L'altra Weimar / The Other Weimar
Schede film


Prog. 1

DER MÄDCHENHIRT (Künstlerfilm GmbH, Berlin, DE 1919)
Regia/dir: Karl Grune; scen: Karl Grune, Beate Schach, dal romanzo di/from the novel by Egon Erwin Kisch; f./ph: Felix Xaver; scg./des: August Rinaldi, Karl Grune; cast: Magnus Stifter (commissario di polizia/Crime Commissioner Duschnitz), Fritz Richard (Chrapot), Lotte Stein (sua molie/his wife), Henri Peters-Arnolds (Jaroslav, “Jarda l’elegante”/“Jaunty Jarda”), Lo Bergner (Betka Dvorak), Roma Bahn (Luise Heil), Rose Liechtenstein [Lichtenstein] (Illonka Sereniy), Paul Rehkopf (Albert Wessely, “Adalbert il lascivo”/ “Randy Adalbert”), Franz Kneisel (Anton Novotny, “Toni il nero”/“Black Tony”), Alfred Kühne; riprese/filmed: 1919, in Praha (Prague); data v.c./censor date: 10.1919; première: 9.1919 (presentazione alla stampa/press screening), Berlin; lg. or./orig. l.: ?? m.; 35mm, 1553 m., 75’ (18 fps), col. (imbibizione e viraggio originali riprodotti su pellicola a colori/printed on colour stock, reproducing original tinting and toning); fonte copia/print source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Durate la sua vita, il regista Karl Grune fornì svariate spiegazioni sulla genesi della sua passione per il cinema. Una di queste riguardava il periodo trascorso in compagnia di soldati di altre nazioni durante la prima guerra mondiale, quando aveva imparato a capire i loro discorsi dai volti e dai gesti; da qui il suo impulso a sviluppare nel cinema un linguaggio fatto unicamente di immagini. Un’altra faceva invece riferimento alla scoperta, quando era un giovane uomo di teatro, delle straordinarie possibilità di riproduzione diretta della realtà offerte del cinematografo. “Là dove il teatro serviva a creare un’illusione”, ricordava nel 1936 sulla rivista inglese Picturegoer, “la ‘kine-camera’ poteva, in una ininterrotta alternanza di luci ed ombre, cogliere una rappresentazione del reale”.
E a questa supremazia della “rappresentazione del reale” Grune rimase fedele per tutta la sua carriera. In Der Mädchenhirt, suo primo film da regista, la cinepresa assorbiva l’atmosfera delle strade e dei vicoli di Praga (Grune stesso, benché nato a Vienna, era cittadino cecoslovacco). Il tono del film era realistico, l’atmosfera severa: qualità mai perdute anche quando il suo lavoro divenne via via più sottile, più ricercato dal punto di vista formale e di maggiore profondità sul piano psicologico. Questo non è ancora il Grune di Die Strasse, il cruciale film ‘di strada’ degli anni ‘20, in cui si intersecheranno naturalismo e espressionismo; ma in questo racconto di malavita praghese si muove già in quella direzione.
La trama è tratta dall’unica opera di fiction dello scrittore e giornalista ceco Egon Erwin Kisch, pubblicata nel 1914 – a un anno di distanza dal più grosso scoop della sua carriera di giornalista, quando aveva scoperto lo scandaloso affaire del colonnello Redl, un alto ufficiale dell’esercito austroungarico vittima di un ricatto. La vicenda, che narra di un commissario della omicidi e del suo figlio illegittimo perduto da anni – il Mädchenhirt (guardiano di fanciulle, ovvero magnaccia) del titolo – contiene la sua buona dose di artifizio. Peraltro compensata dai dettagli di vita vissuta di chiara impronta giornalistica che emergono dallo scenario di bar sordidi e di loschi commerci. Il magnaccia Jaroslav è interpretato da un giovane attore alle prime armi, l’olandese Henri Peters-Arnolds. Il commissario è invece una figura a noi già familiare: Magnus Stifter, molto attivo come attore di cinema a partire dal 1914, e regista di due “star-vehicles” per Asta Nielsen, Dora Brandes e Das Liebes-ABC (1916).
Da notare, inoltre, il nome della co-sceneggiatrice di Grune, Beate Schach – la moglie del suo amico, vicino di casa e futuro produttore Max Schach, le cui alterne fortune industriali in Germania e in Inghilterra, saranno in seguito condivise da Grune. Già molto prima della morte di Schach, avvenuta nel 1957, Beate era diventata la compagna di Grune. Quando Schach morì, i due si sposarono; e alla morte di Grune, lei si tolse la vita. Un triangolo degno di uno dei suoi Kammerspiel – teso, intimo, intessuto di gioia e disperazione.
Geoff Brown

