BOTTECCHIA, L’ULTIMA PEDALATA di Gloria De Antoni (2008)

Una produzione della Cineteca del Friuli, con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, di Euroleader e della Fondazione CRUP.
Con la partecipazione straordinaria di Gianni Mura.
Produttore esecutivo
: Livio Jacob; fotografia e montaggio: Renzo Carbonera; montaggio addizionale: Letizia Caudullo; consulenza musicale: Massimo Cigaina.
Hanno partecipato: Giacomo Bortuzzo, Mattia Bortuzzo, Franco Bottecchia, Paolo Facchinetti, Roberto Fagiolo, Don Nello Marcuzzi, Alfredo Martini, Vincenzo Salvatorelli, Angela Sovran, Enrico Spitaleri, Piero Stefanutti, Renato Zarpellon, Sergio Zavoli, Stefano Zozzolotto. Il ciclista è Massimo Botter.
Operatori di ripresa: Renzo Carbonera, Ivan Marin, Pierpaolo Giarolo, Christian Canderan, Gioia Valdemarca; fonico: Massimo Cafaro; sonorizzazione: Gabriele Gubbini, Mirco Mencacci, Bruce Morrison; organizzazione: Stefano Pagani; ufficio stampa: Giuliana Puppin; fotografo di scena: Paolo Jacob.

Si ringrazia: Comune di Trasaghis; Pro Loco di Trasaghis; Biblioteca Comunale di Trasaghis; Comune di Colle Umberto; Comune di Gemona del Friuli; Biblioteca Civica di Gemona del Friuli; Comune di Pordenone; Biblioteca Comunale di Pordenone; Comune di Rosignano Solvay; Laboratorio Internazionale della Comunicazione, Gemona del Friuli; SOMSI, Lestans, Comune di Sequals; CRAF, Lestans, Comune di Sequals; CEC, Udine; Cinemazero, Pordenone.
Si ringrazia inoltre: Gigi Avoledo, Caterina Bellucci, Marco Bosco, Mario Breda, Edoardo Ceccuti, Piero Colussi, Elisabetta Cosci, Valentina D’Amico, Ivo Del Negro, Emanuela De Marchi, Lucio Fabi, Resi Forgiarini, Alessandro Franchi, Grazia Levi, Walter Liva, Ugo Mattiuzzo, Marco Monti, Sara Moranduzzo, Elisa Natini, Martine Offroy, Manuela Padoan, Carla e Mauro Pietrella, Paola Sain, Edoardo Scarpis, Lorenzo Tempesti, Walter e Lucio Toneatti, Alessandro Vicentini Orgnani, Daniela Volpe.
Si ringrazia infine: Osteria Agli Amici, Istrago; Bar Ai Glicini, Cornino; Ristorante La Torre, Spilimbergo.
Un ringraziamento speciale a: Oreste De Fornari e Luca Nannini.

Riprese effettuate a: Peonis, Comune di Trasaghis; Cornino, Comune di Forgaria; Pinzano; Gemona del Friuli; Spilimbergo; Colle Umberto; Pordenone; Milano; Bologna; Firenze.
Filmati d'epoca e immagini: La Cineteca del Friuli; Gaumont Pathé Archives, Neuilly sur Seine; Istituto Luce, Roma; Archivio Renato Bulfon, Mortegliano; Museo della Bicicletta “Alto Livenza”, Portobuffolè; SOMSI, Lestans.

Canzoni: Les Negresses Vertes "La valse”; Sylva Berthe “On n’a pas tous les jours 20 ans”; Vittorio Parisi “'A sirena”; Mistinguett ”Un boy c’est gentil”; Mistinguett “Mon homme”; Beniamino Gigli “E lucean le stelle”; Rodolfo De Angelis “Ma cos’è questa crisi”; Sylva Berthe “Les roses blanches”; “La canzone del Grappa” (canto militare); Maurice Chevalier “Dans la vie faut pas s’en faire”; “Fischia il sasso” (canto militare); Beniamino Gigli “Santa Lucia”; Beniamino Gigli “Giovinezza”.

