nell'ambito delle manifestazioni "Udine da capitale della guerra a capitale della pace"
SPILIMBERGO (PN): 29 maggio, Cinema Castello
PALMANOVA: 30 maggio, Auditorium di San Marco, nell'ambito della mostra sulla Grande Guerra curata dalla Pro Loco
ROMA: 7 giugno nell'ambito del Romadocfest
REGGIO CALABRIA: 16 giugno, nell'ambito del Festival FICC
GENOVA: 27 giugno, nell'ambito del Genova Film Festival
MILANO: 8 luglio, Spazio Oberdan (a cura della Cineteca Italiana)
ROVIGNO (Croazia): 2 agosto, alla serata inaugurale del Festival del Cinema Italiano
GRADO: 5 agosto, nell'ambito della rassegna LagunaMovies
VENZONE: 24 agosto, sotto la loggia del Palazzo Municipale
BOLOGNA: 27 agosto, nell'ambito delle manifestazioni estive del Comune di Bologna alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris
UDINE: 28 settembre, presso Centro Culturale Paolino D'Aquileia, a cura dell'Associazione Pacifico Valussi
SANTENA (TO): 1 ottobre, evento speciale nell'ambito del Monicelli Day al Santena Corto Film Festival
ROMA: 11 novembre, Politecnico Fandango, nell'ambito della rassegna "Dietro lo schermo"


In viaggio con Mario Monicelli e Gloria De Antoni sui luoghi della Grande Guerra
di Carlo Gaberscek
Mario Monicelli ritorna in Friuli sui luoghi della sua Grande Guerra in un documentario-inchiesta di cui è autrice Gloria De Antoni, prodotto dalla Cineteca del Friuli, con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Assessorato alle Attività Produttive, e Friuli Venezia Giulia Film Commission, Fondo Regionale per l'Audiovisivo, realizzato all'inizio del mese di luglio del 2004.
La grande guerra , diretto da Mario Monicelli a Venzone, Sella Sant'Agnese (sopra Ospedaletto), Palmanova e Nespoledo di Lestizza dal 25 maggio a metà giugno del 1959, seguito con molto interesse dalla stampa locale dell'epoca, è un'opera cinematografica ed un evento rimasto sempre vivo nella memoria dei friulani. Un ritorno dunque, quarantacinque anni dopo, e un confronto del regista con i luoghi e la gente che fu coinvolta nella lavorazione del film. Una rimpatriata motivata - tra l'altro - da una coincidenza di anniversari: novant'anni fa l'Italia entrò in guerra e pochi giorni prima (il 16 maggio 1915) nacque a Viareggio Mario Monicelli.
La fotografia di questo documentario (della durata di 42' e 50”) è di Roberto Meddi e Marco Monti, con la collaborazione degli operatori Michele Federico, Ivan Marin e Simone Trezza. Il montaggio è di Letizia Caudullo e l'organizzazione delle riprese di Gioia Magrini. A questo lavoro, il cui produttore esecutivo è Livio Jacob, direttore della Cineteca del Friuli, hanno inoltre collaborato Sara Moranduzzo, Giuliana Puppin, Fulvio Toffoli.
