Le Giornate del Cinema Muto, XXVI edizione
Pordenone, 6-13 ottobre 2007


René Clair: le Silence est d'or
Omaggio a cura di / A tribute curated by Lenny Borger


Introduzione

La perdurante, ancorché contrastata, reputazione di René Clair quale stilista supremo della commedia cinematografica si basa sostanzialmente su un quartetto di film populisti da lui realizzati, in uno slancio di irrefrenabile creatività, tra il 1930 e il 1933: quattro commedie – Sous les toits de Paris (Sotto i tetti di Parigi), Le million (Il milione), À nous la liberté (A me la libertà) e il meno conosciuto 14 juillet (Per le vie di Parigi) – che contribuirono ad affermare l’arte del cinema sonoro europeo, a liberare i primi film parlati dal giogo del teatro filmato, a iscrivere il nome di Clair nella élite dei registi di levatura internazionale.
Per ironia della sorte, tra i sostenitori più accesi del cineasta figurano gli americani, la cui industria cinematografica per tutti gli anni ’20 era riuscita abilmente a escludere dagli schermi nazionali la quasi totalità dei film francesi – ivi compresi quelli di Clair. Per una buona parte dei recensori americani, Clair sembrava essere spuntato, nella sua compiutezza formale, da un vuoto culturale – e non a caso, Sous les toits de Paris venne spesso definito il suo “primo film”. Quando poi, nell’estate del 1931, un piccolo distributore fece uscire a New York (col titolo The Horse Ate the Hat) la sua commedia muta Un chapeau de paille d’Italie (Un cappello di paglia di Firenze) ormai vecchia di quattro anni, i critici storsero il naso. Bollandola come "noiosa", Variety precisava che Clair, che “in precedenza aveva girato solo un paio di film ultramodernisti e pseudoartistici”, era “nel frattempo notevolmente migliorato”.
Il “frattempo” risale in realtà al 1923, quando il venticinquenne esordiente, con pochissima esperienza pratica e un budget ridotto al proverbiale osso, realizzò il primo dei suoi sei lungometraggi e due cortometraggi muti che avrebbero stupito, sconcertato, irritato e affascinato l’establishment culturale francese – annunciando la nascita di un nuovo, fantasioso talento.
Egli era nato col nome di René Chomette nel 1898, nel cuore e ventre di Parigi – il quartiere del mercato delle Halles – dove i suoi genitori gestivano un redditizio commercio di saponi. Durante la Grande Guerra, aveva pubblicato i suoi primi versi e racconti, e nel 1917 era stato brevemente sul fronte con il reparto ambulanze. Poche settimane dopo l’armistizio (l’11 novembre del 1918, che era il giorno del suo ventesimo compleanno), fece il suo debutto professionale come giornalista, tenendo una rubrica di letteratura, musica e teatro per un importante quotidiano parigino, L’Intransigeant (e anche scrivendo, sotto pseudonimo, canzoni per la grande cantante realista Damia).
Pur aspirando a una carriera letteraria e giornalistica, Chomette scoprì ben presto che il cinema era molto più remunerativo. Nel 1920-1921 recitò in quattro film: Le lys de la vie, che la danzatrice americana Loïe Fuller aveva confezionato su misura per se stessa; Le sens de la mort, un dramma morboso del regista russo immigrato Jacov Protazanov; L’orpheline e Parisette, due degli ultimi serial di Louis Feuillade. Desideroso di separare la sua attività “alimentare” nel cinema dalle altre aspirazioni, Chomette adottò lo pseudonimo metaforico di “Clair”.
La sua definitiva conversione al cinema avvenne grazie al breve ma proficuo apprendistato con Jacques de Baroncelli, uno dei più stimati registi del “mainstream” cinematografico francese (il cui assistente dell’epoca altri non era che il fratello maggiore di Clair, Henri Chomette, futuro esponente dell’avanguardia e mancato regista commerciale, che lo sceneggiatore Henri Jeanson, con il suo tipico spirito caustico avrebbe poi liquidato con la memorabile definizione di “Clair-obscur”.
Questa mini retrospettiva (che segna il tardivo debutto del regista alle Giornate! – se si esclude la presentazione, l’anno scorso, di Prix de beauté, che Clair scrisse ma non riuscì a dirigere) ci offre la rara opportunità di riassaporare la fantasia di mezza estate di Paris qui dort (finalmente in una copia restaurata conforme alla versione originale distribuita nel 1925) e di deliziarci con la sempreviva follia iconoclasta di Entr’acte (accompagnato da una riduzione per piano della non meno anticonvenzionale partitura originale di Erik Satie) e l’irresistibile crescendo di ilarità di quel modello perfetto di trasposizione sullo schermo di un testo teatrale che è Un chapeau de paille d’Italie – tre esercizi magistrali di vivace, brillante farsa cinematografica. Ma sarà anche l’occasione per riscoprire l’ultima e deplorevolmente sottovalutata commedia muta di Clair, Les deux timides, e l’elegante melodramma La proie du vent, un film non comico che Clair (a torto) misconosceva, ma che segna il passo finale verso la maturità tecnica.
Fiat lux, fiat “Clair”! – LENNY BORGER

Le Giornate ringraziano sentitamente Jean-François Clair, figlio del regista, per il sostegno dato alla realizzazione di questo programma.