Bibliografia
: Il leggendario Bottecchia: tutta la verità sulla morte di Giorgio Garatti, Editrice Trevigiana, Treviso, 1975; Bottecchia: vita, viaggi, avventure e misteriosa morte del vincitore di due Tour de France (1924-1925) di Giulio Crosti, Compagnia Editoriale, Roma, 1977; Il delitto Bottecchia di Enrico Spitaleri, Antonio Pellicani Editore, Roma, 1987; Ottavio Bottecchia di Elio Bartolini, Studio Tesi, Pordenone, 1992; Ottavio Bottecchia: Botescià: bicicletta e coraggio di Giuliana V. Fantuz, GVF Libri, Spilimbergo, 2004; Bottecchia, il forzato della strada di Paolo Facchinetti, Edicicloeditore, Portogruaro, 2005; Bottecchia l’inafferrabile di Roberto Fagiolo e Francesco Graziani, Nutrimenti, Roma, 2005; Ottavio Bottecchia: quel mattino a Peonis di Piero Stefanutti, Comune di Trasaghis, 2005; Giallo su giallo di Gianni Mura, Feltrinelli, Milano, 2007.


Bottecchia, l’ultima pedalata
Dopo aver vinto alcune tappe nel 1923, Ottavio Bottecchia (San Martino di Colle Umberto, TV, 1894 – Gemona del Friuli, 1927) fu il primo italiano ad aggiudicarsi il Tour de France, nel 1924, impresa che ripeterà anche l’anno seguente. Con il fondamentale contributo del giornalista Gianni Mura e con l’aiuto di storici e ricercatori, Gloria De Antoni ripercorre le tappe principali dell’avventura umana e sportiva – dalla vittoria del Giro del Piave ai due mitici Tour – dell’indimenticato campione, e cerca di fare luce sul mistero della sua morte, avvenuta il 15 giugno 1927 all’ospedale di Gemona, in seguito all’incidente occorso dodici giorni prima lungo la strada che va da Cornino a Peonis, in comune di Trasaghis, durante quello che sarebbe stato il suo ultimo allenamento. Le ricerche fatte in archivi, musei, biblioteche, centri di documentazione e il ritorno sui luoghi che hanno segnato la storia di Bottecchia, aiutano l’autrice a ricomporre le tessere di una vita intensa che lo vide primeggiare non solo sulle due ruote ma anche sui campi di battaglia. Come bersagliere ciclista si distinse infatti per atti di eroismo a Lestans in Comune di Sequals che gli valsero, nel 1917, la medaglia di bronzo al valor militare.
I documenti filmati provenienti dall’Archivio Gaumont Pathé di Parigi, dall’Archivio Luce e dalla Cineteca del Friuli, insieme alle canzoni, tutte registrazioni originali degli anni Dieci e Venti, fanno rivivere allo spettatore i momenti esaltanti delle imprese sportive e aiutano a ricreare l’atmosfera dell’epoca. Altre immagini sono state fornite dall’Archivio Renato Bulfon di Mortegliano, dalla SOMSI di Lestans e dal Museo della Bicicletta Alto Livenza di Portobuffolè.
Bottecchia, l’ultima pedalata è il risultato finale di “Ottavio Bottecchia, fra verità e leggenda” un progetto realizzato dalla Cineteca del Friuli, nell'80° anniversario della morte del grande campione, con la partecipazione di Euroleader e della Regione Friuli Venezia Giulia che prevedeva il lavoro di ricerca e di digitalizzazione di materiali fotografici e cinematografici e di documenti.



