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Anno festival Sezione festival
2004 DZIGA VERTOV: LE FABBRICHE DEL REALE Prog. 14

Titolo film CHELOVEK S KINOAPPARATOM
Titolo alternativo 1 L’UOMO CON LA MACCHINA DA PRESA
Titolo alternativo 2 MAN WITH A MOVIE CAMERA
Titolo alternativo 3
Paese USSR
Data uscita 1929
Produzione VUFKU
Regista Dziga Vertov
(Author/Leader)

Formato   Velocità (fps)
35mm   24
     
Lunghezza   Durata
1785 m.   65'

Fonte copia Nederlands Filmmuseum
   
Note copia Didascalie in russo / Russian intertitles

Cast
 
Altri credits
chief ph: Mikhail Kaufman; asst. dir: Elizaveta Svilova
 
Altre informazioni
rel: 9.4.1929; lunghezza originale / orig. length: 1839 m
 
Scheda film
In accordo con il movimento artistico produzionista (di cui diremo in seguito), L’uomo con la macchina da presa è un film sulla realizzazione di un film, ma non è solo questo a renderlo unico; il fatto è che il film di cui L’uomo con la macchina da presa mostra la realizzazione è proprio L’uomo con la macchina da presa. È come se avesse due, persino tre, identità ad un tempo: il film che stiamo guardando, il film che vediamo realizzare ed il film che ci viene mostrato mentre viene mostrato da qualche altra parte. Non ci sono confini netti tra i tre o, per essere più precisi, i confini sono netti; è Vertov che continua a prenderci in giro spostandoli continuamente.
Prendiamo l’inizio del film. L’uomo con la macchina da presa si apre con un prologo ambientato in una sala cinematografica. Noi vediamo quanto accade nella cabina di proiezione e nella buca dell’orchestra prima di un film, e vediamo anche la gente riempire la sala, proprio come l’abbiamo riempita noi pochi minuti prima. Che film sono venuti a vedere? Quando il proiezionista apre il contenitore e si prepara a mettere la pellicola sul proiettore, possiamo leggere il titolo: “Liudina z aparatem, Ch. 1,” [ucraino per L’uomo con la macchina da presa, Rullo Uno] – proprio il rullo del film che stiamo guardando ora – ma naturalmente anche nella finzione è L’uomo con la macchina da presa che sta per essere proiettato. Si noti l’affascinante sensazione di essere “dentro” e “fuori” allo stesso tempo, che sarà la chiave dell’intero film. Vediamo come la bacchetta del direttore richiami l’attenzione dell’orchestra, come il proiezionista sistemi la manopola della lampada ad arco voltaico, come all’interno del proiettore due aghi si avvicinino e, mentre una vivida luce si forma tra loro, i due film – quello che stiamo guardando e quello mostrato al pubblico sullo schermo – diventano uno solo. Il prologo è finito, e noi facciamo ora parte del suo pubblico.
Quest’illusione – la fusione dei due film e dei due cinema in uno – potrebbe essere stata particolarmente forte quando L’uomo con la macchina da presa fu proiettato alla prima del 9 aprile 1929. Dalle istruzioni di Vertov all’orchestra sappiamo che non voleva che si sentisse alcuna musica durante il prologo, niente tranne le percussioni che imitavano il “tic-tac dell’orologio” – il ritmo del silenzio. Solo quando il direttore d’orchestra sullo schermo agita la bacchetta ed i musicisti sullo schermo iniziano a suonare si presume che si inserisca la musica dal vivo di una vera orchestra. Se può esistere un trompe-l’oeil musicale, dev’essere questo.
Coloro che hanno seguito le nostre proiezioni di Kino-Pravda avranno notato che quella qualità auto-riflessiva, quell’ambiguità fuori-o-dentro non è propria del solo Uomo con la macchina da presa. Ricordate i numeri 6 e 9, che iniziano in una cabina di proiezione e mostrano come un proiezionista carichi Kino-Pravda 6 e 9 nel suo proiettore, od un numero più recente, il 18, con l’ombra ricorrente di un uomo con una macchina da presa, che riprende ciò che noi vediamo. Si tratta solo di un’idiosincrasia barocca, o nell’epoca e nella cultura di Vertov c’è qualcosa che può aiutarci a spiegare la storia“dietro le quinte” delle immagini filmiche e dei film?
Per rispondere a questa domanda dovremmo collegare L’uomo con la macchina da presa alla dottrina del Fronte di Sinistra (LEF) nota come produzionismo (proizvodstevennichestvo), secondo cui (per riassumere) nella società del futuro dove tutti lavorano il lavoro stesso – non i suoi risultati finali – diventerà il valore estetico. Il processo prevarrà sull’oggetto, la produzione sul prodotto. Il futuro appartiene all’arte del lavoro, non all’opera d’arte.
