Carlo Gaberscek su LA CITTÀ DI ANGIOLINA (2010)

La Trieste di Svevo e di Claudia
Un documentario racconta “Senilità” del 1962 con la Cardinale
Il commissario Vivaldi (Lando Buzzanca) che cammina preoccupato sul Molo Audace, l’avvocato Rocco Tasca (Sebastiano Somma) che sfreccia con la sua moto lungo le Rive, Caterina Vertova che esce dal suo ufficio viaggi in Piazza dell’Unità: sono immagini di Trieste ormai molto familiari ai telespettatori, soprattutto in queste settimane, quando, in prima serata, a Un caso di coscienza 4 ha fatto immediatamente seguito la seconda edizione di Io e mio figlio. Serie televisive di grande successo, ma anche film per il grande schermo, come i recenti Diverso da chi? e Amore, bugie e calcetto, girati e palesemente ambientati a Trieste. Una coincidenza di chiara collocazione geografica della vicenda narrata e di luogo delle riprese cinematografiche. Una produzione geographically correct che, quantunque non molto frequente nella prassi di quest’industria, è invece diventata normale in questi ultimi anni a Trieste. Se oggi dunque la città è diventata una location molto frequentata, cinquant’anni fa, quando il regista Mauro Bolognini vi girò Senilità, la realizzazione di un film era considerato ancora un grande evento, un fatto eccezionale, capace di coinvolgere e di appassionare tutta la cittadinanza. Il cinema era ancora un grande mito, un mondo sentito come fascinoso, brillante, invidiabile; ma lontano, inavvicinabile.
   Alla realizzazione del film Senilità, nei mesi di ottobre e novembre del 1961, è dedicato il documentario La città di Angiolina, con la regia di Gloria De Antoni e Oreste De Fornari, prodotto dalla Cineteca del Friuli, con il sostegno della regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e della FVG Film Commission. Un’occasione per riscoprire un buon film che oggi pochi conoscono. Infatti Senilità, uscito nel mese di marzo del 1962, dopo il ciclo della seconda e terza visione nel corso degli anni ’60, non ha avuto passaggi televisivi né è mai entrato nel mercato homevideo. Un film da riscoprire, dunque, e per molti motivi, tra i quali il rapporto cinema-letteratura. Prodotto da Moris Ergas, Senilità è sostanzialmente fedele al romanzo di Italo Svevo dal quale è tratto, pur con gli inevitabili tagli, variazioni, innovazioni, a cominciare dal trasferimento dell’azione di circa trent’anni, cioè dalla fine dell’Ottocento al 1927. La scelta di Trieste come location si rivela molto felice grazie alla particolare cura e attenzione che il regista, il direttore della fotografia Armando Nannuzzi, lo scenografo Luigi Scaccianoce, il costumista Piero Tosi e altri collaboratori dedicano alla ricostruzione ambientale, valorizzando al massimo il paesaggio urbano, e non solo i luoghi-simbolo di Trieste (Molo Audace, Piazza dell’Unità, Canal Grande, la vecchia Pescheria, le Rive, viale XX Settembre, Politeama Rossetti), ma anche altri meno noti, tra cui lo splendido palazzo in stile liberty di via Tigor n. 12, dimostrando di saper cogliere particolari aspetti, forme, scorci, prospettive, e di riuscire a trarre vantaggio anche dalle peculiari caratteristiche della stagione in cui nel film la vicenda si svolge, il tardo autunno e l’inizio dell’inverno (alberi spogli, cielo grigio, pioggia, bora), evidenziando un’atmosfera nordica. Bolognini e i suoi collaboratori scoprono in Trieste una grande capacità di rappresentazione cinematografica, una città ispiratrice di stati d’animo, inquietudini, malinconie, ansie, tensioni, emozioni. Ne fanno una città dal tempo sospeso, quasi svuotata dei suoi abitanti, immersa in una dimensione rarefatta, una città astratta di cui vengono privilegiati i notturni per meglio isolare gli incontri dei protagonisti e i tormenti amorosi di Emilio Brentani, dando vita a un’opera di elevata qualità visiva, un esempio di efficace corrispettivo cinematografico autonomo e parallelo rispetto al romanzo a cui si ispira.
Dei quattro protagonisti di Senilità solo due sono sopravvissuti. Claudia Cardinale, la vitale, esuberante, sensuale Angiolina, fortemente caratterizzata dal caschetto corvino con le vistose e mobilissime “virgole” sulle guance, viene intervistata da Oreste De Fornari nel suo appartamento parigino. Philippe Leroy, che oggi si dichiara un anti-divo, ha parole critiche nei confronti del modo in cui aveva interpretato la figura dello scultore Stefano Balli. L’attrice americana Betsy Blair, la mesta e dolente Amalia del film, è scomparsa nel marzo del 2009; ma la sua immagine viene evocata in questo documentario grazie alle eleganti riprese che erano state effettuate in occasione della sua partecipazione ad una recente edizione di Trieste Film Festival. Quanto ad Anthony Franciosa, scomparso nel 2006, lo rivediamo solo attraverso alcuni brani di Senilità inseriti nel documentario. All’uscita del film, la critica aveva disapprovato la scelta di Franciosa per il ruolo di Emilio Brentani e anche il documentario firmato De Antoni-De Fornari conferma tale punto di vista. L’aspetto aitante e atletico dell’attore americano, scelto per ragioni commerciali, era evidentemente molto diverso da quello che il romanzo ci lascia immaginare relativamente ad Emilio Brentani, l’intellettuale dal carattere debole e malinconico. Bisogna però prendere atto del fatto che, rispetto all’opera di Svevo, che presenta un impianto psicologico ed introspettivo, nel film di Bolognini viene molto potenziata la componente passionale ed emotiva e, in questa prospettiva, Anthony Franciosa riesce a conferire trasporto alla tensione passionale dell’Emilio cinematografico. Ma La città di Angiolina non è solo un lavoro sul film di Bolognini; infatti, come precisa il sottotitolo, è anche un omaggio alla Trieste di quell’epoca con la partecipazione di numerosi testimoni, a cominciare da Tullio Kezich, recentemente scomparso, a cui questo lavoro filmico è dedicato. (Messaggero Veneto, 20 gennaio 2010)

Articolo pubblicato in occasione della presentazione di La città di Angiolina al Trieste Film Festival.

 

 
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