RASSEGNA STAMPA

Giallo, fatica, miseria e leggenda
Giallo, fatica, miseria e leggenda. Sono i punti cardinali che circoscrivono la geografia umana di Ottavio Bottecchia. Primo ciclista italiano a vincere il Tour de France, la corsa più importante del mondo.
La sua storia è diventata ora un bel documentario di 53 minuti, prodotto dalla Cineteca del Friuli di Gemona. S'intitola Bottecchia, l'ultima pedalata. L'ha realizzato Gloria De Antoni. Le hanno fatto da guida d'eccezione il giornalista Gianni Mura e Roberto Fagiolo, autore del libro "Bottecchia l'inafferrabile". È il terzo viaggio alla scoperta di personaggi e radici veneto-friulane proposto dalla Cineteca diretta da Livio Jacob, dopo i lavori su Carnera e i luoghi di Hemingway. Sarà presentato dalla stessa autrice stasera al Trieste Film Festival (ore 20, Ariston). A seguire lunedì 21 a Pordenone (ore 21, Cinemazero, insieme a Mura) e martedì 22 a Udine (ore 21, Visionario).
Il filmato parte dalla fine. Ovvero dal giallo (primo punto cardinale) della morte di Bottecchia. Omicidio, incidente, o malore? Ad oltre ottant'anni (proprio questo anniversario s'intende celebrare) da quel 3 giugno 1927 non c'è ancora una risposta. E mai ci sarà. Nonostante le sei biografie scritte sul caso e le decine di congetture. Quel giorno il ciclista trevigiano, nato a San Martino di Colle Umberto nel 1894, si sta allenando. È trovato agonizzante sulla strada a Peonis di Trasaghis (Udine). Portato all'ospedale di Gemona, finisce in coma e muore. Ha due fratture alla base cranica e alla spalla. È caduto allacciandosi un cinturino dei pedali? L'hanno picchiato a morte i fascisti, o un contadino a cui aveva rubato frutta da un campo? Ha avuto una congestione per la birra gelata bevuta poco prima in un bar?
Dove si ferma la storia inizia la leggenda (secondo punto cardinale). Che già aveva vissuto pagine importanti con le due vittorie al Tour de France del '24 e '25. Nessun italiano era mai riuscito nell'impresa. Solo Gino Bartali ('38, '48) e Fausto Coppi ('49, '52) la centreranno dopo. Perciò Bottecchia diventa un immortale del ciclismo. Un omino dal profilo aguzzo e dal volto sporco di polvere incrostata dal sudore, che attraverso la fatica dello sport più amato dell'epoca si riscatta dalla miseria (gli ultimi due punti cardinali) guadagnandosi successo, denaro, gloria, celebrità. Lui che prima era solo un carrettiere. Tutto questo racconta il documentario. Attraverso immagini degli anni '10-'20 dell'Archivio Gaumont, dell'Istituto Luce e dalla stessa Cineteca. Ma anche con testimonianze di familiari (il nipote), sportivi (Alfredo Martini), giornalisti (Sergio Zavoli), studiosi (Paolo Facchinetti) e gente vissuta nel suo mito. Compreso Mattia Bortuzzo, 101 anni, che racconta di averlo visto con i suoi occhi al Tour. Bottecchia, per lui, non ha mai smesso di pedalare. - Ivan Malfatto, Il Gazzettino, 18 gennaio 2008


