Carlo Gaberscek su IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO (IT 1966)

Omaggio della Cineteca a Clint Eastwood: Il cult che piaceva a Kennedy
Il buono, il brutto, il cattivo, un titolo diventato tanto famoso che, all’uscita del film America, nel gennaio del 1968, Bob Kennedy lo cita in un discorso, dichiarando che avrebbe voluto utilizzare questo titolo per la sua campagna elettorale allo scopo di rendere più facile la distinzione tra lui, Johnson e Nixon. È il film che finalmente impone Clint Eastwood e Sergio Leone anche negli Stati Uniti, ricompensando ampiamente lo sforzo della United Artists, che aveva partecipato al finanziamento del film stesso e si era impgnata nella distribuzione dell’intera “trilogia del dollaro” di Leone, con una costosa campagna pubblicitaria. Il successo commerciale di Il buono, il brutto, il cattivo apre il mercato americano al prolifico filone dello spaghetti western, che finisce per influenzare anche i successivi western made in USA. Il film era stato campione di incassi anche in Italia. Uscito a Natale 1966, si era piazzato al terzo posto dopo Il Dottor Zivago e La Bibbia. È la storia, ambientata nel New Mexico nel 1862, di tre avventurieri cinici, avidi, calcolatori, alla ricerca di un tesoro nascosto mentre infuria la guerra civile americana. Clint Eastwood, nel ruolo del “Buono”, che praticamente ripropone la maschera dei due film precedenti (il pistolero taciturno di Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più), questa volta si trova affiancato non solo da Lee Van Cleef, già coprotagonista nel secondo film della trilogia, ma anche da un altro attore americano, Eli Wallach, che nel ruolo di Tuco, l’istrionico e picaresco bandito messicano, grazie al suo naturale talento comico spesso riesce a rubargli la scena. È proprio a causa del forte ruolo di Eli Wallach in questo film che Clint Eastwood non accetta di fare altri film con Sergio Leone.
Gli esterni di Il buono, il brutto, il cattivo, la cui storia è vengono girati in Spagna, come nel caso dei due precedenti lavori di Leone e di buona parte (circa 400 film) della produzione spaghetti western. Nella prima parte di Il buono, il brutto, il cattivo prevalgono i paesaggi di tipo desertico della provincia di Almería, nella parte orientale dell’Andalusia: ramblas (canyons); campagne aride; una zona di dune sulla costa del Mediterraneo per rappresentare l’attraversamento del deserto. Sono inoltre utilizzati non solo set cinematografici, come il grande villaggio western (ora diventato una celebre meta turistica) costruito da Carlo Simi per il film Per qualche dollaro in più, ma anche autentiche strutture storiche e rurali, come un antico castello diroccato che diventa un ospedale militare; villaggi dalle basse case imbiancate a calce; cortijos (fattorie), tra cui il grande Cortijo del Fraile (che ispirò a Federico García Lorca la tragedia “Nozze di sangue”) il quale viene a rappresentare il convento francescano dove è ricoverato il “Buono” dopo la lunga marcia nel deserto. In un western dal grosso budget come questo non potevano mancare scene ferroviarie, per le quali viene scelta la piccola stazione ferroviaria di La Calahorra in provincia di Granada.Per girare le sequenze relative alla seconda parte del film la troupe di Il buono, il brutto, il cattivo si trasferisce nel nord della Spagna, a 600 chilometri di distanza. Si tratta di locations inedite per il western, situate tra le montagne della vecchia Castiglia a sud della cittadina di Salas de los Infantes, in provincia di Burgos, dove Sergio Leone può contare anche sulla collaborazione dell’esercito spagnolo, sia per scene di massa e di battaglia sia per la costruzione di elaborati set. Nella stretta valle del Río Arlanza viene costruito il ponte che è teatro di furiosi scontri tra nordisti e sudisti. A pochi chilometri di distanza, nella splendida Valle de Mirandilla (foto sopra e qui a fianco) sono realizzate le memorabili sequenze del campo di concentramento e quella del famoso triello, lo scontro finale fra i tre protagonisti nel grandioso cimitero di guerra di forma circolare, enfatizzato dalla musica di Ennio Morricone e dalla fotografia di Tonino Delli Colli. Il film si conclude con la figura di un cavaliere che, in campo lunghissimo, attraversa completamente loschermo. È Clint Eastwood che si allontana per sempre dal western all’italiana per ritornare in patria, dove avrebbe iniziato la sua “seconda carriera americana”, un lungo e tenace percorso personale che l’avrebbe portato a diventare l’ultima grande star della vecchia scuola hollywoodiana e uno dei maggiori registi del cinema contemporaneo. (Messaggero Veneto, 28 maggio 2010)

Articolo scritto in occasione della presentazione del film al Cinema Teatro Sociale di Gemona, in data 31 maggio 2010, giorno dell'ottantesimo compleanno di Clint Eastwood.

 

 
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