Karl Grune (Vienna, 1890–1962, Bournemouth, Inghilterra). Benché oggi sia in larga misura dimenticato, Grune fu una figura molto importante nel panorama culturale del cinema tedesco degli anni ’20. Nei suoi film, che si distinguevano per l’uso molto parco di didascalie e dialoghi, Grune affidava la narrazione e l’atmosfera agli ingegnosi movimenti di macchina, alle luci e agli effetti visivi. Ebbe una formazione da attore, e passò tre anni nei teatri di provincia prima di essere ingaggiato dal Volksbühne di Vienna, dove fu anche regista. Alla fine della guerra, si trasferì a Berlino, dove lavorò, come attore e come regista, dapprima per il Deutsches Theater e in seguito anche per il Residenz-Theater. Nel 1919, dietro raccomandazione di Max Schach (critico cinematografico e teatrale del Berliner Tageblatt), Grune divenne sceneggiatore per la Berliner Film-Manufaktur di Friedrich Zelnik, passando poi alla regia con Der Mädchenhirt (1919). Tre anni dopo, lui e Schach fondarono insieme la Stern-Film GmbH. Lavorando a stretto contatto col cameraman Karl Hasselmann, suo collaboratore in undici film, Grune realizzò la sua opera più famosa, Die Strasse (La strada, 1923) – una meditazione sulle tentazioni notturne e i pericoli della città moderna, che aprì il filone dei cosiddetti film ‘di strada’. La sua vena avventurosa continuò con Arabella, derRoman eines Pferdes (1924), un melodramma sperimentale raccontato dal punto di vista di un cavallo, e con Die Brüder Schellenberg (1926) sul tema del doppelgänger. Con Königin Luise (Maria Luisa di Prussia, 1927) si cimentò nel genere storico spettacolare; Waterloo (id. 1928), parimenti sontuoso, era in larga misura ispirato al Napoléon di Abel Gance, ricorrendo in alcune scene a un analogo uso dello schermo triplo.
Grune mantenne costantemente i suoi legami professionali con Schach. E dopo che Schach fu nominato direttore generale degli studi Emelka di Monaco, Grune ne divenne il capo della produzione. Emigrato in Inghilterra all’avvento del nazismo, raggiunse le fila degli altri émigrés che lavoravano per le due nuove case di produzione di Schach, la Capitol Film Corporation e la Trafalgar Film Productions. Grune diresse tre sontuosi drammi in costume: Abdul the Damned (1935), una parabola abbastanza esplicita sulla dittatura hitleriana, trasposta nella Turchia dell’800, con Fritz Kortner; Pagliacci (1936), un adattamento dell’opera di Leoncavallo con Richard Tauber, girato parzialmente a colori; e The Marriage ofCorbal (1936), un cappa e spada ambientato ai tempi della rivoluzione francese con Ernst Deutsch. Grune divenne il direttore artistico della Capitol e assunse la nazionalità inglese. Tuttavia, i suoi film si rivelarono dei clamorosi fiaschi commerciali, e il collasso delle imprese di Schach scatenò un terremoto finanziario che coinvolse tutta l’industria cinematografica britannica. La carriera registica di Grune non si risollevò mai più. Nel 1947 riprese per un breve periodo l’attività di produttore con il dramma realista scozzese The Silver Darlings ma un progetto biblico da lui a lungo accarezzato, From Beginning to Beginning, rimase nel limbo. (Estratto da ConciseCineGraph, a cura di Hans-Michael Bock, Oxford/New York: Berghahn Books, 2008)

Questo film costituisce un’anteprima dell’edizione 2007 di CineFest – Internationales Festival des deutschen Film-Erbes, il festival internazionale che promuove il patrimonio cinematografico tedesco e che si terrà il prossimo novembre, dal 17 al 25, ad Amburgo, e quindi a Berlino, Zurigo, Praga e Vienna. Der Mädchenhirt, girato da una troupe tedesca a Praga, è uno dei primi frutti degli stretti e sfaccettati rapporti di collaborazione che hanno caratterizzato l’attività dell’industria cinematografica ceca, austriaca e germanica lungo tutto il XX secolo – una storia complessa e comune che è il tema del Cinefest di quest’anno. La manifestazione è organizzata da CineGraph (Amburgo) e dal Bundesarchiv-Filmarchiv (Berlin) con partner internazionali.

 

 