Bottecchia e la parabola del ciclismo
Poche cose come il ciclismo sono in grado di dimostrare come il mondo sia terribilmente cambiato, pur essendo rimasto terribilmente uguale. E poche persone come Gloria De Antoni sono in grado di farlo capire così bene con un documentario di meno di un’ora: Bottecchia, l’ultima pedalata, prodotto dalla Cineteca del Friuli.
Si tratta di una dimostrazione di virtuosismo televisivo in quanto Ottavio Bottecchia è uno dei campioni più leggendari di questo sport, anche perché meno storicizzati: di lui si sa che ha vinto, primo italiano a riuscirvi, un Tour de France (nel ’24) dopo essere arrivato secondo l’anno prima e bissando il successo nell’edizione successiva, ma ci si ferma quasi qui; misteriosa è anche la sua morte, avvenuta il 3 giugno 1927, susseguente a un incidente, o a un atto di violenza, avvenuto senza testimoni durante un allenamento sulle strade della Carnia; difficilissimo trovare sue immagini in movimento e impossibile reperire non soltanto registrazioni della sua voce, ma anche testimonianze dirette degli avvenimenti; Gloria, poi, sottolinea che lei di ciclismo sa pochissimo.
Eppure, con tutte queste difficoltà di partenza, è riuscita a confezionare un prodotto che ricostruisce ottimamente vita e morte del vecchio campione, senza avere la presupponenza di voler risolvere il giallo finale (ma escludendo soltanto, per evidenti motivi stagionali, la fucilata causata da un furto d’uva), e che, contemporaneamente è capace di dipingere un vero e proprio affresco, vivido di luci e di ombre, del ciclismo dei “tempi eroici” che si proietta, con tutti i suoi chiaroscuri, sullo sport della bicicletta di oggi.
Missione difficile, ma certamente portata a termine. Del resto, per passare alla letteratura e al calcio, uno dei libri capaci di far capire meglio l’ambiente del football è stato Dov’è la vittoria, scritto da quel Vittorio Sermonti che è diventato famoso con le sue Lecturae Dantis, che poi ha riportato in tre libri che ripercorrono le cantiche della Commedia e che poi si è ripetuto con successo affrontando l’Eneide.
Il segreto che permette a Gloria De Antoni di muoversi con perfetta padronanza anche in mondo che conosce poco è quello di affidarsi a una guida sicura – in questo caso Gianni Mura, giornalista appassionato di ciclismo e soprattutto di Tour – e di far parlare la gente che pensa di avere qualcosa da dire sull’argomento.
E così, tra una pedalata e l’altra di un amatore ciclista di oggi che sullo schermo fa da trait d’union tra un’intervista e l’altra, si passa da colui che crede fermamente nel delitto a quello che è disposto a scommettere tutto sulla disgrazia, dal parente che vuole mettere in primo piano l’altruismo di Bottecchia al prete di Peonis che ha come primo, se non unico, scopo quello di preservare il buon nome degli abitanti del paese dove si è verificato il fatto che ha portato Bottecchia alla morte.
Il fatto è che con Gloria De Antoni non si corre, si cammina lentamente; e così si può vedere davvero il panorama in cui ci si muove, si può riuscire a ragionare sulle cose che entrano un po’ alla volta negli occhi e nelle orecchie. Nei suoi lavori non c’è la smania di far star più cose possibile nell’unità di tempo, cose che precipitano su di te mentre l’arrivo dell’una fa quasi rimbalzar via l’altra, tanto che alla fine i ricordi di ciò che si è appena visto sono confusi, non sedimentati e, quindi, pronti a essere lavati via dalla prima cosa che arriva subito dopo. Con lei ogni informazione arriva con levità e ha il tempo per essere assimilata e valutata, mentre inevitabilmente apre la mente a nuovi possibili e inattesi collegamenti. È un po’ quello che, su piani diversi, hanno fatto giornalisti specializzati del calibro di Bruno Roghi, Gianpaolo Ormezzano, Sergio Zavoli, Mario Ferretti, Rino Negri.
Ed è proprio così che Gloria riesce a dipingere tanto bene uno sport che era amatissimo e che oggi viene quasi detestato dagli appassionati che vivono lo stesso dramma dell’innamorato tradito che si trova di fronte al demonio del doping che finisce per mettere in dubbio qualsiasi risultato, qualsiasi vittoria.
Eppure il doping – anche se non lo chiamavano ancora così – esisteva eccome e portava a crisi e a rischi pazzeschi: apparve per la prima volta in tutta la sua gravità sulle rampe del Mont Ventoux dove nel ’67 Tommy Simpson morì di sfinimento senza rendersene conto perché la “bomba” gli impediva di percepire la stanchezza. E quella volta, come oggi, esistevano gli imbrogli e i trucchi e c’era, sia pure su scale diverse, la fame di soldi che indirizzava tutta la vita.
In realtà sono queste le cose importanti che testimoniano una continuità che non è messa in dubbio dall’asfalto che ha coperto lo sterrato delle strade, né dai materiali che hanno ridotto a un decimo il peso delle biciclette e agevolato cambi e rapporti.
Insomma, un documento da guardare con grande attenzione perché non svela il mistero di Bottecchia, ma fa molta luce su quello del ciclismo. - Gianpaolo Carbonetto, Messaggero Veneto, 18 gennaio 2008

