Carlo Gaberscek su PERCHÉ (Enrico Mengotti, IT 1977)

Gemona 1976: una tragica storia d’amore
Numerose sono le testimonianze visive del sisma del 1976 in forma di documentario, ma sembrava che nessuno avesse pensato di realizzare un lavoro cinematografico a soggetto, a raccontare una storia in forma di fiction in relazione a quel tragico evento. Pochi mesi fa una “scoperta”: Enrico Mengotti, un filmmaker di Venezia (autore di altri lavori relativi al Friuli) ha depositato alla Cineteca del Friuli una sua pellicola in Super8: un cortometraggio di 22 minuti intitolato Perché, da lui diretto e girato tra le rovine di Gemona poche settimane dopo il terremoto del settembre 1976. E’ la storia di due giovani (interpretati da Franca Vianello e Lucio Zanverdian) che si conoscono su una spiaggia (scene girate “fuori stagione” al Lido di Venezia), si sposano e si trasferiscono nella casa di lui, a Gemona. Ma il terremoto stronca la loro storia d’amore: la giovane donna perde la vita  nel crollo della casa. Dopo la scena dell’estremo saluto alla salma di lei, l’uomo ritorna sulla spiaggia, ripensa ai momenti felici, poi si incammina lentamente nel mare, finché lo vediamo scomparire. Una sorta di flashback ci riporta a Gemona: l’amore cerca di vincere la morte, quel legame tragicamente infranto viene riconsacrato attraverso una seconda  celebrazione del loro matrimonio tra le rovine del duomo. Solo i due protagonisti e il loro amore; non c’è celebrante, perché essi stessi sono gli unici veri ministri, come non ci sono i testimoni ne’ altri. Una lunga panoramica inquadra quindi gli sposi dal portale del duomo fino all’ingresso della loro casa sulla piazza. Ultima sequenza: siamo nuovamente sulla spiaggia, è il tramonto; una figura in controluce, in campo lungo, si allontana, mentre sullo schermo appare la domanda: “Perché”. Una storia fondamentalmente semplice, con una forza interna capace di comunicare sentimenti, emozioni, stati d’animo, atmosfere. Un racconto breve, dotato di ritmo, immediatezza, forza d’impatto (straordinaria soprattutto nella rappresentazione della morte, del dolore, dello smarrimento), capace di coinvolgere quanto un lungometraggio. Un’opera che ha trovato la durata giusta per esprimere appieno l’idea di fondo in una forma di racconto “completa” e quindi si dimostra vincente nella prova che devono superare tutti i cortometraggi: sintesi, brevità, concentrazione. Cinema “amatoriale”, nel senso che è frutto di quel genuino amore per il cinema dimostrato da una larga schiera di dilettanti quando, a partire dal 1965, la Kodak introdusse il Super 8 millimetri, un formato di facile utilizzo e dai costi accessibili. Fu un’esplosione di “amatorismo”: film descrittivi di vacanze, riti di famiglia, avvenimenti pubblici, sino a film a soggetto. Dotato di carica vitale, espressione di una passione che spingeva a “fare”, il Super8 è però inevitabilmente costretto a “pagare” la sua libertà rimanendo un tipo di cinema artigianale, autarchico, autogestito, tecnicamente “povero”, come in Perché dimostrano le difficoltà di sincronizzazione e altre imperfezioni, le quali però non lo immiseriscono, ma anzi contribuiscono alla creazione di quell’aria “ingenua”, “naif”, che si rivela uno dei motivi di fascino e di simpatia suscitati da opere come questa, sin dal suo incipit, con la figura della protagonista allo specchio in un’atmosfera quasi “esotica” carica di colori “tropicali”. La spiaggia, location delle scene che seguono, è un caratteristico “topos” di tanti film amatoriali dell’epoca, del modo di raccontarsi, mostrarsi, autorappresentarsi: spiaggia come luogo della spensieratezza, della vacanza, della gioia, della libertà. Anche la chitarra fa parte del bagaglio dei “segni” della cultura di quegli anni. Le scene centrali, in interni, che sono le più deboli anche dal punto di vista tecnico, vengono “riscattate” dal tono alto, autenticamente creativo del flashback, con i protagonisti inginocchiati davanti a un altare in rovina e le trascinanti panoramiche verticali sulle pareti squarciate del duomo che si elevano con la forza di una preghiera, di una implorazione. A questo punto i valori espressivi delle immagini si sposano con quelli della musica creando una viva partecipazione patetico-emotiva e ritmo intensamente coinvolgente. Grande forza di visione ha la successiva scena del flashback che mostra i due sposi dapprima inquadrati davanti al portale (murato) del duomo, poi la lunga panoramica con cui la cinepresa li accompagna fino all’ingresso della loro casa: il quattrocentesco Palazzo Gurisatti, situato nella piazza del duomo di Gemona, che vent’anni dopo sarebbe diventato la sede della Cineteca del Friuli. Per una fortunata circostanza dunque la Cineteca del Friuli, uno dei cui principali obiettivi è anche quello del recupero, conservazione, restauro, archiviazione del cinema amatoriale, ha ritrovato in questa pellicola in Super8 l’opera che merita di diventarne l’”icona”. Dell’immagine dei due sposi “in posa” davanti al portale del duomo lesionato e di quella della facciata sventrata di Palazzo Gurisatti la Cineteca, nata essa stessa proprio dalle rovine di quel tragico sisma, può fare i simboli “ufficiali” non solo di quella che è stata anche la sua storia ma pure della storia del cinema, fatta di creazione, distruzione, speranza di sopravvivenza.

Articolo pubblicato sul Messaggero Veneto in occasione della proiezione del film al Cinema Teatro Sociale di Gemona, sabato 29 marzo 2008.

 

 

 
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