Carlo Gaberscek su MARIA ZEF (1981) di Vittorio Cottafavi

Ritorna “Maria Zef”, opera maestra sul Friuli degli umiliati e degli offesi
La Sentinella della Patria (1927), Gli ultimi (1963) e Maria Zef (1981) sono le tre pellicole che costituiscono le tappe fondamentali del cinema friulano. Se la friulanità de Gli ultimi presentava un limite – il film non era parlato in friulano –, il mutato clima culturale degli anni ’70 con lo sviluppo di un maggior interesse per i dialetti e le lingue locali, rende possibile, soprattutto dopo il successo di L’albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi, la realizzazione di un film in lingua friulana. Quel film è Maria Zef, tratto dal romanzo omonimo di Paola Bianchetti Drigo, pubblicato da Treves nel 1936, una vicenda di vite umiliate, offese e lacerate, una storia cruda, amara, dolente, di un realismo tragico, ambientata nelle montagne carniche (zona del monte Crìdola, monte Tudaio, malga Varmòst, Forni di Sopra). Nata a Castelfranco Veneto (Treviso) da nobile famiglia nel 1876, la Drigo scrive racconti, novelle e due romanzi di intonazione tardo-naturalista, opere che rivelano la volontà di dare centralità narrativa alla condizione femminile. “Maria Zef” ottiene successo di pubblico e alcuni critici considerano la Drigo come la scrittrice d’area veneta più rilevante dei primi decenni del Novecento, degna di essere collocata sullo stesso piano delle scrittrici italiane contemporanee (Grazia Deledda, Matilde Serao, Ada Negri, Sibilla Aleramo). Poco dopo l’uscita del romanzo, Vittorio Cottafavi, di origine modenese, finiti i corsi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, pensa di ricavarne un film, ma il Ministero della Cultura non gli accorda il visto a causa della scabrosità della vicenda in cui sono presenti il tema dell’incesto e l’uccisione dello zio da parte della nipote (nel romanzo si parla anche di aborti e di sifilide). Altro motivo per non accettare il progetto di Cottafavi è l’immagine di povertà, di miseria, emarginazione, abbrutimento, disagi, privazioni che domina nell’ambientazione e nel contesto sociale. La Drigo muore all’inizio del 1938, ma il suo romanzo non viene dimenticato. E’ ristampato nel 1939, nel 1946, nel 1953 e nel 1982 sempre da Garzanti, mentre nel 2002 viene pubblicato dalla Biblioteca dell’Immagine e nel 2003 dalle edizioni del Messaggero Veneto.
Nel 1953 Luigi De Marchi, un regista trevigiano, ne trae un film, Condannata senza colpa, al quale collabora anche Renato Spinotti (zio del celebre direttore della fotografia Dante Spinotti) filmando alcune scene a Forni di Sopra. Si tratta di una pellicola prodotta a basso costo, in cui la vicenda originaria viene molto rimaneggiata, che ha poca fortuna e scarsa circolazione. Ma l’occasione per il rilancio di “Maria Zef” si presenta nel 1980, quando Vittorio Cottafavi, che è diventato, dopo una fulgida carriera cinematografica, un affermato regista televisivo, riesce a realizzare il suo antico progetto grazie alla nascita della terza rete RAI, la cui finalità è quella di valorizzare il patrimonio culturale locale. Fondamentale per il progetto “Maria Zef” si rivela la partecipazione di Siro Angeli. Nato a Cesclàns di Cavazzo Carnico nel 1913, Angeli, poeta (in italiano e friulano), saggista, narratore, programmista per la RAI e autore di radiodrammi, ha già collaborato con Cottafavi alla sceneggiatura di alcuni film. In questo caso, c’è un’importante novità: Maria Zef è parlato integralmente in friulano. A Siro Angeli, profondo conoscitore dell’anima carnica, viene quindi affidata la cura dei dialoghi in friulano. Ma il regista Cottafavi ottiene ancora di più: riesce a convincerlo ad interpretare il ruolo aspro e duro di Barbe Zef, il montanaro dal volto legnoso, dal carattere chiuso, cupo, solitario, ruvido, spigoloso, diffidente. E Angeli riuscirà a farne la figura più intensa e indimenticabile del cinema friulano, cercando di infondervi il massimo del realismo e il massimo dell’interiorizzazione. Siro Angeli rimane tanto condizionato dal suo personaggio da ritornare, dopo quell’esperienza cinematografica, alla produzione poetica in friulano con i “Pinzîrs di Barba Zef” pubblicati nella raccolta “Barba Zef e jò” (1985). Anche tutti gli altri interpreti del film sono friulani e non professionisti: le due sorelle Zef, Mariute (Renata Chiappino di Martignacco) e Rosute (Anna Bellina di Treppo Carnico), Compar Guerrino (Cesare Bovenzi) e tutta una serie di personaggi minori, tra cui Catine, la madre (Neda Meneghesso), la vecchia guaritrice (Odilla Ferigo), la superiora (Natalia Chiarandini), i due medici (Italo Tavoschi e Eddy Bortolussi). Anche il Trio Pakai partecipa al film suonando durante la scena del ballo alle “Case Rotte”.