Bottecchia, un film sul mito
C’è la chicca di Mattia Bortuzzo, 101 anni portati alla grande, che racconta di aver visto con i suoi occhi Ottavio Bottecchia sulle strade del Tour. Poi tante altre testimonianze illuminanti. Gianni Mura, Cicerone d’eccezione, che spiega: "Ha sempre detto che non correva per la gloria, i successi, le donne, ma solo per i 'schei'". Sergio Zavoli, Alfredo Martini, il nipote Franco Bottecchia, gli autori di libri su di lui Roberto Fagiolo, Paolo Facchinetti ed Enrico Spitaleri. Ci sono anche un prete, don Nello Marcuzzi, e il medico di Gemona, che spiega le uniche lesioni (fratture alla base cranica e alla spalla) trovate sul suo corpo dopo la morte, avvenuta a 33 anni.
80 ANNI DOPO - È proprio un bel viaggio nella memoria questo "Bottecchia, l’ultima pedalata". Documentario di 50’ realizzato per l’80° anniversario della morte da Gloria De Antoni e prodotto dalla Cineteca del Friuli. Racconta l’epopea del primo ciclista italiano capace di vincere il Tour de France nel ’24 (dopo essere giunto 2° nel ’23). E di fare il bis nel ’25. Si avvale di immagini d’epoca dell’Archivio Gaumont, dell’Istituto Luce e della stessa Cineteca. Sarà presentato dall’autrice in anteprima domani, venerdì 18 gennaio a Trieste (ore 20, cinema Ariston). Poi lunedì 21 a Pordenone (ore 21, Cinemazero, ospite anche Mura) e martedì 22 a Udine (ore 21, cinema Visionario). Dal documentario più che il ritratto dello sportivo, emerge quello della leggenda, qual è davvero Bottecchia.
UNA MORTE MISTERIOSA - Nato nel 1894 a San Martino in Colle (Treviso) da famiglia povera, fa il carrettiere per sbarcare magramente il lunario, emigra come muratore in Francia, diventa eroe di guerra (medaglia di bronzo al valore) da bersagliere-ciclista, fino a quando il ciclismo lo affranca e lo rende una celebrità. "Ma lui non dimentica, e con i primi soldi sfama e compra da vestire a tutti i 32 nipoti", racconta Franco Bottecchia. Poi all’apice della fama la tragedia, ancora tinta di giallo. Mentre si allena, è trovato in mezzo alla strada a Peonis di Trasaghis, viene portato all’ospedale di Gemona e muore. Omicidio (i fascisti, un contadino a cui ha rubato frutta), incidente (cade sistemando il cinturino dei pedali) o malore (congestione dopo aver bevuto una birra gelata al bar)? Nessuno l’ha mai scoperto. Quel 3 giugno 1927 finisce la vita e inizia il mito. Che 80 anni dopo "Bottecchia, l’ultima pedalata" contribuisce splendidamente a rinnovare. - Ivan Malfatto, La Gazzetta dello Sport.it, 18 gennaio 2008

