Carlo Gaberscek su IL PERDENTE GENTILUOMO (2009)

Divo e perdente, la storia di Antonio Centa
In anteprima a Trieste Film Festival il 19 gennaio, alle ore 19,15, al Cinema Ariston di Trieste Il perdente gentiluomo: vita e arte di Antonio Centa, con la presenza degli autori Gloria De Antoni e Oreste De Fornari e di Livio Iacob, produttore esecutivo. E’ il quarto documentario realizzato da Gloria De Antoni per la Cineteca del Friuli, con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia/Assessorato alle Attività Produttive, del Comune di Maniago, della Fondazione Crup, e con il contributo del Fondo Regionale per l’Audioviosivo. Con questo lavoro, della durata di 48 minuti, continua quella stretta collaborazione tra la Cineteca del Friuli e Gloria De Antoni iniziata con I sentieri della gloria (2005) volta alla riscoperta e alla valorizzazione del passato cinematografico della nostra regione (film, personalità, location, …). Questa volta l’autrice, coadiuvata da Oreste De Fornari, suo partner televisivo in molti programmi, riporta sugli schemi Antonio Centa, nato a Maniago nel 1907, che, in un particolare momento in cui il cinema italiano stava cercando di darsi una propria fisionomia e caratterizzazione, divenne parte del sistema divistico nazionale. L’unico friulano che, a quell’epoca, riuscì a diventare famoso nel mondo del cinema. Mentre la De Antoni svolge la parte che le è più congeniale, il reportage, intervistando parenti, amici e persone che conobbero Centa, privilegiando aspetti, momenti, ricordi della sua vita privata, De Fornari ne delinea la parabola artistica attraverso i suoi “tasselli” più significativi. La lezione di cinema che De Fornari ci propone ha luogo in una sede emblematica: il Foro Italico (ex Foro Mussolini) tra quei mosaici pavimentali realizzati nel 1936 per celebrare la fondazione dell’Impero dagli artigiani del Friuli, conterranei di Centa, la cui avventura di cinema e di vita cominciò a Roma proprio in quello storico anno: “Anche il destino di Antonio Centa sembrava dovesse essere quello del mosaico, tanto è vero che è andato in America. Ma poi è tornato e ha scoperto che il suo destino era in quell’altro mosaico in bianco e nero: il cinema italiano degli anni’30”. Brani dei film da lui interpretati e di documentari Luce, foto di scena, filmati d’epoca piacevolmente accompagnati da famose canzoni di quegli anni e parti dell’intervista radiofonica di Francesco Savio a Centa registrata il 10 novembre 1974 per la Rai Radiotelevisione Italiana e conservata presso il Centro Sperimentale di Cinematografia e tante testimonianze raccolte da Gloria De Antoni rendono omaggio a quel friulano fotogenico che per tanti anni si era conquistato la fama di rubacuori, nel cinema e nella vita, tanto che nell’ultima scena del documentario Oreste De Fornari chiede scherzosamente alla De Antoni se intitolarlo “Il grande libertino” o “Il libertino gentiluomo”. Parlano di lui il nipote Massimo e Giuliana Centa, che  rievoca la scena dell’improvvisato provino di suo fratello Antonio alla presenza di alcuni pezzi grossi del cinema italiano (tra cui i registi Gennaro Righelli e Lucio D’Ambra) e, perfino, di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, che allora era capo del Sottosegretariato di Stato della Stampa e Propaganda. Rievocano momenti, curiosità, aneddoti della sua vita gli amici Ennio Di Bon, Antonio Tamai, Aldo Tomé, Gloriana e Luigi Toffolo, Sara Moranduzzo e altri maniaghesi che lo conobbero. Infatti a Maniago il suo ricordo è sempre rimasto molto vivo, anche perché Centa vi ritornava spesso, tanto da avervi voluto conservare la residenza ufficiale. Tra l’altro, al famoso concittadino il Cineforum Maniaghese ha dedicato due mostre fotografiche, una nell’estate del 2000 e una nel 1984, a pochi anni dalla sua scomparsa, avvenuta a causa di un incidente stradale il 19 aprile 1979. Partito da Maniago, dove, ospite di parenti, aveva trascorso le festività pasquali, viaggiando da solo con la sua Fiat 124 in direzione di Ferrara (dove viveva ed era molto conosciuto per aver gestito il ristorante “Giovanni”) si scontrò con  una Renault 5 sulla tangenziale est a un incrocio semaforico del quartiere San Bortolo di Rovigo. Rimasto ferito in maniera gravissima, morì durante il tragitto verso l’ospedale di Rovigo. Non solo i maniaghesi, ma tanti friulani di almeno due generazioni, anche quando i suoi film non circolavano più, continuarono a rammentarsi di Antonio Centa, la cui memoria era tenuta viva sulla stampa locale anche dagli articoli di Renzo Valente e di Mario Quargnolo, il quale sottolinea come fosse stato uno dei pochi attori “che, nel regno degli pseudonimi e dei nomi d’arte, non rinunciò mai all’arietta casalinga del suo cognome” e ricorda come, quando Centa, nella parte di un calciatore nel film La contessa di Parma (1937), fermato da un vigile e invitato a declinare le generalità, risponde: ”Nato a Udine”, mandava in visibilio i loggionisti del cinema Odeon di Udine, “che applaudivano freneticamente”. Tra le interviste del documentario c’è anche la testimonianza di una vecchia fiamma dell’attore, che però ha voluto rimanere anonima. Intervengono quindi importanti nomi del cinema, come Mario Monicelli, aiuto regista in due film interpretati da Centa proprio all’inizio della sua carriera, Ballerine (1936) e Squadrone bianco (1936), che porta una curiosa testimonianza relativa a un fatto poco noto del periodo americano di Centa, quando nel 1933 fu ingaggiato dai manager di Primo Carnera come suo assistente personale. Ci sono poi le testimonianze di Suso Cecchi D’Amico e del regista fiumano Romano Scavolini, nel cui film L’amore breve / Lo stato d’assedio (1969), girato a Trieste, Antonio Centa fa una delle sue ultime apparizioni. Il regista Dino Risi, che Gloria De Antoni è riuscita a intervistare poco prima della sua morte,  parla di Centa, che conobbe soltanto in occasione delle riprese a Viareggio del suo film Una vita difficile (1961), in cui l’attore friulano ha un breve ruolo, come di un personaggio “divertente, spiritoso, pieno di aneddoti, grande frequentatore di bar,… conosceva tutti”. Anche se l’ultimo a cui, con un piccolo ruolo, prese parte è l’elegiaco Giovinezza, giovinezza (1969) di Franco Rossi (che è il suo 43° film), Oreste De Fornari considera Una vita difficile il film che praticamente conclude il percorso di attore di Antonio Centa, “che era sempre stato un brillante, ma la loro epoca è passata, perché ora si impongono i comici”: e infatti il protagonista del film è Alberto Sordi. L’attrice Georgia Moll, che nel film Laura nuda (1961) ha il ruolo di sua figlia, lo ricorda come “un papà cinematografico molto affettuoso”, “un bellissimo uomo, pieno di charme, dal sorriso sornione, molto gentleman, un partner piacevolissimo”. Come giovanotto dalle buone maniere, dalla faccia simpatica, il sorriso pronto, l’aspetto signorile ed elegante, compassato, sobrio, Antonio Centa colse buoni successi nelle commedie sentimentali, i famosi film dei “telefoni bianchi”, la “fabbrica dei sogni” dell’Italia di quegli anni; ma all’occasione sapeva dar vita anche a personaggi duri e spavaldi in film drammatici. La carriera cinematografica di Centa, che inizia “per caso”, in maniera inaspettata e fulminea, con il ruolo di protagonista fin dal primo film, conosce il suo periodo più fortunato tra il 1936 e il 1943, godendo di buona notorietà, lavorando con i principali registi, attori e attrici, ma senza assurgere al livello di attore di primissimo piano. Coinvolto nella paralisi generale della produzione cinematografica nell’ultima fase della guerra, rientra in Friuli e riprende a lavorare nel 1945. Ma ormai i tempi, e il cinema, sono cambiati e pochi sono i film di cui è ancora protagonista. Piano piano, quasi in sordina, con quello spirito pacato e misurato che gli era tipico, Antonio Centa si allontana dal cinema italiano. E’ questo il motivo del titolo Il perdentegentiluomo? Lo chiediamo a Gloria De Antoni. “Come personaggio gli capitava di prendere delle lezioni dagli uomini “forti”, di carattere, come Fosco Giachetti e Gino Cervi. Come attore, quando si pensa a quegli anni, per quanto fosse un divo, c’è sempre qualche nome più carismatico che viene prima di lui, da Amedeo Nazzari a Rossano Brazzi. Comunque, il perdente, oggi, ha un significato più ricco di sfumature dell’effimero vincente”. (Messaggero Veneto, 15 gennaio 2009)

