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Anno festival Sezione festival
2008 The Griffith Project, 12 - Prog. 3

Titolo film THE DRUMS OF LOVE
Titolo alternativo 1 La legge dell'amore
Titolo alternativo 2
Titolo alternativo 3
Paese USA
Data uscita 1928
Produzione United Artists
Regista D.W. Griffith

Formato   Velocità (fps)
16mm   20
     
Lunghezza   Durata
3318 ft.   111'

Fonte copia Library of Congress, Washington, DC.
   
Note copia ) [finale alternativo/including alternate ending 178 ft., 6' (20 fps)] Didascalie in inglese / English intertitles.

Cast
Mary Philbin (Emanuella), Lionel Barrymore (Duke Cathos de Alvia), Don Alvarado (Count Leonardo de Alvia), Tully Marshall (Bopi), William Austin (Raymond di/of Boston), Eugenie Besserer (Duchess de Alvia), Charles Hill Mailes (Duke de Granada)
 
Altri credits
 
Altre informazioni
 
Scheda film
Fin dai tempi dei suoi primi film Biograph, D.W. Griffith aveva mostrato un debole per la solennità “artistica”. E quando gli furono presentati l'art director William Cameron Menzies (reduce dalle fatiche di The Dove [La colomba] di Roland West, del 1927, per il quale Menzies avrebbe vinto un Oscar) e il direttore della fotografia Karl Struss (reduce dal set di Sunrise [Aurora] di F.W. Murnau, del 1927, per il quale anch'egli fu premiato con un Oscar), Griffith propose una storia ispirata alla tragica storia d'amore di Paolo e Francesca, da cui risulterà un film magnifico sul piano visivo ma fiacco di ritmo e sbilanciato nella struttura. La recensione positiva di Variety (“un piacevole ritorno per Griffith”) ventilava tuttavia l'ipotesi che molto difficilmente il film avrebbe attirato un pubblico di massa: “Drums of Love è un prodotto di nicchia. Sicuramente sarà molto apprezzato nel circuito dei film d'arte. Il suo pubblico di riferimento è quello degli aficionados del teatro.” La premessa più efficace fu quella che apparve sul New York Telegram: “Recensire un film di Griffith costituisce un'esperienza a sé per ogni americano appassionato di cinema. Dopotutto, D.W. è stato il primo e il più importante dei nostri registi, il più amato, il coccolato genio su cui potevamo sempre fare affidamento quando i grandi signori d'oltreoceano - i Murnau, i Lubitsch e gli Stiller - sono arrivati con il grande bagaglio di trucchi per insegnarci come si fa. E proprio per questo è così triste vedere il Grande Vecchio realizzare un Drums of Love.”
Se non fosse uno straordinario esempio di racconto dark, sarebbe facile etichettare questo film dal titolo bizzarro (in effetti, non vi è alcuna traccia visibile di “tamburi” dell'amore) come il primo film “hollywoodiano” di Griffith. Nel 1919, l'ultima volta in cui aveva girato un film a Los Angeles, Griffith era ancora un produttore indipendente. Ora ci tornava come regista sotto contratto - un ottimo contratto, comunque - per dirigere il primo di una serie di quattro lungometraggi prodotti da Joseph Schenck (inizialmente sotto l'egida della sua società, dal bel nome di Art Cinema Corporation) e distribuiti dalla United Artists, di cui lo stesso Schenck era presidente. Questi film porranno sostanzialmente fine alla carriera di Griffith.
La struttura e lo stile di The Drums of Love sono assai poco convenzionali e non mancano d'interesse. Dopo una scena alquanto statica in cui i fratelli Alvia si giurano amore eterno al capezzale del padre morente, girata con l'inconfondibile tocco flou della fotografia di Karl Struss, la visione prospettica si apre su uno spazio più tipicamente griffithiano: un grande campo di battaglia, dove i due fratelli alla guida delle loro truppe sbaragliano le forze del duca di Granada. È una scena che normalmente avrebbe caratterizzato il climax finale di un film di Griffith e che qui viene frettolosamente sprecata. E una buona parte del resto del film affida la sua spettacolarità a poco convincenti effetti “glass-shot”. Abbastanza inusuale per Griffith è anche la fluidità dei movimenti di macchina che caratterizza la parte iniziale del film, in particolare le scene della vita spensierata di Emanuella nella casa paterna. Il tono cupo del resto della vicenda pare appesantire anche la macchina da presa.
