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Anno festival Sezione festival
2015 EVENTI SPECIALI

Titolo film CHUJI TABINIKKI (fragments) Pt. 2: SHINSHU KESSHO HEN Pt. 3: GOYO HEN
Titolo alternativo 1 [A Diary of Chuji’s Travels] (frammenti) Pt. 2: [Riso cruento a Shinshu]
Pt. 3: [In nome della legge]
Titolo alternativo 2 [A Diary of Chuji’s Travels] (fragments) Pt. 2:[Bloody Laughter in Shinshu] Pt. 3: [In the Name of the Law]
Titolo alternativo 3
Paese Japan
Data uscita 14 agosto 1927
Produzione Nikkatsu
Regista Daisuke Ito

Formato   Velocità (fps)
35mm   16
     
Lunghezza   Durata
6679 ft.   111'

Fonte copia National Film Center, National Museum of Modern Art, Tokyo.
   
Note copia orig. l: 21,457 ft.; incompleto/incomplete, frammenti di/fragments of Pt. 2 + Pt. 3
did./ titles: JAP, subt. ENG

Cast
(Pt. 3): Denjiro Okochi (Chuji Kunisada), Naoe Fushimi (Oshina), Ranko Sawa (Okume), Motoharu Isokawa (Kihei, fabbricante di sake/a sake brewer), Eiji Murakami (Ginjiro), Nobuko Akitsuki (Yujo Nobuo), Kajo Onoe (Washizu no Otozo), Mononosuke Ichikawa (Takasaski no Jukichi)
 
Altri credits
scen., sogg./orig. story: Daisuke Ito; f./ph: Rokuzo Watarai (Pt. 2), Hiromitsu Karasawa (Pt. 3); cast (Pt. 2): Denjiro Okochi (Chuji Kunisada), Hideo Nakamura (Kantaro), Kichiji Nakamura (Kabe Yaesemon), Seinosuke Sakamoto (Mitsuki no Bunzo)
 
Altre informazioni
data uscita/rel: 14.8.1927 (Pt. 2), 27.12.1927 (Pt. 3)
 
Scheda film
Daisuke Ito (1898-1981) ebbe un ruolo fondamentale nel portare il genere “jidaigeki” (film storico) a un livello senza precedenti di ricercatezza stilistica e consapevolezza politica. Spesso definito dai critici e dai cinefili giapponesi come “il padre del jidaigeki”, Ito fu il prolifico regista di circa un centinaio di “jidaigeki”, molti dei quali sono considerati tra i migliori film giapponesi di tutti i tempi. Fondamentali nello sviluppare il teatrale “kyugcki”, o film storico “vecchio stile”, nella sua variante moderna dello “shin-jidaigeki”, questi film inserivano forme narrative contemporanee in ambientazioni storiche ed erano spesso molto politicizzati e impegnati su grandi temi sociali dell’epoca, eludendo gli strali della censura sotto il paravento del passato. Questi film storici di grande consapevolezza sociale, che spesso avevano come eroe un solitario e corrucciato vagabondo nichilista in rivolta contro la società o contro le rigide strutture sociali e politiche dell’epoca feudale, furono talvolta definiti anche “keiko-ega” (film di tendenza) o film commerciali a tendenza socialista, e raggiunsero lo zenit della loro popolarità nei tardi anni ’20, prima che il rigido controllo della censura di stato estinguesse del tutto il genere.
Descritto come “calligrafico” da David Bordwell, il fluido stile cinematografico di Ito, combinato con la rapidità dell’azione e il montaggio veloce, creò un cinema così virtuosisticamente elaborato da guadagnargli il famoso nomignolo di “Ido daisuki” (un gioco di parole sul suo nome, che significa “grande ammiratore dei movimenti [di macchina]”). Dopo aver abbandonato lo studio Shochiku, nel 1926 Ito approdò alla Nikkatsu. E fu lì, nel biennio 1927-28, che avrebbe creato la sua famosa rivisitazione della storia del giocatore-fuorilegge Chuji Kunisada (1810-1850) nel suo film in tre parti Chuji tabinikki (Il diario di viaggio di Chuji Kunisada). Descritto da S.A. Thornton come “una storia profondamente pessimistica di resistenza e tradimento”, non solo impose Ito come capofila del cinema storico “di tendenza”, ma servì anche a cementare il sodalizio artistico tra Ito e la star del film, Denjiro Okochi (1898-1962). Mariann Lewinsky ha giustamente rilevato che “in Chuji tabinikki, film di regia e d’attore al tempo stesso, scena dopo scena anche la recitazione raggiunge vertici di grande virtuosismo”.
Oggi la trilogia di Ito sopravvive solo in forma di frammenti, acquisiti dal National Film Center di Tokyo nel 1991. Della prima parte, Koshu satsujin hen (Squadra della morte a Koshu), non è sopravvissuto nulla. Mentre un episodio della seconda parte, Shinshu kessho hen (Riso di sangue a Shinshu) e circa una metà della terza parte, Goyo hen (Nel nome della legge), sono stati restaurati, ivi inclusa una versione accorciata del possente finale. In occasione della presentazione di questo materiale alle Giornate del 2001, la Lewinsky scriveva: “Perduto è l’impianto complessivo del trittico, che nelle critiche del tempo viene descritto come il susseguirsi di ‘freschezza’ (parte iniziale), ‘intenso sentimento’ (parte centrale) e ‘cupo nichilismo’ (epilogo), ma quanto si è conservato, a livello di microcosmo, contiene una modulazione comparabile di atmosfere e tutto il declino di Chuji, che da supereroe invulnerabile si trasforma in corpo paralizzato e privo della parola, adagiato su una barella. Perduta è la rete complessiva di corrispondenze contenutistiche e grafiche, ma quanto rimane (il motivo del cerchio nei giganteschi tini per la distillazione e nel girotondo dei bambini) mostra la capacità ideativa e creativa del regista a questo riguardo.”
La grande dimestichezza di Ito con i tropi e i temi del genere “jidaigeki” gli permise anche di sovvertirli e Chuji tabinikki ne è un primo esempio. Invece di conformarsi all’archetipo romantico del finale tragico, in cui l’eroe affronta impavidamente una morte gloriosa, il film diventa cupamente nichilista: Ito nega al suo protagonista l’adempimento di questo modello narrativo, degradando il suo eroe a relitto umano costretto ad assistere allo spettacolo dei suoi uomini che si sacrificano uno ad uno nel vano tentativo di salvarlo durante la leggendaria battaglia finale. In tal modo, commenta la Lewinsky, “il regista non fa che rendere più vertiginosa la sua caduta, e quindi più grande la sua tragedia. La miserabile e ignominiosa fine nella versione di Ito è più commovente del canonico epilogo. Dal punto di vista del film di genere, Chuji tabinikki ne intensifica, amplia e modifica recisamente le formule standard.”

