torna alla ricerca torna alla ricerca   English

Anno festival Sezione festival
2011 Il canone rivisitato - 3

Titolo film OBLOMOK IMPERII
Titolo alternativo 1 Gospodin Fabkom
Titolo alternativo 2 A Fragment of an Empire
Titolo alternativo 3 [Un frammento d’impero / Mr. Factory Committee]
Paese USSR
Data uscita 1929
Produzione Sovkino, Leningrad
Regista Fridrikh Ermle

Formato   Velocità (fps)
35mm   18
     
Lunghezza   Durata
2055 m.   100'

Fonte copia Österreichisches Filmmuseum/Austrian Film Museum, Wien
   
Note copia Didascalie in russo / Russian intertitles.

Cast
Fedor Nikitin (NCO Filimonov), Liudmila Semyonova (la sua ex moglie/Filimonov’s ex-wife), Valerii Solovtsov (il suo secondo marito/her husband), Iakov Gudkin (il soldato ferito/the wounded soldier), Viacheslav Viskovskii (ex padrone della fabbrica/former factory owner);
 
Altri credits
scen: Katerina Vinogradskaia, Fridrikh Ermler; f./ph: Yevgeni Shneider, Gleb Bushtuev; scg./des: Yevgeni Yenei; aiuto regia/asst. dir: Robert Maiman, Viktor Portnov
 
Altre informazioni
 
Scheda film
Oblomok imperii viene spesso citato nelle storie del cinema russo come opera esemplificativa di un momento di transizione nella storia del cinema: una controversa sintesi tra il cinema di “montaggio” e di “tipizzazione” sviluppato dai cineasti sovietici radicali del periodo muto e il primo cinema sonoro prevalentemente basato sui dialoghi e sulla caratterizzazione dei personaggi. Nel 1929, Ermler aveva già diretto cinque film (ivi inclusi i due co-diretti con Edvard Ioganson) ed era diventato una figura chiave in seno alla comunità dei cineasti di Leningrado, i quali, rispetto ai loro colleghi di Mosca, tendevano a dare maggiore risalto agli aspetti più personali della convivenza sociale. In precedenza, Ermler aveva partecipato alla guerra civile (esperienza di cui si trova eco negli episodi iniziali di Oblomok), si era iscritto al partito bolscevico e aveva frequentato una scuola di cinema. Fin da subito aveva mostrato un vivo interesse per tutto ciò che avesse un potenziale cinematografico innovativo – ad esempio, per la teoria freudiana ancora ben accetta nell’Unione Sovietica dei tardi anni ’20.
Oblomok racconta la storia di un Rip Van Winkle russo, un sottufficiale dell’armata imperiale russa che, persa la memoria su un campo di battaglia della Grande Guerra, dieci anni dopo, grazie ad una epifanica (e freudiana) guarigione, si ritrova nell’ambiente a lui totalmente sconosciuto sorto dopo la rivoluzione bolscevica del 1917.
Il ruolo dell’eroe traumatizzato dai bombardamenti era interpretato da Fëdor Nitikin, un attore formatosi presso il Teatro dell’Arte di Mosca e che era già apparso come protagonista in tre film di Ermler, permeando le sue interpretazioni di metodo Stanislavskij e della sua particolarissima sensibilità personale. Secondo Ermler, gli occhi di Nikitin “gridavano” e “parlavano” con più forza e capacità di persuasione di qualsiasi parola. In Oblomok il regista chiese all’attore di emulare “gli occhi di Cristo”. E gli occhi di Nikitin divennero il vero fulcro emotivo del film, una forza che riesce a tenere assieme la sua materia disomogenea.
Coadiuvato dagli ex-membri del KEM (Kinoeksperimental’naja masterskaja), un gruppo co-fondato da Ermler nel 1924 con il proposito, vagamente formulato, di creare un’alternativa proletaria all’arte borghese (ivi compreso il teatro di Stanislavskij), e da Liudmilla Semenova, la peculiare protagonista di Tret’ja Meščanskaja (Terza Meshchanskaya, 1927) di Abram Room, Fëdor Nikitin riprende nel suo personaggio il tema della rigenerazione personale che fu un leit motiv ricorrente nei film di Ermler del periodo muto. Oblomok imperii suscitò tra i contemporanei reazioni che furono altrettanto eterogenee delle tecniche adottate da Ermler. Alcuni critici lo salutarono come un innovativo esempio di cinema psicologico, emotivo – altri ne deprecarono gli errori formalistici, naturalistici e sociologici.
Le accuse di formalismo riguardarono soprattutto l’uso del montaggio. Per molti versi, Oblomok imperii risente palesemente dell’influenza di Sergej Ejzenštejn, che Ermler considerava il proprio “padrino artistico” e le cui critiche lo indussero a ri-girare i primi tre rulli del film. La concezione eisensteiniana del montaggio associativo e “intellettuale”, che può stabilire nuovi significati attraverso la giustapposizione delle immagini, viene applicata nell’episodio del risveglio del protagonista, dove la manifesta eterogeneità delle immagini e le intense frasi del montaggio formano un unicum che Ermler definì come “la fedele ricostruzione clinica di un processo psichico”. Questa dichiarazione ottenne l’avallo di Ejzenštejn, che nelle sue conferenze sull’arte della mise en scène ebbe a lodare l’autenticità “documentaria e clinica” dell’episodio. Il “potere dell’ispirazione primitivo-sensoriale” rilevato in Oblomok imperii da Rudolf Arnheim, si riferisce soprattutto alla cupa – letteralmente e metaforicamente – parte iniziale del film. Un incipit composto da immagini di guerra e di caos, ispirate all’opera pittorica di Käthe Kollwitz e George Grosz, costruite da Evgenij Yenei, lo scenografo per eccellenza della “scuola di Leningrado”, ed espressionisticamente fotografate da Evgenij Shneider, qui assistito da un vecchio collaboratore di Ermler, Gleb Bushtuev. Queste immagini offrono un contrasto strutturale con quelle, in parte fondate sull’osservazione e in parte idealistiche, di una nuova vita pacifica, di una nuova architettura e di una nuova industria nella seconda parte del film, la parte “sovietica”. Oblomok imperii rivela il talento di Fridrikh Ermler nel mettere le sfumature psicologiche al servizio dell’ideologia. Nondimeno, le qualità artistiche e la complessità formale del film lo pongono oltre i confini dell’ideologia marxista – e, se è per questo, anche delle teorie freudiane – e ne fanno un ottimo oggetto di proficua revisione dei canoni cinematografici. – SERGEI KAPTEREV