Prog. 2

EIN GLAS WASSER (Das Spiel der Königin) (Decla-Bioscop AG, Berlin, per/for Universum-Film AG (Ufa), Berlin, DE 1923)
Regia/dir: Ludwig Berger; prod: Erich Pommer; scen: Ludwig Berger, Adolf Lantz, dalla pièce/from the play Le Verre d’eau di/by Eugène Scribe; f./ph: Günther Krampf, Erich Waschneck; scg./des: Hermann Warm, Rudolf Bamberger; cost: Karl Töpfer, Otto Schulz; cast: Mady Christians (Regina Anna/Queen Anne), Lucie Höflich (Duchessa di Marlborough/Duchess of Marlborough), Hans Brausewetter (John William Masham), Rudolf Rittner (Lord Bolingbroke), Helga Thomas (Abigail), Hugo Döblin (gioielliere/jeweller Tomwood), Hans Wassmann (Lord Richard Scott), Bruno Decarli (Marquis von Torcy), Max Gülstorff (Thompson), Franz Jackson (Hassan), Josef Römer, Gertrud Wolle; riprese/filmed: 1922; data v.c./censor date: 19.1.1923; première: 1.2.1923, Ufa-Palast am Zoo, Berlin; lg. or./orig. l.: 2558 m.; 35mm, 2537 m., 110’ (20 fps); fonte copia/print source:Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Nel 1923, mentre in Germania infuriavano inflazione e malumore politico, presentando il suo adattamento di Le verre d’eau, una farsa di Eugène Scribe vecchia di 80 anni, Ludwig Berger predicava il vangelo dell’evasione: “Nei tempi di miseria e di oppressione, ancor più che nei tempi di benessere e sicurezza, abbiamo bisogno di serenità e di leggerezza”. La supposta fuga dalla realtà dei Romantici, dichiarò, era servita da “cibo e sostegno durante interi decenni di povertà esteriore” e da “ponte verso un futuro migliore”. E altrettanto egli si augurava per Ein Glas Wasser (Un bicchiere d’acqua) – una commedia di grande raffinatezza formale, basata su un intrigo politico/amoroso e ambientata in Inghilterra, all’inizio del 18° secolo, durante il regno della regina Anna e la guerra di successione spagnola. Motore dell’intreccio è il bel Masham, un giovane cortigiano che attira le attenzioni amorose sia della regina Anna che della risoluta duchessa di Marlborough, la donna che detiene il potere all’ombra del trono. Ma il cuore di Masham batte per l’umile Abigail, mentre un altro intrigante cortigiano, Lord Bolingbroke, cerca di usare Masham per abbattere il potere della duchessa…
Agli occhi di un osservatore severo e sprovvisto di humour quale Siegfried Kracauer, i voli di tal fatta verso luoghi di amene evasioni avrebbero implicitamente spianato la strada a Hitler. E forse, a un certo livello, fu proprio così. Ma la maggior parte dei cinéastes odierni sarà lieta di apprezzare l’immaginazione, la fantasia, la leggerezza e la musicalità che Berger riesce a trasmettere al flusso narrativo della vicenda, ai personaggi e alle immagini del suo terzo lungometraggio. Benché avesse riscosso i suoi primi successi a teatro, Berger usa il cinema per liberare ed espandere il suo testo teatrale, e non per inchiodarlo al palcoscenico. I risultati raggiunti da Berger ebbero un immediato riconoscimento. C. Hooper Trask, che all’epoca era il corrispondente di Variety a Berlino, definì Ein Glas Wasser “uno dei migliori film d’atmosfera mai realizzati in Germania o altrove”; per il critico tedesco Herbert Ihering, il film introdusse per la prima volta la poesia del movimento nel cinema tedesco. Una delle principali componenti dell’atmosfera magica del film è la graziosa Mady Christians (la regina Anna) che interpreterà altri ruoli di regine per Berger nel decennio successivo (Ein Walzertraum [Sogno di un valzer]; Die Jugend der Königing Luise). La fotografia di Günther Krampf e Erich Waschneck, insieme con le scenografie di Hermann Warm e Rudolf Bamberger (fratello di Berger), aggiunsero il loro prezioso contributo, blandendo l’occhio dello spettatore con la sapida opulenza del barocco della Germania meridionale. Ma innanzitutto, c’è Berger, che guida, equilibra e miscela, mostrandoci come sia possibile fare un film intrinsecamente musicale con la sola musicalità delle immagini. – Geoff Brown
Ludwig Berger (Ludwig Gottfried Heinrich Bamberger; Magonza 1892 – Schlangenbad 1969) raggiunse la notorietà come regista teatrale a Berlino, soprattutto grazie a una serie di importanti allestimenti scespiriani realizzati con la collaborazione del fratello Rudolf Bamberger, costumista e scenografo. Dopo il suo debutto cinematografico, avvenuto nel 1920 con Der Richter von Zalamea, realizzò tre sontuose produzioni con un cast “all-star” per la Decla-Bioscop di Erich Pommer, coronate dal successo di Ein Glas Wasser e da una gustosa versione della fiaba di Cenerentola, Der verlorene Schuch (Cenerentola, 1923). Ein Walzertraum (Sogno di un valzer, 1925), ironica rivisitazione introspettiva dell’operetta di Oscar Straus fu un altro rilevante successo. Sedotto da Hollywood, Berger vi girò cinque film per la Paramount, sia muti che sonori: ma esportare la musicalità e la qualità favolistica dei suoi film tedeschi si rivelò un’impresa ardua. Rientrato in Europa, ottenne un modesto successo di stile trionfalistico con Ich bei Tag und Du beiNacht (1932), una commedia musicale ambientata in epoca moderna e girata in versione trilingue per la UFA. I suoi anni da émigré in Olanda furono abbastanza difficili. Da intransigente perfezionista quale era, Berger patì moltissimo per le continue interferenze del produttore Alexander Korda sul set della produzione inglese di The Thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad, 1940) – un’esperienza umiliante per Berger (che alla fine dovette dividere il credit della regia del film con Michael Powell e Tim Whelan). Durante l’occupazione nazista dei Paesi Bassi riuscì a sopravvivere usando documenti contraffatti. Tornato in Germania nel 1947, lavorò soprattutto per la televisione. Divenne un pioniere del dramma televisivo della Germania occidentale e nel bienno 1957-1958 produsse una pregevole serie di commedie scespiriane, che completò il cerchio della sua carriera. In retrospettiva, il sentimento predominante riguardo alla sua esperienza cinematografica si esemplifica bene col titolo del relativo capitolo delle sue memorie, redatte nel 1953: “Il circo delle pulci”.
(Estratto da ConciseCineGraph).