Monicelli ripercorre dunque i luoghi del suo film accompagnato e diretto da una friulana, Gloria De Antoni, nota regista e conduttrice televisiva (Magazine 3, Letti gemelli, Perdenti). Fanno da “cornice” a questo documentario i commenti, le riflessioni, le curiosità, le “lezioni”, le domande, le risposte che Monicelli e la De Antoni si scambiano mentre stanno rivedendo in studio, in fase di montaggio, il materiale girato in Friuli. La prima sequenza di I sentieri della gloria è quella del simpatico e cordiale incontro a Sella Sant'Agnese tra il regista e un personaggio-simbolo del suo film. E' Renzo Fornera, che, allora ventenne, fu reclutato tra la folla dei curiosi che assistevano alle riprese per interpretare il ruolo della spia austriaca che viene fucilata nella celebre sequenza (è la quattordicesima) entrata nella storia del cinema come modello esemplare di piano-sequenza. In tale sequenza, che tanto piacque al regista francese René Clair, il cui autorevole intervento giocò un ruolo importante  nell'assegnazione del Leone d'oro (ex aequo con Il generale della Rovere di Roberto Rossellini) alla Mostra di Venezia nel 1959 (la cerimonia è inserita in questo documentario), si assiste al contemporaneo scorrimento di un'azione in primo piano e di un'altra in secondo piano. Mentre i soldati, inquadrati in primo piano, si concedono una sosta dopo la lunga marcia, sdraiandosi su un rialzo del terreno dietro l'abside della piccola chiesa romanica, si vedono i loro superiori che - più in basso (all'interno di quello che era stato il cortile del monastero femminile annesso alla chiesetta) - stanno discutendo. Quando i soldati (sempre in primo piano) riprendono la marcia, in secondo piano (sul lato nord della chiesetta) ha luogo la fucilazione della spia. Se Monicelli e Fornera, dopo quarantacinque anni, si riconoscono ancora, i due mettono però in evidenza il fatto che l'aspetto del luogo è cambiato. Infatti, come risulta bene anche dal confronto diretto con la sequenza del film che viene inserita in questo punto del documentario, la chiesetta, ricostruita dopo il terremoto del 1976, presenta alcune varianti, in particolare sul lato settentrionale. Il basso casolare (già parte dell'antico monastero e successivamente adibito a stalla) dalla cui porta, nel film, vedevamo uscire la spia austriaca, con le mani legate dietro la schiena, scortata dai soldati, è scomparso o meglio - se vogliamo fare una nota di filologia e archeologia dei set - ne sopravvivono frammenti di muro e i gradini di pietra della porta stessa. Quanto al muro che unisce tale casolare e la chiesetta e un altro muro che (dal casolare) si estendeva in direzione nord, i quali nell'insieme avevano costituito un set “spontaneo” per la sequenza della fucilazione, il primo appare oggi più basso, ridimensionato, e il seconda è scomparso. In maniera molto informale, amichevole e divertente sul lato nord della chiesetta (cioé in direzione di Venzone) si improvvisa un remake di quella fondamentale sequenza, con Renzo Fornera che viene nuovamente “fucilato” e cade colpito dalla troupe di I sentieri della gloria . Se questo estemporaneo rifacimento è all'insegna della commedia, si aggiungono  - naturalmente - note drammatiche. Il cielo di quel primo giorno di riprese (è il pomeriggio del primo luglio) è plumbeo, consono al “livido” bianco e nero della fotografia di Giuseppe Rotunno, che è uno dei pregi di La grande guerra . Infatti, nell'intento di ricreare il tono delle vecchie foto e dei documentari d'epoca, Rotunno cerca di conferire una certa opacità ad ogni inquadratura, per evitare che una “bella fotografia” possa nascondere e compromettere i veri significati - antiretorici - dell'opera di Monicelli. Altro elemento drammatico (ma non tutti se ne accorsero, perché le