Gloria De Antoni e il giallo della morte di Bottecchia
Un reportage di Gloria De Antoni sulla misteriosa caduta in allenamento di un campione degli anni Venti, primi due Tour tutti italiani.
Quello era un giorno senza. Senza compagni di allenamento per Ottavio Bottecchia, che non era riuscito a coinvolgere nell’uscita il fedele amico di pedalate Alfonso Piccin. Senza una gran voglia di inerpicarsi sulle rampe verso Trasaghis, sotto le martellate del sole di giugno. E anche senza le usuali otto uova con il marsala, perchè il campione non stava tanto bene. Una giornata senza troppe cose, quel 3 giugno del 1927, per il grande ‘Botescià’. Come racconta Gloria De Antoni in ‘Bottecchia, l’ultima pedalata’, che viene proiettato in anteprima questa sera alle 20 al Cinema Ariston per il 19° Trieste Film Festival, che è iniziato ieri con un tutto esaurito in sala.
Prodotto dalla Cineteca del Friuli, lunedì alle 21 il reportage filmato passerà sullo schermo di Cinemazero a Pordenone e martedì alle 22 su quello del Visionario di Udine. Quel giorno ‘senza’, come lo definisce il giornalista e scrittore Gianni Mura, Bibbia viaggiante del ciclismo di ieri e di oggi, Bottecchia incontrò la Morte. Prima di iniziare a far danzare la bicicletta sullo sterrato in salita che sale da Cornino verso Trasaghis, il vincitore del Tour de France del 1924 e del ’25 si era fermato a bere in un’osteria. Poco più tardi, verso le 10.30 a Peonis, tre contadini del posto. Carmelo Di Santolo, suo fratello Antonio e Carmela Maria Marioni, lo trovarono riverso sul ciglio della strada. Aveva la testa spaccata. Una ferita gli squarciava la nuca. Perdeva sangue in abbondanza e non riconosceva nessuno. Riusciva solo a emettere un debole rantolo. E una parola ripetuta con insistenza: ‘Malore, malore’. Ma l’uomo che aveva fatto tremare i più grandi campioni del ciclismo europeo, l’ex bersagliere che durante la Prima guerra mondiale si era meritato una medaglia al valore, era davvero morto per un malore?
Bottecchia rimase in coma per dodici giorni all’Ospedale di Gemona, poi se ne andò in silenzio. Senza dire più niente. E lì, quel giorno, cominciarono a prendere corpo i sospetti. I sussurri a mezza voce. Le rivelazioni più sconcertanti. Qualcuno diceva che, a uccidere il grande ciclista, fosse stato un contadino, per un grappolo d’uva rubato dal suo campo. Vent’anni dopo, un emigrato di Trasaghis che viveva in Francia confessò sul letto di morte ai parenti: ‘Bottecchia l’ho ucciso io’. Ma si può credere a una storia del genere, si chiede e chiede Gloria De Antoni nel suo reportage filmato, quando all’inizio di giugno grappoli sulle viti non ce ne sono? E poi, aggiunge, quella non è una zona in cui abbondi l’uva. Altre ipotesi si affollarono in fretta. Come quella di un’imboscata fascista per far pagare a Bottecchia il suo scarso amore per il regime. Ma il suo antifascismo, confermano parenti e scrittori che si sono occupati del caso, invervistati dalla De Antoni, non era poi così conclamato da giustificare un’azione punitiva. Si fece strada anche l’ombra del doping, tanto da richiamare alla memoria la stricnina che, probabilmente, rammollì le gambe di Dorando Pietri a pochi metri dal trionfo nella maratona olimpica di Londra 1908. Qualcuno sussurrò a mezza voce che a infierire sul grande pedalatore fosse stato un amante segreto della moglie Caterina. E poi, che dire della morte del fratello di ‘Botescià’, Giovanni, arrotato da una macchina su una strada solitaria poco fuori Pordenone? E di quella dell’amico ciclista Alfonso Piccin, schiantato contro il muro di un asilo su un viale senza particolari curve vicino a San Giacomo di Veglia? Un mistero che affascina ancora. Come dimostrano le tante voci che parlano nel reportage di Gloria De Antoni. Da quella di Sergio Zavoli, mitico inventore del ‘Processo alla tappa’, a quella di Alfredo Martini, ex corridore e commissario tecnico della Nazionale di ciclismo per lunghi anni. E poi le altre: quelle di parenti, conoscenti, scrittori che hanno provato a dare una risposta all’enigma. Fino a Gianni Mura e al suo ricordo che, per essere archiviato come un giorno normalmente sfortunato, quel 3 giugno del 1927 rivela troppi ‘senza’. Riuniti assieme solo dalla bizzarria del Caso. - Alessandro Mezzena Lona, Il Piccolo, 18 gennaio 2008