 
 

Prog. 3

RIVALEN (Apex Film Company Limited, Berlin, DE 1923)
Regia/dir: Harry Piel; prod: Harry Piel, Louis Zimmermann, Heinrich Nebenzahl; scen: Alfred Zeisler, Victor Abel, [Harry Piel]; f./ph: Georg Muschner; scg./des: Hermann Warm, Albert Korell; acrobazie/stunts: Hermann Stetza; cast: Harry Piel (Harry Peel), Adolf Klein (Professor Ravello), Inge Helgard (Evelyn), Charly Berger, Karl Platen, Heinz Stieda, Albert Paulig, Maria Wefers, Erich Sandt; riprese/filmed: 10.1922-1.1923; data v.c./censor date: 23.2.1923; première: 23.2.1923, Berlin (Schauberg); lg. or./orig. l.: 2476 m.; 35mm, 2437 m., 105’ (20 fps); fonte copia/print source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Le opere gravide di simboli, ombre e miti, non facevano per Harry Piel. Già a partire dai titoli, i suoi film proclamavano il loro contenuto con la malizia strategica di un romanzo poliziesco da quattro soldi o di un poster di circo. The Flying Car.The Black Envelope. Zigano, Brigandof Devil’s Mountain. Queste sigle annunciavano prodotti popolari di rapido consumo basati sulla formula ‘avventure mozzafiato e capitomboli a rotta di collo’. Perfino Siegfried Kracauer, negli anni ’20, mostrò un debole per quei film, lodando la loro assenza di pretese in una cinematografia nazionale che stravedeva per la pomposità artistica. “Brillante e allegra paccottiglia”, li definì.
Attore, produttore e regista, fin dai suoi esordi Piel impostò la propria carriera sotto il segno di culture popolari diverse da quella tedesca. Anche il suo nome si era costantemente anglicizzato: Heinrich Piel divenne Harry Piel, e, in alcune occasioni, o sulle copie destinate al mercato estero, Harry Peel. Si ispirò in larga misura a Sherlock Holmes e ai serial americani. Le prodezze acrobatiche e lo slancio atletico di cui dava sfoggio nei suoi film spinsero i cronisti dell’epoca a chiamarlo “il Douglas Fairbanks tedesco”, anche se il parallelo era abbastanza improprio. Piel, ad esempio, non mostrò alcuna propensione per l’estetismo puramente ornamentale del Fairbanks di The Thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad – Raoul Walsh, 1924). Né Fairbanks si fece mai tentare dalla fantascienza, dagli scienziati pazzi e dai robot come questo, peraltro delizioso, film di Piel.
In Rivalen e nel suo sequel Der letzte Kampf (distribuito a un mese di distanza), Piel fece un notevole sforzo per migliorare gli standard qualitativi dei suoi film. Basta osservare la fantasiosa modernità dei set disegnati da Hermann Warm per la spettacolare scena nel salone da ballo; l’ingegnosità delle riprese, e la vivace esuberanza delle acrobazie dello stesso Piel (messe a punto con l’aiuto del suo collega Hermann Stetza). Questo non significa che Piel avesse accantonato del tutto le banalità. Per quanto riguarda la trama, attinse a uno dei suoi primi successi, Diegrosse Wette (1916), un’avventura futuristica ambientata nell’America dell’anno 2000. Ma anche se il ‘dove’ e il ‘quando’ della vicenda di Rivalen non appaiono immediatamente evidenti, si tratta comunque di un luogo e di un tempo abitati da figure a noi piacevolmente familiari. C’è infatti lo scienziato pazzo dalle manie di onnipotenza, il Professor Ravello, con il suo robot predatore. C’è Evelyn, la fanciulla graziosa in pericolo (qui sfortunato oggetto del desiderio di Ravello). Oltre all’aitante Harry, l’eroe coraggioso, che per lei affronta una serie di prove terribili, culminanti in un quasi esiziale soffocamento subacqueo dentro una gabbia di vetro.
In una delle scene più spericolate del film si vede un’automobile che, da un ponte sospeso, precipita nell’acqua. Le riprese avvennero a Kalksee, una località ad est di Berlino, dove la macchina è rimasta, sommersa e dimenticata, fino al 1963, l’anno della morte di Piel, quando alcuni subacquei alla ricerca d’altro la scoprirono per caso. Si trattò di un sorprendente memento fisico di quella che, fino ad allora, era stata una carriera invisibile. La maggior parte dei negativi dei suoi film sono andati distrutti nei bombardamenti della seconda guerra mondiale; e quelli purtroppo, neanche la straordinaria ingegnosità di Harry Piel, ce li potrebbe restituire. – Geoff Brown