riprese erano terminate e i vari membri della troupe erano ormai “in libertà”) un rumore sordo, improvviso, un rombo lontano, un boato: una frana sulla parte alta del monte Chiampon, che incombe su Sella Sant'Agnese. Un preannuncio del terremoto che avrebbe colpito pochi giorni dopo la vicina zona di Saga, nell'alta valle dell'Isonzo. Un'evocazione vera, sinistra, di sapore tragico di quelli che sono anche i due motivi fondamentali del nostro documentario: la Grande Guerra, che con volontà di realismo fu ricostruita dal cinema, se non proprio sull'Isonzo, in quelle che furono autentiche retrovie (Sella Sant'Agnese, attraversata anche da una strada militare, si trova infatti ad una ventina di chilometri in linea d'aria dalla valle dell'Isonzo), e il terremoto del 1976. Ad esempio il terremoto viene rievocato da Luigia Chinese (incontrata da Monicelli nella seconda sequenza del documentario), che lavorava nella vecchia filanda di Venzone, situata al di fuori delle mura e al di là del torrente Venzonassa, poi completamente distrutta dal sisma. Nella zona è rimasto solo un toponimo: via dietro Filanda. La signora Chinese, a cui Monicelli non é stato ancora presentato come regista di La grande guerra , dice subito che lì avevano girato un film - Addio alle armi -, rimasto nella memoria dei venzonesi come film mitico per eccellenza, anche perché, come lei ricorda, la produzione americana pagava di più le comparse del luogo. Della vecchia filanda Kechler, poi Burei e poi Piva faceva parte un grande edificio di forma quadrangolare, con ampio cortile interno, portici, grandi vetrate e un'alta ciminiera (che però nel film non viene mai inquadrata) e un altro edificio, più antico, rettangolare (il filatoio) presso il torrente, che all'epoca delle riprese di La grande guerra era già in disuso. Della filanda Monicelli ricorda infatti: “Quando siamo arrivati noi era già mezza crollata”. In questa sequenza del documentario interviene anche l'architetto Mario Garbuglia, che fu scenografo di La grande guerra , ottenendo il Nastro d'Argento alla Mostra di Venezia. Nato a Macerata nel 1927, Garbuglia si affermò dapprima lavorando nel kolossal Guerra e pace (1955) e poi soprattutto con la realizzazione delle scene “magiche”, tutte in interni, di Le notti bianche (1957) di Luchino Visconti, per il quale poi realizza le scenografie e gli arredamenti di Rocco e i suoi fratelli , Il gattopardo , Vaghe stelle dell'Orsa , L'innocente. Garbuglia, che aveva già lavorato a Venzone per Addio alle armi , racconta come per il film di Monicelli riuscì a trasformare un grande stanzone della filanda in una caserma. Il primo ciak del film fu girato proprio lì. Si tratta della sequenza delle reclute che vanno all'assalto del miglior pagliericcio; vi partecipano i protagonisti Vittorio Gassman (Giovanni Busacca), Alberto Sordi (Oreste Jacovacci) e gli altri principali attori: Livio Lorenzon (il sergente Battiferri), Folco Lulli (Giuseppe Bordin), Romolo Valli (il tenente Gallina), Mario Valdemarin (il giovane tenente Loquenzi), Tiberio Murgia (Rosario Nicotra), Nicola Arigliano (Giardina), Ferruccio Amendola (Deconcini), Tiberio Mitri (Mandich).
In studio, Gloria De Antoni coglie l'occasione per chiedere a Monicelli se ha qualche ricordo della grande guerra. “Ricordo mio zio che tornava a casa vestito da militare, ... mio padre che era corrispondente di guerra...andava e veniva...”. Suo padre Tomaso, giornalista e drammaturgo, cognato di Arnoldo Mondadori, era originario di Ostiglia, un borgo agricolo della Bssa Mantovana, sulle rive del Po. Oltre all'attività editoriale e di scrittore, Tomaso Monicelli si occupò anche di cinema, fondando due riviste e lavorando come direttore di produzione alla Novella Film di Milano per La signora di tutti (1934) di Max Ophuls.