Il registro espressivo degli attori è talmente vario da produrre una disastrosa discontinuità nello stile complessivo del film. Il primo nome in cartellone era quello di Mary Philbin, un'attrice abbastanza gradevole che stava sviluppando una bizzarra carriera interpretando più volte il ruolo della consorte graziosa di uomini profondamente deformi ma di buon cuore, da The Phantom of the Opera ([Il fantasma dell'Opera] Rupert Julian, 1925) a The Man Who Laughs ([L'uomo che ride] Paul Leni, anche questo del 1927 ma distribuito diffusamente solo dopo il film di Griffith). Qui, con una vistosa parrucca dai boccoli d'oro e “appena tornata dal convento”, la Philbin fa coppia con Don Alvarado, uno dei tanti mediocri di latin lover spuntati fuori dopo la morte di Valentino. La gamma espressiva di questo attore è talmente limitata che, nei momenti clou di The Drums of Love, la passione e il senso di colpa del suo personaggio sono un perfetta dimostrazione dell'effetto Kule_ov - un'identica espressione che si differenzia dalla precedente unicamente se montata accanto ad un'immagine di Emanuella o a un ritratto del fratello: “a tratti, [Alvarado] pare agire in stato letargico”, minimizzò il New York Times. La storia del film si arricchisce di interesse umano solo grazie alla convincente e perfino commovente interpretazione di Lionel Barrymore (il duca Cathos); “la più straordinaria prova fin qui fornita dall'attore in ambito cinematografico”, sentenziò Variety. Quando Emanuella lo vede per la prima volta, Cathos emerge da una tenebra espressionista che ne enfatizza il fiero cipiglio, i grandi baffi e le mani pelose; ma il Duca conquista subito la sua e la nostra simpatia burlandosi lui per primo della propria deformità e dichiarandole che è libera di rifiutare il matrimonio “senza che alcuno abbia a patirne”. (Sarà il padre di lei ad imporre nuovamente le nozze.) Barrymore provvede agli sporadici lampi di arguzia che ravvivano un film appesantito dalle didascalie redatte dallo stesso Griffith e da un suo ex agente pubblicitario, Gerrit J. Lloyd; “sicuramente il risultato sarebbe stato… più convincente inserendo nei cartelli delle didascalie frasi meno stentoree e con qualche tratto di leggerezza in più”, commentò il New York Times. Nelle vesti del tipico buffone non comico Tully Marshall si aggira melodrammaticamente sulla scena come se stesse provando il personaggio che interpreterà alla fine dello stesso in Queen Kelly (Erich von Stroheim, 1928), dove sbava dietro a Gloria Swanson. Naturalmente, in questo intrigo di corte, l'interesse di Griffith si concentra soprattutto sul duca triste, solitario e deforme di Barrymore; e anche noi spettatori, va detto, proviamo una crescente irritazione per la viziata Emanuella che gli preferisce il fratello insipido ma bello. The Drums of Love sarebbe un film quasi affascinante - se solo non ci costringesse a passare così tanto tempo in compagnia dei due innamorati.
Le difficoltà incontrate da Griffith e Schenck nel vendere il film risultano evidenziate dall'esistenza di due rulli con finali diversi. La trama fin qui descritta riprende la vicenda originale del film così come fu visto in occasione delle “prime” di Los Angeles e New York. Dopo che Cathos viene informato dal buffone della tresca tra sua moglie e suo fratello, segue una lunga, fosca scena finale con tutti gli ingredienti del caso: colpa, onore, sacrificio e delitto. Emanuella dichiara: “Debbo morire”. Cathos la bacia e la pugnala, quindi, sia pure con maggiore riluttanza, è costretto ad ammazzare anche il fratello: “Meglio la morte che una macchia sul nostro onore.” Anticipando il finale di un altro film con Lionel Barrymore, Duel in the Sun ([Duello al sole] King Vidor, 1946) i due amanti moribondi si trascinano carponi l'uno verso l'altra anche mentre implorano il perdono di Cathos, e intanto la fotografia di Struss si fa via via più velata. In una lugubre coda finale di mirabile composizione figurativa, Cathos si china a baciare le mani dei due cadaveri stesi sull'impalcatura funebre e quindi esce lentamente di scena, più tormentato e deforme che mai. “L'episodio finale”, suggeriva il New York Times “potrebbe rappresentare un problema”. Variety sosteneva che c'era stato chi si era chiesto se il pregio estetico potesse compensare il tragico doppio omicidio finale”, aggiungendo tuttavia che “anche Greta [Garbo] muore sia in Flesh and the Devil [La carne e il diavolo Clarence Brown, 1927] che in Love ([Anna Karenina] Edmund Goulding, 1927)”. In realtà, la MGM aveva nel frattempo già provveduto a modificare il finale di Love, che nella sua nuova versione, distribuita estesamente a partire dal gennaio del 1928, vedeva Anna e Vronsky vivere insieme felici e contenti. A quanto pare, Griffith e Schenck fecero ricorso a un tentativo analogo. Nel rullo finale della versione di The Drums of Love che uscì nelle sale a fine febbraio 1928, i due fratelli si affrontano armi in pugno ed Emanuella dichiara ancora: “Debbo morire”. Qui, però, prima di cadere a sua volta colpito a morte, Cathos pugnala l'invadente buffone. Non disponiamo di dati per stabilire in che misura il finale modificato abbia influito sui risultati al botteghino. - SCOTT SIMMON [DWG Project # 618]