Harry Piel (Heinrich Piel; Düsseldorf-Benrath, 1892-1963, Monaco) nei primi anni di carriera si guadagnò il soprannome di “Regista Dinamite” per le frequenti esplosioni che caratterizzavano i suoi spettacolari film d’avventura e serial polizieschi. I cui altri ingredienti abituali erano le acrobazie, gli animali selvaggi, i panorami esotici e le trame movimentate – e, naturalmente, lo stesso Piel nelle vesti del protagonista. Con un palmarès di oltre 100 film – e una carriera quarantennale che ha attraversato l’epoca guglielmina, Weimar, il nazismo e il secondo dopoguerra – rappresentò egli stesso un genere popolare a se stante.
Dopo la scuola, Piel prestò servizio in marina, frequentò alcuni corsi di commercio e prese il brevetto di pilota acrobatico. Attività che, una volta combinate insieme, si rivelarono preziose per la sua carriera. Esordì nel 1912 con Schwarzes Blut, da lui prodotto, diretto e sceneggiato. Die grosse Wette (1916) segnò il suo debutto nella fantascienza; e nello stesso anno, in Unter heisser Zone, apparvero le prime audaci scene acrobatiche con gli animali feroci.
Dopo aver diretto, per Joe May, 8 film polizieschi della serie del detective Joe Deebs, iniziò a creare le proprie avventure come Harry Piel; realizzò di persona quasi tutte le scene acrobatiche dei suoi film e divenne una star di fama internazionale. Alcuni film lo videro impegnato in doppi ruoli, come Sein grösster Bluff (1927), dove era affiancato da una giovane Marlene Dietrich.
Piel si adattò senza problemi al sonoro, con la commedia di identità scambiate Er oder Ich (1930). I film di animali e di circo continuarono negli anni del nazismo, con titoli quali Der Dschungel ruft and Menschen, Tiere e Sensationen. Ein Unsichtbarer geht durch die Stadt (1933) fu uno dei rari film di fantascienza/fantasy dell’epoca. Nel 1943, il suo Panik, una storia patriottica su un acchiappa-animali, venne proibito perché la censura ritenne che le realistiche scene di raid aerei del film potessero minare il morale del pubblico.
Alla fine della guerra, Piel fu imprigionato per 6 mesi come “simpatizzante” del nazismo e interdetto dal lavoro per 5 anni. Nel 1950 fondò una nuova casa di produzione, la Ariel-Film; ma i tempi erano mutati. Il suo genere di cinema popolare non attirava più gli spettatori; né poteva ormai lo stesso Piel, che era sempre stato un po’ grassottello e ora stava visibilmente invecchiando, risultare convincente nei panni dello scavezzacollo. Il film della sua rentrée, Der Tiger Akbar (1951), per adeguarsi allo scorrere del tempo, era impostato su un tragico idillio tra un addestratore di animali e una collega più giovane. Il suo ultimo lavoro di una certa importanza, Gesprengte Gitter – Die Elefanten sind los (1953), era una versione rimaneggiata dell’inedito Panik. Durante gli anni ’50, Piel realizzò ancora qualche cortometraggio, prima di ritirarsi del tutto alla fine del decennio. (Estratto da Concise CineGraph)

 
 

Prog. 4

BUDDENBROOKS (Dea-Film GmbH Albert Pommer, Berlin, per/for Universum-Film AG (Ufa), Berlin, DE 1923)
Regia/dir: Gerhard Lamprecht; prod: Albert Pommer; scen: Alfred Fekete, Luise Heilborn-Körbitz, Gerhard Lamprecht, dal romanzo di/from the novel by Thomas Mann; f./ph: Erich Waschneck, Herbert Stephan; scg./des: Otto Moldenhauer; cast: Peter Esser (Thomas Buddenbrook), Mady Christians (Gerda Arnoldsen), Alfred Abel (Christian Buddenbrook), Hildegard Imhoff (Tony Buddenbrook), Mathilde Sussin (Elisabeth Buddenbrook), Franz Egénieff (armatore/shipowner Arnoldsen), Rudolf del Zopp (Console/Consul Kröger), Auguste Prasch-Grevenberg (Babette), Ralph Arthur Roberts (Bendix Grünlich), Charlotte Böcklin (Aline Puvogel), Karl Platen (procuratore/clerk Marcus), Kurt Vespermann (Renée Throta), Elsa Wagner (Sesemi Weichbrodt), Rudolf Lettinger (postiglione / coachman Grobleben), Emil Heyse (Kesselmeyer), Friedrich Taeger (Borgomastro/Burgomaster Oeverdieck), Philipp Manning, Hermann Vallentin (Smith), Robert Leffler (Capitano/Captain Kloot); riprese/filmed: 1923; data v.c./censor date: 16.8.1923; première: 31.8.1923, Tauentzien-Palast, Berlin; lg. or./orig. l.: 2383 m.; 35mm, 2301 m., 85’ (24 fps), col. (imbibizione originale riprodotta su pellicola a colori/printed on colour stock, reproducing original tinting); fonte copia/print source: Deutsche Kinemathek, Berlin. Didascalie in tedesco / German intertitles.