In I sentieri della gloria vengono inseriti anche parecchi frammenti di documentari sulla prima guerra mondiale e sul terremoto del 1976. A proposito di alcune affermazione rilasciate da Mario Monicelli sulla stampa locale durante le riprese di questo documentario, Gloria De Antoni osserva: “Però hai detto una frase che non è tanto piaciuta ai friulani: che il Friuli è stato ricostruito bene,... i friulani ancora non abbastanza”. Monicelli risponde: “Non tanto i friulani, no. E' che è cambiata l'atmosfera, perché si vede che è una cosa rifatta, cioé non ha l'autenticità di quando andavamo a girare”. Poi, guardando scorrere immagini di edifici friulani pre-terremoto, precisa: “Erano case come quelle,.. erano case più “diroccate”, più usate, e le strade ugualmente, con dei ciuffi d'erba. Ora è tutto ripulito, tutto rifatto. E' come quando voi donne andate da chi vi rifà. Le cinquantenni che si rifanno come quando avevano trent'anni. Però non è così. Assomigliano alle trentenni, ma non sono quelle. Lo stesso Gemona e Venzone”. Sequenza successiva: accompagnato da Gloria De Antoni, Mario Monicelli, che, come sempre, pronto all'azione, al gusto del fare, si incammina con passo saldo e deciso attraverso via S.Caterina in direzione di Porta San Genesio, dove incontra due anziane venzonesi: Olga Pascolo e Maria Saidero. “Lo riconoscete ?”, chiede Gloria. “Perché dovrebbero riconoscermi ?”, replica con la sua consueta ironia Monicelli. “Interlenghi?”, dice una delle due signore. “Magari fossi Interlenghi ! Ha una decina d'anni, almeno, meno di me ! Quanti anni mi dà ?”. “Settantanove”. “Ne ho dieci di più !”. “E' il regista. E' Monicelli”, dice infine Gloria. Poi la conversazione si sposta verso il tema terremoto. “Cosa è stato peggio: la guerra o il terremoto qua a Venzone?”, chiede la regista-intervistatrice. “E' stato peggio il terremoto, perché mio marito è morto col terremoto e io sono stata sotto tutta la notte. Mi hanno tirata fuori il mattino,... ma sotto sotto...”.
I vari incontri di Monicelli con persone e luoghi vengono inframezzati da scene girate il 4 luglio (una domenica mattina) sul treno della linea Gemona-Sacile, in cui il regista e la De Antoni - nella fiction - ripartono dal Friuli. “Eravamo sul treno. Ti ricordi quel trenino?”, gli dice Gloria, rivedendo insieme in studio quelle scene. “Sì, come no? Quello lì era carino, quel trenino. Ma, funziona ? Non c'era mai nessuno !”. “Funziona, funziona! E' un treno che va da Gemona a Sacile e viceversa, cioé dall'Alto al Basso Friuli”, risponde Gloria. Quando Monicelli, dopo aver ricordato Gemona come una cittadina fredda, tra le montagne, rimarca una sua impressione di “chiusura” dei friulani (“siete chiusi, proprio soffocati !”), Gloria De Antoni cerca di sdrammatizzare invitandolo a raccontare la storia della sua fidanzata di allora, “quella che venne con te durante le riprese di La grande guerra ”. “Sì,. C'erano Gassman, Sordi, ..Sì, lei era venuta a trovarmi. Era il quarto o quinto giorno che stavamo a girare. Eravamo in un albergo, non ricordo che albergo era, a Udine (“l'Albergo Italia”, precisa Gloria). C'era un tavolo dove eravamo noi, riservato. Ad un certo momento - io non c'ero, perché ero andato a lavarmi le mani - è arrivata lei. Ha visto il tavolo dove c'erano gli attori principali. Ha capito che era il tavolo dove io sarei andato a mangiare e lì si è seduta. Siccome questi sono rimasti esterefatti a vedere una giovane signora che andava lì e si sedeva per conto suo, con aria disinvolta e anche con un certo piglio, lei, dopo che si era accorta di questo, ha detto: “Guardate, vi avverto che io sono l'amante del regista!” Si sono salutati e la cosa è finita in questo modo”.
Sulla linea di La grande guerra , anche in I sentieri della gloria a momenti comici si alternano momenti drammatici. Segue infatti un'intervista con Giovanna Tacco, classe 1907, una testimone dei giorni della ritirata di Caporetto: “...era un caos. Venivano tutti giù dai confini, con tutti i mezzi, con i carri, i buoi, le masserizie, con le famiglie... Era un caos,... un caos”. Alle parole di questa testimone fanno seguito immagini del film relative alla ritirata (che in parte fu girata nella piazza del paese di Nespoledo presso Lestizza e in parte a Manziana, nel Lazio). La presenza di Vittorio Gassman  e Alberto Sordi in queste scene induce Gloria De Antoni a chiedere a Monicelli: “Ma eravate amici?” “Sì, noi lo eravamo, molto. Ma anche loro due. Quando ci sono due star, alla fine l'uno vuole far vedere all'altro che è molto disponibile, che è più disponibile di lui. Più le star sono numerose e più il regista è favorito, perché vogliono far vedere che non creano questioni. Invece se c'è uno solo che sa che il film si fa su di lui, perché c'é lui, allora cominciano le pretese, i capricci”.
