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Anno festival Sezione festival
2013 Ucraina: il grande esperimento

Titolo film ZEMLYA
Titolo alternativo 1 [La terra]
Titolo alternativo 2 [Earth]
Titolo alternativo 3
Paese UkrSSR [Ukraine / USSR]
Data uscita 1930
Produzione VUFKU, Kyiv
Regista Oleksandr Dovzhenko

Formato   Velocità (fps)
DCP   24
     
Lunghezza   Durata
  79'

Fonte copia Oleksandr Dovzhenko National Film Centre, Kyiv
   
Note copia orig. l: 2425.8 m.
Didascalie in russo e ucraino / Russian and Ukrainian intertitles

Cast
Semen Svashenko (Vasyl Trubenko), Stepan Shkurat (zio/Uncle Opanas), Yuliya Solntseva (sorella di Vasyl/Vasyl’s sister), Elena Maksimova (Natalia,), Mykola Nademskyi (zio/Uncle Semen), Ivan Franko (Arkhip Bilokin), Petro Masokha (Khoma Bilokin), Vladimir Mikhailov (il prete del villaggio/village priest), P. Petryk (giovane leader della cellula di partito/young Party-cell leader), Pavlo Umanets, E. Bondina, Luka Liashenko (giovane/young kulak), Vasyl Krasenko
 
Altri credits
prod., scen: Oleksandr Dovzhenko; f./ph: Danylo Demutskyi; f./ph. asst: Borys Kosarev; scg./des: Vasyl Krychevskyi, Jr.; mus: Lev Revutskyi (1930), Viacheslav Ovchinnikov (1971), DakhaBrakha (2012)
 