Due poderosi volumi nella prima edizione, pubblicata alla fine del 1900. Un totale di 1105 pagine. Le dimensioni del primo romanzo di Thomas Mann, Die Buddenbrooks [I Buddenbrooks], pur senza considerare la fama del libro e del suo autore, farebbero tremare i polsi anche a un regista di oggi. Venticinquenne all’epoca in cui venne realizzata questa prima riduzione per lo schermo del romanzo di Mann, il regista Gerhard Lamprecht e il produttore Albert Pommer (il fratello maggiore di Erich Pommer) procedettero con la masima riflessione e cautela. Dal romanzo fiume di Mann, dettagliata cronistoria di una ricca famiglia di mercanti di Lubecca che subisce un lento declino economico, spirituale e fisico nel corso di quattro generazioni, la sceneggiatura estrasse la storia di Thomas Buddenbrook, un esponente della terza generazione. E l’ambientazione ottocentesca venne aggiornata ai primi anni del Novecento. Mann, cui fu sottoposta la sceneggiatura, dette il suo assenso a tutti cambiamenti, anche là dove Lamprecht aveva segretamente sperato in qualche suo intervento migliorativo. E anche il prodotto finale, il film Die Buddenbrooks, non scalfì l’interesse di Mann sulle potenzialità artistiche del cinema: scrivendone nel 1928, sollecitava i registi ad affrontare altri suoi romanzi, in particolare “Der Zauberberg” (La montagna incantata). (Nessuno lo ha fatto fino al 1967, con un film televisivo di produzione tedesca).
Per quale motivo Thomas Mann si era mostrato così arrendevole nei confronti del progetto e dello script di Die Buddenbrooks? Forse aveva colto la grande attenzione di Lamprecht per i dettagli realistici – qualità che emerge in tutti i suoi film migliori. Per conferire precisione e sostanza al suo ritratto della società borghese di Lubecca – lo stesso mondo in cui era nato – Mann aveva svolto un’ampia ricerca sull’economia cittadina, sui prezzi delle merci e altre cose simili. Lamprecht, nel suo specifico, assicurò un’analoga precisione girando gli esterni e buona parte degli interni del film nella splendida cornice anseatica di Lubecca. Man mano che la cinepresa segue le vicissitudini di Thomas Buddenbrook (la moglie negletta, il fratello ribelle Christian, l’importazione di grano dall’Argentina decisa dal senato di Lubecca…) si evidenzia l’abilità di Lamprecht nel catturare l’essenza della quotidianità e i continui mutamenti psicologici e ambientali. Ed è questa caratteristica che unisce la borghesia della Lubecca di Mann agli sgambettanti bambini berlinesi di Emil und die Detektive (La terribile armata, 1931), il film più famoso di Lamprecht.
Un altro grande pregio di Die Buddenbrooks è il suo cast. Peter Esser, che interpreta Thomas, non ebbe una carriera cinematografica di rilievo, ma gli altri interpreti, oltre ad avere dei volti a noi piacevolmente familiari, sono tutti attori di indubbio talento: Alfred Abel (il glaciale padrone di Metropolis) qui nei panni del problematico Christian; il popolare e versatile Ralph Arthur Roberts in quelli di Grünlich, l’ambiguo cognato di Thomas; e Mady Christians, che soffre dignitosamente, con magnifica compostezza, nel ruolo della moglie negletta di Thomas. Loro li cerchereste invano nelle 1105 pagine di Mann. – Geoff Brown

Gerhard Lamprecht (Berlino, 1897-1974, Berlino) eccelse nei drammi realistici che riproducevano ambienti e personaggi della vita di tutti i giorni. Proiezionista part-time fin dall’età di 12 anni, a 17 aveva già venduto il suo primo script, alla Eiko-Film. Nel 1917, mentre lavorava come sceneggiatore presso la Messter-Film, fu richiamato e spedito a combattere sul fronte di guerra; ricoverato in un ospedale militare, continuò a lavorare, scrivendo, tra gli altri, Der Weltspiegel (1918), realizzato da Lupu Pick. Lamprecht divenne in seguito lo sceneggiatore capo della Rex-Film di Pick, per conto della quale supervisionò anche la produzione di alcuni “star-vehicles” per l’attore Bernd Aldor.
Lamprecht debuttò nella regia con Es bleibt in der Familie (1920), realizzato per la casa di produzione di Paul Heidemann. Sbancò i botteghini con un paio di sbrigativi film di “confessioni” con Ruth Weyer (Die Beichte einer Mutter, e Die Beichte derKrankenschwester, entrambi del 1921). Il suo talento per il dramma realistico emerse ulteriormente con Die Buddenbrooks (1923), da Thomas Mann. Die Verrufen (1925), nato da una collaborazione con l’illustratore e scrittore Heinrich Zille, dette il via al filone tedesco dei film di denuncia sociale che puntavano il dito sulle dure condizioni di vita degli operai nelle grandi città. Forte del proprio successo, fondò una casa di produzione, la Gerhard Lamprecht-Filmproduktion, per la quale realizzò Menschen untereinander, ambientato in un casamento popolare, e Die Unehelichen, basato sui resoconti di una “Associazione per la prevenzione della violenza e dello sfruttamento del bambino”. Quando il mercato venne inondato di analoghi prodotti “alla Zille”, Lamprecht passò al melodramma (DerKatzensteg) e a film di ambiente militare prussiano (tra cui le due parti di Der alte Fritz, 1927). Il suo maggiore successo internazionale fu il film sonoro Ufa Emil und die Detektive (1931), da uno script di Billie Wilder basato sul popolare romanzo per ragazzi di Erich Kästner.
Durante gli anni del nazismo, Lamprecht divenne un pedestre anche se abile regista di film di genere, con occasionali adattamenti da opere letterarie quali Madame Bovary (id. 1937) e DerSpieler (Il giocatore, 1938). Le opere migliori di quel periodo furono due melodrammi di ambiente operaio: Frau im Strom (1939) e Du gehörst zu mir (1943). Dopo la seconda guerra mondiale, Lamprecht realizzò per la DEFA il “film di macerie” Irgendwo inBerlin (1946), che si ispirava palesemente a Emil und die Detektive, e continuò a realizzare film di assoluto disimpegno fino alla metà degli anni ’50.
Fu collezionista di film e memorabilia del cinema fin dai primi anni ’10, e il suo catalogo in dieci volumi sui film tedeschi dell’epoca del muto, pubblicato tra il 1967 e il 1970 dalla Deutsche Kinemathek di Berlino (alla cui costituzione contribuì in prima persona), rimane tuttora un esemplare modello di riferimento. (Estratto da Concise CineGraph)

 
 