Come per la prima sequenza del nostro documentario si è ricostruita una sequenza di La grande guerra (quella della fucilazione della spia austriaca), così il pomeriggio del secondo giorno di luglio si è tentato un esperimento analogo a proposito di un'altra celebre scena del film: quella in cui Costantina (Silvana Mangano), da un terrazzino, con un catino getta acqua sulla folla dei soldati che, assiepaati nel cortile, la reclamano. Monicelli e Garbuglia vengono accompagnati nel cortile che fece da set, quello del cinquecentesco Palazzo Orgnani-Martina, e, mentre si spiega loro che quella è la location, all'improvviso la finestra si apre e su quel terrazzino appare una figura che ripete il gesto della Mangano. E' Noe' Polame, un venzonese che fu coinvolto nelle riprese del film. Ma Monicelli non si diverte; anzi contesta. Quello, per lui, non è il luogo delle riprese. Tutto gli appare diverso, più “tirato a nuovo”, appunto, come aveva osservato in precedenti sopralluoghi dei vecchi set. Osserva che, allora, non c'erano quei lampioni, quelle ringhiere..., ma - ammette - che la pavimentazione del cortile potrebbe, forse, essere quella del vero luogo delle riprese. Quel cinquecentesco cortile, che, complice anche un pomeriggio grigio e freddo, sembra diventare per qualche minuto un nuovo set, pirandelliano, un chiostro claustrofobico in cui aleggiano domande che vanno ben al di là dell'autenticità di quel set: “Vero, falso; simile, verosimile; reale, finto; autentico, artificiale; genuino, artefatto; originale, riprodotto?”. Interrogativi sulla natura del cinema, interrogativi sulla vita. Poi però rivedendo quella scena, Monicelli sdrammatizza, lascia perdere la questione dell'autenticità di quel set e, prendendo spunto dalla figura di Costantina, racconta un aneddoto sul tema dei “casini di guerra”. “Non so se sia una leggenda, ma allora circolava molto il fatto per cui alla fine della guerra avevano in un certo senso decorato anche quella che era stata la “capa” delle prostitute, una vecchia signora, bene agguerrita, la quale aveva organizzato tutta questa baracca di  movimenti lungo tutto il fronte. Pare...”. Seguono altri incontri del regista con ex-comparse di Venzone: Anna Maria Pascolo, che , da bambina, ebbe una parte nel film e conserva belle immagini di Donato Maieron (il fotografo di scena) in cui appaiono Tiberio Mitri (“che abitava con noi”) e Nicola Arigliano di fronte alla vecchia filanda, e Irma Zani Rizzi, che pure mostra al regista un album di foto che la ritraggono in costume d'epoca nella sequenza dell'arrivo delle truppe che, tornate dal fronte, vengono accolte dal “Comitato patriottico di Civitella”, girata nella piazza del Municipio; racconta che lavorò tre giorni, guadagnando la bella somma di tremila lire al giorno.
Dopo le prime due giornate di lavorazione (1° e 2 luglio), caratterizzate da cielo coperto e momenti di pioggia e freddo, il terzo giorno le riprese si spostano a sud: a Palmanova. E' sabato mattina: il tempo è  splendido, limpido, molto luminoso. Vengono effettuate nel luogo preciso in cui il giorno 11 e 12 giugno 1959 fu girata la sequenza dell'addestramento delle reclute - in cui Gassman/Busacca espone la propria “filosofia della vita” ai suoi commilitoni, citando Bakunin - ovvero all'esterno di Porta Cividale, nella zona orientale delle mura, che, in ordine di apparizione, è la prima location friulana che si vede nel film. Questo sopralluogo in una zona militare offre anche lo spunto per accennare al ruolo che ebbe Giulio Andreotti, ministro della Difesa nel 1959, in relazione alle polemiche scoppiate ancora prima dell'inizio della lavorazione di La grande guerra e alla concessione dell'avallo ministeriale per la sua realizzazione.