Indagine sulla morte accidentale del ciclista Ottavio Bottecchia
In Bottecchia, l'ultima pedalata presentato in anteprima al Festival di Trieste, Gloria De Antoni, sembra più interessata all'indagine della morte oscura del ciclista che al ciclismo, lo dice lei stessa confessando di non conoscere proprio tutto di questo sport, offuscato da sempre da qualche scandalo. Però anche se per molti è uno sport finito, certamente ne è restata affascinata anche lei, si capisce da come va su per quei versanti a interrogare proprio tutti quelli che possono ancora far luce sulla misteriosa morte di un campione che ha prodotto tanti libri e tante ipotesi, anche se nessuna certezza. Emerge dal suo racconto come un gigante simile agli eroi della strada che racconta, Gianni Mura, il grimpeur delle pagine sportive. Se Bottecchia detto “il francese” per le sue vittorie al Tour (il '24 e il '25, primo italiano in maglia gialla) è protagonista assoluto, come in un poema omerico Mura ne racconta pacatamente le gesta con tono da vate, avvolto nel fumo come una divinità dalle nubi. Ascoltiamo la storia di un uomo che correva con la medaglia di bronzo ricevuta per le sue imprese nella prma guerra mondiale attaccata alla maglia. Conquistava un'ora di vantaggio, se ne andava a fare il bagno al mare e poi rientrava in corsa. I suoi primi guadagni li fece come gregario dei fratelli Pelissier che poi dovettero piegarsi alla sua superiorità (e cedere ai danni del doping che allora si chiamava cocaina). Ma il documentario raccoglie soprattutto le testimonianze non sulle vittorie, ma sull'unica sconfitta, la morte, avvenuta in una giornata di allenamento il 15 giugno 1927 a Gemona in un giorno con “troppi senza” (ancora lo scatto di Mura), senza amici, senza testimoni. Una caduta accidentale? l'impossibile furto di un grappolo di uva (a giugno?) a un contadino che lo bastonò? La più probabile azione di bastonatori di professione (i fascisti), per i suoi possibili collegamenti con fuoriusciti in Francia? (ne scrive anche Giovanni Ferrarini in “Bottecchia martire antifascista” in Critica sociale), una oscura storia di assicurazioni (vedi Roberto Fagiolo e Francesco Graziani “Bottecchia l'inafferrabile”, Nutrimenti), un industriale che voleva dare una lezione a un bifolco? Certo è che dall'indagine emerge un'Italia antica e dimenticata, utile da ricordare. Il suo motore era la povertà, lui correva non per la gloria, la coppa o il sorriso delle belle ragazze, ma per i soldi, per «i schei» con cui rivestire i 37 nipoti, come racconta con orgoglio uno di loro. L'oggi è rappresentato dalla regista in scena che cerca di mettere in luce oscure vicende che resteranno tali, attraverso le testimonianze di personaggi restati affascinati dall'indagine, il parroco, il medico che crede solo ai suoi reperti, i numerosi scrittori. Ognuno ha la sua spiegazione, sembra un intreccio pirandelliano, che si addice all'epoca. - Silvana Silvestri, Il manifesto, 24 gennaio 2008

 

 
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