Centa e il documentario
Se, come ha raccontato Mario Monicelli nel documentario Il perdente gentiluomo, la vita di Antonio Centa ad un certo si incontra con quella di un altro friulano che era diventato molto famoso, Primo Carnera, che tra l’altro era suo coetaneo e nato (nel 1906) in un paese a pochi chilometri di distanza da Maniago, molti anni dopo Centa, che nella fase declinante della sua carriera di attore comincia ad intraprendere altre attività, tra cui la produzione e la regia di documentari, incontra un altro friulano molto celebre: il marionettista Vittorio Podrecca, cividalese (1883-1959). Dopo un lungo periodo in America, nel 1951 Podrecca con il suo Teatro dei Piccoli  rientra in Italia, realizzando con grande successo molti spettacoli. Anche la radio e il cinema si occupano dei Piccoli di Podrecca, relativamente ai quali Antonio Centa cura l’organizzazione di tre cortometraggi a colori negli stabilimenti Tirrenia Film (in provincia di Pisa), che vengono premiati alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia del 1952. Si tratta di I Piccolidi Podrecca in concerto, I Piccoli di Podrecca in varietà, I Piccoli di Podrecca in circo (la Cineteca del Friuli ne conserva le copie), la cui regia è del conte Alberto Ancilotto, nato a Treviso nel 1902 e morto nel 1971, autore di moltissimi documentari, soprattutto di carattere scientifico. Nel 1954 Centa dirige i cortometraggi La casa dei sogni, Jazz 1930, I canti del fiume, La corrida dei piccoli. (Messaggero Veneto, 15 gennaio 2009)                                 

 

 

 
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