La visione in fase di montaggio delle varie sequenze di I sentieri della gloria , continuamente intervallata dai commenti, dai chiarimenti, dalle digressioni di Gloria De Antoni e di Monicelli, offre al regista anche un'occasione per una breve lezione di cinema. Definisce infatti “barbarica”, “anticinematografica”, la “regola” attuale di vedere assolutamente un film dall'inizio. Secondo il maestro, infatti, si può benissimo entrare in una sala cinematografica anche mezz'ora dopo che il film è cominciato: così “impari a capire come si costruivano i film; come si sceneggiano i film; come si montano le cose prima, per ottennere una cosa dopo... Adesso non si impara più niente!”
Se, nel pomeriggio della bellissima giornata di sabato 3 luglio, ragioni di tempo non rendono possibille la realizzazione delle riprese nel piccolo paese di Nespoledo di Lestizza (che in La grande guerra aveva rappresentato Ponte San Fedele, dove Gassman ritrova la Mangano/Costantina durante la ritirata di Caporetto), viene organizzato un excursus che in effetti ha dato eccellenti risultati. Una “trasferta” della troupe a Marano, la cui laguna, se nulla ha avuto a che fare con La grande guerra , ha rappresentato però un set alquanto suggestivo, e fino ad allora inedito, di un altro film di Mario Monicelli, realizzato ventiquattro anni dopo: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno , una libera riduzione per il cinema dell'opera di Giulio Cesare Croce che risale all'inizio del Seicento. E' un film che, pur non avendo ottenuto il successo sperato, il regista ha sempre dichiarato di prediligere e lo si vede anche dal suo atteggiamento molto vivace e dall'espressione contenta mentre viene ripreso sull'imbarcazione che lo riporta verso i caratteristici casoni usati come set per rappresentare Acqua morta, il piccolo villaggio di Bertoldo (Ugo Tognazzi), sua moglie Marcolfa  (Anna Schiavone) e il figlio Bertoldino (Maurizio Nichetti), e racconta: “L'abbiamo girato verso l'autunno avanzato (era l'inizio del mese di ottobre del 1983), con le nebbie. E poi è venuta una bufera di vento, una notte, e ha spazzato via tutto quello che era stato costruito. La mattina sono tornato e non c'era più niente...insomma, sono sempre belle cose. Lì per lì ti danno fastidio, però...”
Motivo ricorrente di I sentieri della gloria è il tempo, la curiosità del regista nei confronti dell'età anagrafica di tutti quelli che incontra. “Ti interessa molto l'età degli altri”, gli dice Gloria; e ancora: “Tra l'altro sei l'unico regista novantenne al mondo, secondo me, - dopo De Oliveira, che però di anni ne ha 97 - che fa ancora film. Diventare vecchi ha dei lati belli ? Quali sono ?”. Ed ecco l'elogio della vecchiaia di Mario Monicelli: “Per esempio che la gente crede che tu sia più malmesso di quanto non lo sia. A qualunque età, a quarant'anni credono che uno non sia in grado di fare quello che fa uno di trenta. A sessanta che non puoi fare quello di uno di cinquanta; a novanta quello di uno di settantacinque. Allora sei sempre su di giri. Tutti si sorprendono e tu fai bella figura. Insomma è una cosa che solletica molto la vanità. E poi sei libero; sei veramente una persona libera. Puoi dire quello che ti pare, tanto ormai nessuno osa contraddirti. Poi non ti possono mettere in prigione, qualsiasi cosa tu faccia o dica...Non ti possono metterte in galera per nessuna ragione. Quindi sei libero di dire quello che ti pare, a chi ti pare; perché, avendo un'età così, diciamo, veneranda, ti venerano. Quindi non osano contraddirti e tu sei libero di fare e di dire quello che ti pare. Cosa che non capita mai durante la vita; c'é sempre infatti almeno qualche cosa a cui devi stare attento. Invece un vecchio può non stare attento a niente !”. “Una delle cose tristi della vecchiaia è anche quella che le persone ti muoiono attorno”, osserva Gloria De Antoni. “Triste, sì” - ammette Monicelli -, “ma fa parte della natura. Naturalmente è un avverbio che sa usare solo Leopardi. E' inutile che te lo sto a citare”. Ma Gloria garbatamente insiste. E Monicelli recita: “Povera foglia, dove vai tu, dove ogni altra cosa...dove ogni altra cosa, dove naturalmente va la foglia d'alloro  e la foglia di rosa”.