Altre informazioni
première: 8.4.1930
 
Scheda film
Per rendere operanti i principi della collettivizzazione, Vasyl, un giovane contadino a capo di una comunità del Komsomol locale, decide di portare nel villaggio un trattore per spartire in modo equo la terra tra i contadini più poveri. La vita del villaggio, che Vayl intende cambiare con ogni mezzo, scorre abbastanza armoniosa: i benestanti “kulak” e i loro figli osteggiano i giovani membri del Komsomol, ma il lavoro in comune e l’abbondante raccolto uniscono i contadini alla terra e anche tra di loro. Quando finalmente arriva il trattore, Vasyl spiana i confini dei terreni dei kulak, distruggendo simbolicamente non solo la proprietà privata ma anche l’assetto economico artigianale. In una notte di plenilunio, il giovane “kulak” Khoma uccide a tradimento Vasyl. Il padre di Vasyl, fin lì scettico sulle iniziative collettiviste del figlio, decide di unirsi ai comunisti. Chiede perciò di seppellire Vasyl nel modo nuovo, senza preti né lamenti funebri. La morte di Vasyl porta una nuova vita, e il retrogrado Khoma, rendendosi conto che il suo vecchio mondo sta crollando, perde il senno.
Ultimo segmento della trilogia epica di Dovzhenko, Zemlya fu girato nell’estate/autunno del 1929. Per ottenere la maggiore autenticità possibile, Dovzhenko ingaggiò attori della scuola del teatro d’avan-guardia Berezil di Les Kurbas e anche attori non professionisti. La politica di collettivizzazione era stata promulgata solo di recente dal Partito, e Dovzhenko affrontò il soggetto da una prospettiva mistico-filosofica, mentre la terra diventa una metafora dell’universo nazionale, il centro e il significato dell’esistenza del contadino ucraino. Il villaggio patriarcale del film, la cui tranquillità è interrotta dall’arrivo di un trattore, esiste fuori dal tempo storico alla stregua di un paradiso terrestre. In questo universo armonioso, gli agricoltori conducono un’esistenza pastorale felice e senza tempo. La collettivizzazione provoca la dissoluzione del legame mistico e organico dell’uomo con la natura e infrange l’ordine eterno di questo universo.
Le immagini di natura rigogliosa, di terra fertile e di abbondanti raccolti, splendidamente filmate da Danylo Demutskyi, sovvertono l’idea stessa di collettivizzazione, che Dovzhenko cerca di giustificare più che consolidare. Diversamente dai protagonisti dei suoi film precedenti, l’attivista del Komsomol Vasyl è presentato con freschezza di spirito e senza eccessiva monumentalità. Vasyl è un romantico e un entusiasta che non nasconde il suo amore per la terra e per la vita. Distrugge il potere della terra sull’uomo e infine la soggioga, pagando per questo con la vita. Da questo malinconico punto di vista rurale, le forze elementari della vita sono sottomesse a un tacito accordo con la natura, e le azioni di Vasyl appaiono assurde.
Il film di Dovzhenko si anima di poesia grazie alla preziosa fotografia del cineoperatore Demutskyi, che può essere legittimamente considerato come un co-autore del film. Il film abbonda d’immagini incantevoli, che descrivono l’amore per la terra e la fine di un antico stile di vita: primi piani meditativi, luci mattutine e cieli sconfinati che fanno da sfondo a molte scene pastorali; e nella sequenza della “danza di Vasyl”, girata in una nebbia dorata, par quasi di udire una melodia di canti popolari. Il panteismo poetico di Zemlya è filosoficamente in sintonia con il “vitalismo romantico” dello scrittore Mykola Khvylovyi (1893-1933), un ideologo del rinnovamento culturale ucraino degli anni ’20, con il quale Dovzhenko aveva una grande affinità emotiva e intellettuale.
Dopo gli inevitabili tagli e 32 proiezioni tra ufficiali e private, Zemlya uscì nelle sale di Kiev l’8 aprile 1930 – e dopo solo nove giorni ne fu bandito, con l’accusa di “biologismo” e naturalismo. Le raggelanti critiche a Zemlya furono un duro colpo psicologico per Dovzhenko: “Tutta la gioia per il buon risultato artistico fu annientata in modo violento dal terribile pamphlet ‘dvopidvalnyi’ (a doppio taglio) di Demyan Bedny pubblicato sul quotidiano Izvestiya con il titolo Filosofy (I filosofi). Mi si sono ingrigiti i capelli e sono invecchiato letteralmente in pochi giorni. Fu un vero trauma psichico. Sulle prime sarei voluto morire”. Dovzhenko cadde in una depressione che lo avrebbe accompagnato quasi per tutta la vita. Le accuse di “nazionalismo borghese” coincisero con le prime purghe staliniane dell’intellighenzia patriottica ucraina e Dovzhenko iniziò a temere per la propria vita. Il suo terrore raggiunse il culmine nel 1933, dopo il suicidio di Mykola Khvylovyi, un evento che assurse a simbolo dell’annichilimento di un’intera generazione di artisti e che a tratti sfociò in mania di persecuzione.
Dovzhenko è probabilmente la personalità più importante e controversa della cultura ucraina sovietica. Uomo rinascimentale, capace di manifestare il proprio genio creativo in diverse forme d’arte, sviluppò un proprio sistema filosofico e un progetto politico-culturale per l’Ucraina scevro da ogni dogmatismo comunista, con una visione d’avanguardia che univa futurismo e tradizionalismo, utopia e conservatorismo. Negli anni della maturità, ormai consapevole dell’impossibilità di esprimere appieno il suo talento, il frustrato Dovzhenko abbracciò la credenza del messianismo, meditando sul destino del popolo ucraino, soffrendo terribilmente per la sua tragedia e concependo la propria esistenza come un sacrificio che avrebbe potuto riscattare il peccato ucraino di auto-relegazione nell’oblio. Per lui, Zemlya era una testimonianza profondamente personale: “In Zemlya, muore mio nonno. Shkurat è mio padre. Io sono un bambino seduto con una ragazzina su un mucchio di terra… Quanto ho sofferto, quanto ho maledetto l’amministrazione che con la sua indegnità logorava i miei nervi, la mia anima, tutte le mie forze. Quanta delusione dopo il completamento del film!”. Nell’Unione Sovietica, Zemlya fu riabilitato solo dopo la morte di Dovzhenko nel 1958. Nello stesso anno, in un sondaggio internazionale indetto dalla Cinémathèque del Belgio in occasione dell’Expo 58 di Bruxelles, i critici consultati lo votarono nella lista dei 12 film più importanti nella storia del cinema mondiale.
Il restauro Zemlya fu restaurato e ri-montato una prima volta presso gli studi Mosfilm nel 1971. Nel 2007 il Centro Oleksandr Dovzhenko eseguì un restauro digitale per l’edizione completa dei film di Dovzhenko in DVD. A questo ha fatto seguito nel 2013 un restauro digitale 2K usando i materiali di una versione del 1930 e della versione restaurata nel 1971.
La musica Nel 2012 il Centro Oleksandr Dovzhenko commissionò alla popolare band ucraina di world music DakhaBrakha la creazione di una colonna sonora per Zemlya. Che in questa versione fu presentato per la prima volta come evento speciale al Festival cinematografico di Odessa nel 2012 e poi come film d’apertura al GogolFEST nel settembre dello stesso anno.
I DakhaBrakha sono la più nota band ucraina di world music, celebrata in particolare per le sue originali atmosfere sceniche di etno-caos. Questo quartetto di polistrumentisti e cantanti fonde ritmi e melodie del folklore ucraino con sonorità provenienti dall’Est europeo e dall’Asia occidentale, coniugando elementi autenticamente popolari a tecniche minimaliste. Nell’ultimo decennio, i DakhaBrakha sono diventati una band di culto in Ucraina, dove hanno pubblicato cinque album: Na dobranich (Buonanotte, 2006), Yahudky (Bacche, 2007), Na mezhi (Sul ciglio, 2009), Light (2010) e Khmeleva Project (con la collaborazione dei Port Mone, 2012). La band rappresenta ufficialmente l’Ucraina nei maggiori festival mondiali ogni estate. – Ivan Kozlenko