Prog. 5

DAS ALTE GESETZ (Baruch) (Comedia-Film GmbH, Berlin, DE 1923)
Regia/dir: Ewald André Dupont; scen: Paul Reno, dalle memorie di/from the memoirs by Heinrich Laube; f./ph: Theodor Sparkuhl; scg./des: Alfred Junge, Curt Kahle; cost: Ali Hubert; cast: Ernst Deutsch (Baruch), Henny Porten (Erzherzogin/Archduchess Elisabeth Theresia), Ruth Weyher (dama di corte/Lady in waiting), Hermann Vallentin (Heinrich Laube), Avrom Morewsky (Rabbi Mayer), Grete Berger (sua moglie/his wife), Robert Garrison (Ruben Pick), Fritz Richard (Nathan), Margarete Schlegel (Esther), Jakob Tiedtke (direttore della compagnia teatrale/Director of the theatre company), Olga Limburg (seine Frau/his wife), Alice Hechy (la figlia/their daughter), Julius M. Brandt (il vecchio attore/old comedian), Robert Scholz, Alfred Krafft-Lortzing, Dominik Löscher, Philipp Manning, Wolfgang Zilzer, Kálmán Zátony; riprese/filmed: 1923; data v.c./censor date: 18.10.1923; première: 29.10.1923, Marmorhaus, Berlin; lg. or./orig. l.: 3028 m.; 35mm, 2920 m., 107’ (24 fps); fonte copia/print source:Deutsche Kinemathek, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Nei tardi anni ’20, all’epoca del suo massimo trionfo, E.A. Dupont divenne tristemente famoso tra le maestranze della British International Pictures per i suoi capricci da tiranno, sollevando interminabili discussioni sui minimi particolari della disposizione delle luci, o lasciando lo staff tecnico con le mani in mano per ore mentre il grande maestro aspettava l’ispirazione. Ma prima del successo mondiale di Varieté (1925), la produzione artistica e le maniere di Dupont erano state decisamente più terra terra. Aveva esordito nel 1918 dirigendo un cospicuo numero di film polizieschi, basati su script sbrigativi di sua ideazione, che non avevano mai attirato l’attenzione della critica. La situazione cambiò significativamente dopo il fortunato sodalizio siglato con la diva (e produttrice) Henny Porten. Die Geier-Wally, primo di una lunga serie di adattamenti cinematografici da un popolare romanzo del filone Heimat, apparve nel 1921. Ma fu Das alte Gesetz, con la Porten e Ernst Deutsch, a consolidare la fama di Dupont.
Come Varieté, il film è ambientato nel mondo dello spettacolo, anche se qui non assistiamo alle esibizioni di artisti del trapezio, giocolieri o altre attrazioni del vaudeville. Lo script di Paul Reno traeva ispirazione da un testo autobiografico di Heinrich Laube, che raccontava i momenti clou della sua movimentata carriera teatrale come direttore del Burgtheater di Vienna, negli anni ’70 dell’800. Il Lauber cinematografico di Hermann Vallentin ricalca i soliti cliché dello show business: l’impresario brusco di modi, ma dal cuore d’oro. Una dicotomia più sottile emerge invece dalla figura di Baruch (Ernst Deutsch), un aspirante attore, che per seguire la propria vocazione teatrale sfida l’ira del padre rabbino. (Pochi anni dopo, Al Jolson in The JazzSinger dovrà vedersela con un problema analogo.) Dupont, il suo cameraman Theodor Sparkuhl, e i suoi scenografi Alfred Junge e Curt Kahle danno prova di grande ingegnosità nel delineare il conflitto che emerge tra i due mondi. Lo shtetl dell’Europa dell’est – la casa natia di Baruch e la radice della “vecchia legge” che dà il titolo al film – contrapposto al milieu teatrale di Vienna e alle attrattive dell’arciduchessa Elisabeth (Henny Porten). Lo stesso Baruch, in quanto ebreo ortodosso, è un uomo diviso, sempre ai margini della brillante società viennese.
In questo film di svolta, la padronanza tecnica di Dupont non ha ancora acquisito la fluidità di movimento, la profondità psicologica, e la forza propulsiva che troveranno la loro straordinaria compiutezza in Varieté. E tuttavia anche qui – nella accurata composizione delle immagini, nell’attenzione dedicata ai significati emozionali della struttura, della luce, e dell’ombra – vediamo già emergere in nuce lo stile di Dupont.
I ruoli che aveva interpretato nella pièce Der Sohn di Walter Hasenclever e nel film di Karlheinz Martin tratto da Von Morgen bis Mitternacht di Georg Kaiser avevano procurato a Ernst Deutsch la fama di attore “espressionista”. Ma Dupont e la cinepresa di Sparkuhl gli aprirono una strada diversa, indirizzandolo verso il realismo psicologico e la manifestazione del pensiero, piuttosto che verso gli stati di intensa esaltazione emotiva.
Dopo aver ignorato i film polizieschi di Dupont, i critici tedeschi tributarono al regista di Das alte Gesetz una serie di articoli encomiastici, elogiando in modo particolare la sua padronanza delle atmosfere e dei dettagli. “Un libro illustrato di gusto squisito”, dichiarò il Film-Kurier. Nel 1924, invece di consolidare il suo nuovo status, Dupont impresse una nuova svolta alla sua carriera e divenne direttore e impresario dell’Apollotheater di Mannheim, accumulando l’esperienza necessaria per realizzare il film che gli dette una sconvolgente notorietà mondiale: Varieté. Il cinema e la vita di Dupont non sarebbero mai più stati gli stessi. – Geoff Brown