Mentre scorrono i titoli di coda, in un'ultima sequenza vediamo Gloria De Antoni che intervista Oreste De Fornari, che ha collaborato alla realizzazione di questo documentario. Il colloquio ha luogo al Museo del Genio a Roma, dove è stato ricostruito un ponte di barche, che, come sottolinea De Fornari, rappresenta un elemento-chiave della parte finale di La grande guerra . L'intervento di De Fornari illustra la posizione, la portata, l'originalità del film di Monicelli nell'ambito della cosiddetta commedia “all'italiana”: “In fondo non era un film dissacratore, non era un film così tanto antimilitarista; ma un film che proponeva un esempio di patriottismo con buonsenso: il patriottismo della gente semplice, che diventa eroica quando ce n'é bisogno. Eroi se è il caso; eroi per caso; ma anche eroi del caso. Quando si è posti di fronte al grande dilemma - tradire o farsi uccidere -, si fanno uccidere. Lo stesso anno è stato premiato a Venezia, con La grande guerra , Il generale Della Rovere , che in fondo ha un finale, propone un tipo di eroismo simile...E' un'arte del chiaroscuro quella della commedia “all'italiana”, che è passata dal cinismo al moralismo, dalla commedia al dramma, che si è completamente perduta;...ma, ripetiamo, che commedie “all'italiana” sono solo quelle di quel periodo (fine anni ‘50) e solo quelle che hanno quest'arte del chiaroscuro, quest'alchimia difficile, ...e si è perduta”.
I sentieri della gloria: una prova di regia garbata, di scorrevole limpidezza da parte di Gloria De Antoni, che riesce a riproporre con naturalezza, finezza e misura i ritmi, le cadenze, le atmosfere, le caratteristiche fondamentali del genere di cui Mario Monicelli è padre e maestro: una equilibrata alternanza di toni “leggeri”, divertenti, da commedia, e momenti più drammatici, intensi, di riflessione; una articolazione fluente; un agile andamento episodico, antologico, nel dinamico intreccio di incontri, luoghi, tempi, situazioni, che non può non riferirsi a quel culto del breve, dell'efficacemente essenziale di cui lo stesso Monicelli, un regista che non ama i tempi lunghi e gli sviluppi narrativi dilatati, ha dato prove esemplari. Un documentario con un attore d'eccezione, personaggio concreto, vitale, spontaneo, dal tratto diretto, dall'espressione assolutamente concisa e sintetica, arguto, anti-sentimentale, sempre curioso, interessato alla realtà contemporanea, alla gente comune, con la quale si dimostra subito capace di stabilire un dialogo, costantemente attento al “senso comune”, al “discorso popolaresco”. Un grande regista per il quale il genere comico-umoristico ha rappresentato una via d'accesso privilegiata alla realtà italiana, che ha saputo creare un rapporto forte con lo spettatore, proponendo con le sue opere non soltanto una rappresentazione della realtà, ma anche un invito a confrontarsi con le contraddizioni della vita, sempre sostenuto dallo sguardo ironico e sdrammatizzante della commedia. Un maestro di cinema e di vita, che anche in questo documentario si dimostra capace di esprimere una formula per fronteggiare gli eventi, per mantenere quell'equilibrio che ci consente di vivere con buon senso e, dunque, a lungo.

 

 

 
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