Carlo Gaberscek su MARIUTE (Edoardo Bencivenga, 1918)

Uscito nel maggio del 1918, facendo leva sull’enorme popolarità di Francesca Bertini, il film Mariute vuole essere un contributo alla propaganda bellica, portando sullo schermo un tema di drammatica attualità, quello della violenza alle donne nel Friuli occupato dalle truppe austro-tedesche dopo la ritirata di Caporetto. La Bertini in chiave ironica interpreta la parte di se stessa: una diva che vive lussuosamente nella sua villa di Roma, che si fa attendere per ore dalla troupe, che fa i capricci sul set. Ma quando un attore, reduce dalla prima linea, racconta delle atrocità subite dalla popolazione nelle terre invase, anche la frivola diva si commuove e nella notte ha un sogno in cui si immedesima in una di quelle vittime. E’ Mariute, una giovane contadina, madre di tre bambini, rimasta in Friuli, mentre il marito è al di là del Piave. Un giorno, tre soldati nemici, che stanno bivaccando nelle vicinanze, la violentano mentre sta tornando a casa. La donna verrà vendicata dal suocero, che a colpi di fucile uccide ad uno ad uno gli stupratori. Mariute è prodotto dalla Bertini Film, la società consociata della Caesar Film, fondata a Roma quattro anni prima dall’avvocato napoletano Giuseppe Barattolo, uomo di multiforme attività (fu anche deputato al Parlamento). Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, mentre gli altri stabilimenti cinematografici italiani, in preda al panico, chiudevano i battenti, al contrario la Caesar Film intensificò l’attività, assicurandosi la collaborazione di Francesca Bertini, attrice già affermata, che Giuseppe Barattolo, puntando sul nascente fenomeno del divismo, lanciò con una campagna pubblicitaria mai vista prima di allora, creando attorno a lei un alone di mito, tanto che l’attrice nel giro di un anno toccò il vertice della celebrità. Per lei fu coniato nel 1915 il titolo di “diva”. Per lei il giornalismo dell’epoca adottò un linguaggio iperbolico fino allora riservato alla tragedia e alla danza. Ma, pur realizzato in un momento importante e fortunato della carriera di Francesca Bertini, il film Mariute appare realizzato con una certa frettolosità e la sua interpretazione, non sostenuta da adeguata tensione recitativa, non risulta particolarmente ispirata. Dal punto di vista strutturale il film non è bene amalgamato: la parte relativa alla vita della diva risulta ripetitiva e addirittura troppo lunga. Mediocre sul piano qualitativo e tecnico, Mariute può essere considerato più interessante sul piano storico, come “documento” di quella produzione, ricca nella narrativa, ma abbastanza presente anche nella cinematografia, che affronta il tema degli stupri di guerra. Già nel novembre del 1917, subito dopo Caporetto, cominciarono a circolare, insistenti, notizie di violenze ai civili e di aggressioni alle donne italiane nelle aree occupate. Appena finita la guerra, si aprono i lavori di una prima Commissione organizzata dall’Ufficio Tecnico di Propaganda Nazionale, che lavora brevemente, dal 4 al 14 novembre, pubblicando immediatamente i suoi risultati in un volume dal titolo “Il martirio delle terre invase”. Subito dopo la conclusione di questa inchiesta preliminare viene nominata una Reale Commissione d’Inchiesta che raccoglie numerose testimonianze sulle aggressioni sessuali subite dalle donne italiane, ma al solo fine di sostenere la richiesta di danni dello Stato italiano alla Conferenza di Pace. Pertanto le violenze e gli stupri vengono ridotti a puro fatto statistico. Non ci fu la volontà di allargare ed approfondire la questione. D’altra parte, non era facile reperire informazioni, a causa delle reticenze non solo dei singoli, ma delle stesse comunità, che tendevano a celare i fatti. Le stesse autorità locali, parroci, sindaci o funzionari comunali, cercavano di occultare quegli “infausti episodi” attraverso l’uso di un linguaggio elusivo, ellittico, o di porre l’attenzione su altre problematiche del periodo dell’occupazione: saccheggi, furti, rapine, requisizioni, distruzioni. Anche il pudore e la vergogna delle stesse vittime, che non volevano compromettere se stesse o le loro famiglie, ebbero un ruolo decisivo nel processo di occultamento. Nell’immediato dopoguerra, accanto al problema della ricostruzione, nei territori che erano stati occupati si presentò anche il problema dei bambini nati dalla violenza, i “figli della guerra”, come si intitola un libro di mons.Celso Costantini, per iniziativa del quale nel dicembre del 1918 venne fondato a Portogruaro un istituto denominato “Ospizio dei figli della guerra” per accogliere gli illegittimi delle terre liberate concepiti durante l’anno dell’occupazione nemica. Nel 1919 venne riconosciuto come opera pia con il nome di “Istituto San Filippo Neri per la prima infanzia” e l’anno successivo fu trasferito a Castions di Zoppola. Le violenze sessuali compiute dai soldati contro le donne che vivono nei territori occupati sono una realtà che in misura e forme diverse accompagna da sempre le guerre. Tuttavia, prima della Grande Guerra, il tema non era mai stato adeguatamente approfondito. In anni recenti, nell’ambito dell’ancor giovane storiografia sulle atrocità di guerra, la tematica della violenza alle donne in Friuli e nelle zone del Veneto incluse nell’area delimitata dalla linea che dal Pasubio corre al Monte Grappa e prosegue per il corso del Piave durante l’occupazione austro-germanica (fine ottobre 1917-inizio novembre 1918) diventa oggetto di ricerche, tesi di laurea e pubblicazioni da parte di A.M. Banti, B. Bianchi, F. Bruni, L. Calò, D. Ceschin, G. Corni, A. Falcomer, E. Fantin, A. Gibelli. Pure il film Mariute, pur con i limiti a cui si è accennato, presenta dunque caratteri, elementi, spunti che possono essere interessanti nell’evoluzione del dibattito che si sta svolgendo, anche a livello locale, sulla prima guerra mondiale.

Versione completa d un articolo scritto per il Messaggero Veneto in occasione della presentazione del film (copia della Cineteca Nazionale) alle Giornate del Cinema Muto 2009.

 

 
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