René Clair - Paris qui dort
Scheda di Lenny Borger


PARIS QUI DORT (Films Diamant, FR 1923-25)
Regia/dir., scen: René Clair; f./ph: Maurice Desfassiaux, Alfred Guichard; scg/des: André Foy; cast: Henri Rollan (Albert), Albert Préjean (l’aviatore/the aviator), Charles Martinelli (Professor Bardin), Madeleine Rodrigue (la donna indipendente/the independent woman), Louis Pré fils (il poliziotto/the detective), Myla Sellar (Jacqueline, la nipote del professore/the professor’s niece), Marcel Vallée (il ladro/the thief), Antoine Stacquet (l’industrale/the industrialist); data uscita/released: 6.2.1925; 35mm, 1527 m., 67’ (20 fps); fonte copia/print source: Cinémathèque Française, Paris.
Didascalie in francese / French intertitles.

Immaginato dopo “due o tre pipe piene d’oppio” una notte di novembre del 1922 e girato durante l’estate del 1923, Paris qui dort rivelò l’apparizione di un nuovo, affascinante e singolare talento: René Clair, farceur, ironista e troubadour cinematografico del paesaggio urbano parigino. Il fatto che il film rimanesse bloccato per 15 mesi in attesa di un distributore la dice lunga sul carattere innovativo (e pertanto rischioso) della nascente visione comica di Clair, incontaminata dagli interminabili serial e dai turgidi melodrammi che in quel periodo monopolizzavano gli schermi nazionali.
Per ironia della sorte, il debutto di Clair avvenne grazie a uno dei principali fornitori di prodotti commerciali dell’epoca, Henri Diamant-Berger. Questi, un arguto ex giornalista cinematografico diventato abile produttore (Berger aveva patrocinato il debutto nel lungometraggio di Raymond Bernard, avvenuto con Le Petit Café [Il caffè Philibert], con Max Linder, nel 1919) e mediocre regista egli stesso, nel 1921 aveva sbancato il botteghino dirigendo per la Pathé un adattamento seriale dei Trois Mousquetaires di Dumas père, cui fece seguire immediatamente Vingt ans après, che però ebbe minore successo. Spaventata dagli incassi in netto calo, la Pathé si ritirò dall’impresa prima che Berger potesse realizzare l’ultima parte della trilogia dumasiana dei moschettieri, Le Vicomte de Bragelonne. Bloccato con una parte della sua troupe di attori e tecnici già sotto contratto (tra cui gli attori Henri Rollan e Charles Martinelli, che avevano impersonato Athos e Porthos e il cameraman Maurice Desfassiaux) Berger riuscì infine a onorare gli impegni contrattuali producendo una serie di commedie a basso costo. E quando le speranze di Clair di girare il suo primo film con la supervisione del proprio mentore, Jacques de Baroncelli, andarono deluse, quest’ultimo lo raccomandò a Diamant-Berger… Il resto è Storia del cinema.
Ciò che incanta ancora oggi in Paris qui dort è la gioia assoluta del regista che può esprimersi per la prima volta con la cinepresa e il palese piacere che manifesta nello scoprire la sua città attraverso un obiettivo. Oltre agli evidenti rimandi al cinema delle origini, in primis Méliès e Lumière, e alle scatenate comiche prebelliche (si faccia attenzione all’apparizione di un’effigie chapliniana che Clair inserisce fugacemente nel décor del ristorante) il film anticipa anche la Nouvelle Vague francese, la quale celebrava Parigi e le riprese in ambienti reali con analgo abbandono (e tuttavia, con meschina animosità, rifiutava di riconoscere in Clair un autore affine).
Ma, soprattutto, Paris qui dort è un film molto divertente, pieno di trovate e dettagli spiritosi (il protagonista che scopre i parigini bloccati nei loro atteggiamenti sociali più comici; il party scatenato nel ristorante; i momenti alternati di noia e di frenesia dei sopravvissuti nel loro alloggio di fortuna sulla terza piattaforma della Torre Eiffel).
Il pedigree fantascientifico di Paris qui dort è meno interessante, e ben fece Clair a sviluppare la sua trama con la stessa nonchalance di un “MacGuffin” (i set, sommari e disadorni, in particolare il laboratorio dello scienziato pazzo, hanno una semplicità da disegno animato perfettamente funzionale all’intento giocoso di Clair – ed erano opera di André Foy, uno dei migliori illustratori di alcune delle più importanti riviste politiche e culturali francesi nel periodo tra le due guerre). Clair usa la sua facile premessa – sei personaggi partiti in vacanza per sfuggire alle costrizioni della società scoprono il mondo trasformato in una moderna Pompei dal raggio di uno scienziato pazzo – per animare una serie di elaborazioni/alterazioni sul tema del movimento e del ritmo: le linee fondanti della visione del cinema secondo Clair.
Negli anni della sua maturità, Clair mostrerà scarsa indulgenza nei confronti di questo preteso faux pas giovanile. Imbarazzato da alcuni elementi dei suoi primi film che considerava pasticciati e rozzi, Clair si era riservato da tempo il diritto di revisionarli per tagliare via “un bel po’ di robaccia”. Nel 1971, volle rimettere le mani su Paris qui dort. Ma sopprimendo gli errori di continuity e serrando il ritmo del film – se ne andarono ben 600 metri di pellicola! – Clair distrusse anche l’atmosfera di sognante flânerie di mezza estate che è parte integrante del fascino intramontable del film. Con la velocità sbagliata e il fotogramma vergognosamente mutilato per far posto a una traccia sonora per piano (di Jean Wiener), Paris qui dort venne ridotto a un sobbalzante, affrettato cortometraggio di 34 minuti.
La vicenda, comunque, è a lieto fine. Nel 2000, la Cinémathèque Française ha recuperato e restaurato il film riportandolo alla lunghezza originale e restituendogli l’integrità del fotogramma: forse l’autore non ne sarebbe proprio contento, ma per il pubblico delle Giornate sarà una perfetta introduzione al mondo di René Clair.