Questa era davvero una teoria molto vaga, ma forse proprio per questo le idee produzioniste divennero produttive per il cinema eper l’arte di sinistra. Spettava all’artista tradurre in pratica tali idee. Non era forse un compito interessante e stimolante – girare un film o scrivere un libro che si preoccupasse meno del proprio valore finale – il libro come tale, il film come tale – che del processo di realizzazione? Improvvisamente, generi marginali come i libri fai-da-te per bambini vennero alla ribalta. Uno di questi, una raccolta di poesie del 1926 dal titolo rivelatore di Samozveri (Auto-animali), dello scrittore e teorico produzionista Sergei Tretiakov, è talmente simile ad un Uomo con la macchina da presa in miniatura da meritarsi una citazione. Le poesie incluse nel libro descrivono le avventure di persone ed animali ritagliati nella carta; ci sono anche illustrazioni fotografiche che mostrano queste avventure vissute dalle persone e dagli animali ritagliati (disegnate, messe in scena e fotografate dagli artisti costruttivisti Aleksandr Rodchenko e Varvara Stepanova). Un libro come tale, ma la ragione per il titolo “auto-animali” è che, oltre alle poesie ed alle figurine di carta fotografate, esso comprende tabelle che aiutano il piccolo lettore a prendere in mano le forbici, ritagliare i suoi animali di carta e far loro vivere nuove avventure. Un libro produzionista modello, in cui lettura ed azione sono trattate come una cosa sola.
Due grandi registi, Vertov e Sergei Eisenstein, cercarono di applicare il principio produzionista al loro lavoro. In tal senso, per Eisenstein lo scopo non era produrre film, ma produrre spettatori di film. I suoi film, scrisse, erano l’equivalente del martello per l’operaio della fabbrica: il loro scopo era costruire la mente dello spettatore attraverso una serie di shock calcolati in precedenza. Invece, l’approccio di Vertov all’arte della produzione era più di tipo costruttivista, simile al libro fai-da-te costruttivista summenzionato. Le vere opere d’arte costruttiviste, dalla torre di Tatlin ad un libro per l’infanzia, sono trasparenti per quanto attiene alla loro realizzazione e “costruzione.” Questa trasparenza si può descrivere al meglio attraverso una metafora di tipo architettonico. Di solito, dopo la costruzione di un edificio il costruttore rimuove le impalcature. Gli artisti costruttivisti preferirebbero rimuovere il palazzo, lasciando però le impalcature intatte. Il film di Vertov è simile: la costruzione della costruzione è più importante della costruzione costruita. Il fatto che L’uomo con la macchina da presa sveli il meccanismo della sua stessa produzione – dal cameraman al montatore fino al proiezionista ed all’orchestra – era coerente sia con il principio della trasparenza costruttivista sia con la dottrina produzionista. Vero film fai-da-te, L’uomo con la macchina da presa antepone la realizzazione al prodotto finito. Ogni volta che il film viene mostrato viene fatto di nuovo. Mentre gli altri film sono fatti per esistere, questo esiste per essere fatto.
Difficilmente si troverà un film muto sovietico più spesso presentato in Occidente dell’Uomo con la macchina da presa, che è anche già stato proposto alle Giornate, non però in questa versione. Tutte le copie 35mm disponibili in Occidente hanno lo stesso difetto: sono state cioè stampate col quadro sonoro senza recuperare il rapporto d’apertura del fotogramma, il che significa che la parte sulla sinistra corrispondente allo spazio occupato da una colonna sonora è andata perduta, e con essa le studiate composizioni di Mikhail Kaufman. La copia del Nederlands Filmmuseum che presentiamo è una buona copia a fotogramma pieno, la cui provenienza risale all’epoca in cui L’uomo con la macchina da presa fu proiettato per la prima volta nei Paesi Bassi. L’unico problema è che manca l’inquadratura che mostra, a bruciapelo, il momento in cui viene partorito un bambino, la manifestazione più diretta del cinema diretto di Vertov, che può essere il motivo per cui è stata censurata dalla copia olandese. Per colmare questa lacuna, il Rullo 3 dalla copia integrale (a fotogramma pieno) dell’Uomo con la macchina da presa preservata al RGAKFD sarà presentata dopo la versione olandese.
È stato Aleksandr Deriabin a suggerire di proiettare Cinecalendario di Stato N. 47, del 1925, prima dell’Uomo con la macchina da presa, del 1929. Ciò aiuta a collocare il famoso trucco dell’ultimo rullo dell’Uomo con la macchina da presa che fa crollare il Teatro Bolshoi. Una cosa simile accade al Bolshoi nel n. 47 del Cinecalendario. Per svariate ragioni (dettagliate nel mio saggio introduttivo a Lines of Resistance: Dziga Vertov and the Twenties), gli scrittori ed i cineasti di sinistra percepivano il Teatro Bolshoi (ex Imperiale) come un simbolo di arte datata, pomposa ecc. Vertov, che era, come sappiamo, sempre a sinistra, prese l’esistenza stessa del Teatro Bolshoi come un fatto personale, come il teatro che le autorità avevano rifiutato di demolire o di convertire in qualcosa di più utile, come voleva il Fronte di Sinistra delle Arti [LEF], od almeno di chiudere (come voleva fare Lenin già nel 1921), e che fu invece trasformato in una vetrina ufficiale per l’arte ufficiale. Ironicamente, nel febbraio del 1925, quando fu pomposamente celebrato il centesimo anniversario del Bolshoi (incontri, oratori, stendardi, manifestazioni), a Vertov fu assegnato il compito di riprendere l’evento per il Cinecalendario. Del resto, così poté almeno usare la macchina da presa – l’arma del cineasta – per abbattere simbolicamente ciò che non poteva esser abbattuto fisicamente. – YURI TSIVIAN