Il restauro I primi frammenti di Chuji tabinikki sono stati riscoperti nel 1991: da allora il National Film Center di Tokyo ha affrontato le operazioni di restauro del flm tre volte.
La trilogia originale aveva una lunghezza complessiva di 6540 metri; nel 1991, sotto forma di materiale positivo nitrato, parzialmente imbibito e in cattive condizioni, sono rispuntati 1800 metri della II e III parte di una versione 35mm antologica. I restauri del 1992 e del 2001 sono stati eseguiti dal laboratorio IMAGICA West, utilizzando tecniche analogiche. Nel 1992, dalla copia nitrato è stato creato un internegativo di sicurezza, usando il procedimento sotto liquido del “wet gate”; nel 2001 è stato adottato il sistema dell’“immersione totale”. Nel 2010, quando il National Film Center ha avviato il terzo progetto d restauro di quest’opera canonica, si è optato per un restauro digitale a cura di IMAGICA.
Dapprima, dal materiale 35mm originale, è stato ricavato, tramite “wet gate”, un internegativo 35mm. Questo poi è stato scansionato a risoluzione 4K, anche se il vero e proprio lavoro di restauro è stato eseguito a 2K. Le didascalie perdute sono state aggiunte facendo riferimento alla sceneggiatura, mentre quelle flash sono state allungate. Dopo il grading (cioè l’individuazione del “tono” fotografico migliore), il materiale 2K è stato usato per ottenere un negativo 35mm b/n. Negativo che è servito per creare una copia imbibita usando un procedimento fotochimico analogico dell’IMAGICA West.
Il restauro digitale di Chuji tabinikki rappresenta lo sforzo finale del National Film Center per restituirci, portandolo a un livello di chiarezza mai raggiunto prima, uno dei grandi capolavori del cinema giapponese.

L’accompagnamento Chuji tabinikki sarà presentato con la narrazione benshi di Ichiro Kataoka, che si esibirà accompagnato dall’ensemble musicale Otowaza, formato da Ayumi Kamiya (piano), Yasumi Miyazawa (shamisen [strumento giapponese a tre corde della famiglia dei liuti] e Masayoshi Tanaka (percussioni e taiko [tamburo giapponese]). Una partitura speciale è stata composta per l’occasione da Kamiya e Miyazawa.
Kataoka è felicissimo di poter fungere da narratore/commentatore di questo capolavoro: “Chuji tabinikki è stato spesso definito la punta di diamante del cinema muto giapponese, pur essendo stato a lungo ritenuto perduto per sempre. Quando nel 1991 fu miracolosamente riscoperto, andò a riempire quello che era stato un grande vuoto nella storia del cinema giapponese. Per noi, Chuji tabinikki non è solo un celebre capolavoro, ma è diventato un simbolo di riscoperta e di restauro. Per questo non c’è gioia più grande di poter accompagnare qui a Pordenone questo film leggendario nell’ultima versione restaurata”. – Johan Nordström