Le riprese di Maria Zef sono effettuate dal 4 novembre 1980 al 23 gennaio 1981 e durante la settimana di Pasqua. Location e set a Forni di Sopra (gli esterni della baita di Barbe Zef), Paluzza (gli interni della baita stessa vengono ricostruiti in una stalla), Maiaso di Enemonzo (gli esterni delle “Case Rotte”, la fattoria di Compar Guerrino), Pavia di Udine (all’interno di Casa Beretta sono girate le scene della festa di carnevale alle “Case Rotte”), Villanova di San Daniele e San Odorico (le scene iniziali sul greto del Tagliamento), Villaorba di Basiliano (un’antica villa nobiliare diventa l’ospedale del convento), e Calalzo di Cadore (in provincia di Belluno) la cui stazione ferroviaria viene fornita di un treno d’epoca. La scelta di Pavia di Udine e altre location considerate particolarmente adatte per l’ambientazione si deve a Giancarlo Deganutti, presente tra i membri della troupe in qualità di delegato alla produzione del film televisivo. Notevole e prestigioso è l’apporto dello scenografo e costumista Carlo Leva, che ricostruisce fedelmente gli interni degli ambienti carnici e friulani e i costumi dei protagonisti. Nato a Bergamasco (Alessandria) nel 1930, nella sua lunga carriera diventa famoso soprattutto per la sua collaborazione ai cinque western di Sergio Leone, per i quali cura non solo costumi e arredamenti di tanti interni, ma anche grandi lavori in esterni, come lo spettacolare cimitero di guerra costruito con l’ausilio dell’esercito spagnolo nella splendida Valle de Mirandilla in provincia di Burgos, che, come location del “triello” finale, ha contribuito a rendere mitico il film Il buono, il brutto, il cattivo.
Come era già accaduto per Gli ultimi, anche Maria Zef, addirittura prima della sua realizzazione, diventa bersaglio di vivaci polemiche relative al contenuto, cioè all’immagine moralmente negativa della Carnia che ne sarebbe emersa. Articoli negativi si susseguono sulla stampa locale durante la fase delle riprese tra la fine del 1980 e l’inizio del 1981. Pochi mesi dopo, quando il film televisivo viene presentato in vari festival internazionali (Montreal, Cannes, Barcellona,…), ove ottiene il consenso della critica, Maria Zef  balza all’attenzione della stampa nazionale, ed anche internazionale, visto che Cottafavi è ammirato in Francia. Nel novembre del 1981 il film esce in doppia edizione, cinematografica e televisiva. Presentato in anteprima al cinema “Puccini” di Udine e al “David” di Tolmezzo, nonostante i commenti e i pareri ancora prevalentemente negativi apparsi sulla stampa, suscita comunque molta curiosità e grandissima partecipazione di pubblico. Mario Quargnolo, proprio sul Messaggero Veneto, dopo aver preparato il terreno durante i mesi della lavorazione e delle polemiche con articoli di approfondimento su Cottafavi e Angeli e sulla Drigo, lo accoglie con particolare favore (come del resto aveva fatto con Gli ultimi nel 1963). Maria Zef è quindi mandato in onda in due puntate il 21 e il 28 novembre su Rai Tre. Continua ad essere proiettato in varie sale di paesi friulani fino al 1984 e di tanto in tanto viene riproposto sul piccolo schermo, riscuotendo sempre interesse. Nonostante le polemiche e le prese di posizione iniziali, i friulani finiscono per “affezionarsi” a Maria Zef, il risultato della proficua collaborazione Cottafavi-Angeli, un lavoro dotato di ritmo adeguato, buona fotografia (di Nando Forni) e scenografia, personaggi femminili che riescono ad ingentilire e addolcire l’atmosfera prevalentemente dura e tragica, senso del paesaggio, momenti idillici e altamente poetici. Il film, nel giro di pochi anni, non solo viene “riscattato” e accettato dai friulani, ma gli viene anche riconosciuto un ruolo fondamentale nella storia del cinema locale. Maria Zef diventa infatti opera “maestra” con un’autorevole funzione di stimolo, spingendo molti giovani a cimentarsi in pellicole e video di carattere amatoriale in lingua friulana, un’esperienza che si è rapidamente sviluppata e che da più di vent’anni ha avuto modo di farsi conoscere ufficialmente tramite le edizioni della Mostre dal Cine Furlan. (Messaggero Veneto, 4 apriLe 2009)

 

 
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