Ewald André Dupont (Zeitz, Sassonia-Anhalt, 1891-1956, Los Angeles) iniziò la sua carriera come giornalista nel 1911, scrivendo per alcuni giornali di Berlino; e dal 1915 tenne regolarmente una rubrica di “arti dello spettacolo e cinema” sul quotidiano Bild Zeitung am Mittag. Nel 1916 esordì come sceneggiatore, soprattutto di serial polizieschi; e scrisse tre sequel del fortunato Es werde Licht!, film di ‘illuminazione sessuale’ di Richard Oswald. Nel 1918, scritturato dalla casa di produzione Stern-Film, cominciò a scrivere – e in un secondo tempo anche a dirigere – una lunga serie poliziesca con Max Landa (ne girò dodici episodi in due anni). La successiva esperienza con la Gloria-Film alzò il livello delle sue produzioni, ma la notorietà gli giunse solo con i due “star-vehicles” girati per Henny Porten Die Geier-Wally (1921) e Das alte Gesetz (1923).
Nel 1925, Dupont ottenne un successo internazionale con Varieté, prodotto da Erich Pommer per la Ufa. La Universal Pictures lo invitò a Hollywood, ma la sua prima committenza americana, Love Me and the World Is Mine, si rivelò un insuccesso. Ritornato in Europa, andò a lavorare in Inghilterra, presso il nuovissimo studio di Elstree della British International Pictures (BIP). Nel 1928, i suoi sofisticati melodrammi MoulinRouge e Piccadilly servirono da “star-vehicles” per Olga Tschechowa e Anna May Wong, e lanciarono la carriera inglese dello scenografo tedesco Alfred Junge. Con Atlantic (La tragedia dell’Atlantic, 1929), il suo film epico sul disastro del Titanic, girato in doppia versione inglese e tedesca, Dupont svolse un ruolo chiave nella conversione al sonoro dello studio di Elstree; e la versione tedesca, reclamizzata come “il primo film tedesco interamente sonorizzato al 100%”, si rivelò estremamente redditizia sul mercato continentale. Il film contrariò la critica per il ritmo frenetico delle scene dialogate; e neanche le sue due successive produzioni multilingue targate BIP, Two Worlds (Due mondi) e CapeForlorn (Fortunale sulla scogliera) furono accolte con favore; ma per qualche tempo Dupont continuò comunque a rappresentare un trofeo illustre per uno studio che ambiva al prestigio internazionale.
Tornato in Germania, diresse il melodramma sul circo Salto Mortale (id. 1931) e, in concomitanza con i Giochi Olimpici di Los Angeles, il film sportivo Der Läufer vonMarathon (1932-33). Hollywood lo chiamò di nuovo, ma, poiché lo si considerava un regista “difficile”, gli furono affidati solo progetti di scarsa importanza. Dopo essere stato licenziato per i contrasti sorti durante la produzione di Hell’s Kitchen (1939), tornò a dirigere film solo nel 1951 (il modesto dramma The Scarf). A questo seguirono solo produzioni di serie B quali The Neanderthal Man. Il nome di Dupont figurerà per l’ultima volta nei titoli di testa di una produzione mainstream come sceneggiatore di MagicFire (1955) biografia wagneriana di William Dieterle – un finale di carriera abbastanza amaro per un talento che una volta aveva brillato di un suo “fuoco magico”. (Estratto da ConciseCineGraph)

 
 

Prog. 6

LUMPEN UND SEIDE (De Klaplooper / Una coppa di champagne) (Richard Oswald-Film AG, Berlin, DE 1925)
Regia/dir: Richard Oswald; scen: Adolf Lantz, Heinz Goldberg, da un’idea di/from an idea by Richard Oswald; f./ph: Mutz Greenbaum, Emil Schünemann; scg./des: Kurt Richter; cast: Reinhold Schünzel (Max), Mary Parker (Irene), Johannes Riemann (Erik), Einar Hanson (Werner), Maly Delschaft (Ulrike), Mary Kid (Hilde, una ragazza del popolo/a girl of the people), Ferdinand Bonn (il padre di Hilde/Hilde’s father); riprese/filmed: 1924; data v.c./censor date: 2.12.1924; première: 9.1.1925, Richard-Oswald-Lichtspiele, Alhambra Kurfürstendamm, Berlin; lg. or./orig. l.: 2456 m.; 35mm, 1748 m., 69’ (22 fps); fonte copia/print source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.
Didascalie in olandese / Dutch intertitles.

Lumpen und Seide significa “stracci e seta”, e sul filo di questo sottile contrasto si dipana anche il brioso Sittenfilm (di puro intrattenimento, con vaghi sottintesi di carattere sessuale e morale) di Richard Oswald – una favola moderna, a partire dalla didascalia descrittiva iniziale fino all’esplosione di felicità del suo lieto finale. Stracci e seta, i poveri e i ricchi. Ed anche all’interno dell’ambientazione berlinese del film si presentano due località distinte: Wedding, nell’area di nord-ovest, è un quartiere di estrazione prevalentemente operaia (e dopo la prima guerra mondiale, di militanza comunista); mentre Grunewald, nell’area di sud-ovest, è fin dai primi anni del 20° secolo, la verdeggiante e tranquilla zona residenziale dell’alta borghesia. I due mondi entrano in contrasto quando Erik (Johannes Riemann), un marito annoiato che vive in una delle residenze signorili di Grunewald, decide di dare un po’ di mordente alla propria esistenza invitando una giovane operaia di Wedding, Hilde (Mary Kid), ad andare ad abitare a Grunewald. La moglie di Erik, Irene (interpretata da Mary Parker, nom d’art di Magdalena Prohaska) sulle prime si adegua alla nuova situazione. Ma il quieto vivere non sopravvivrà alla trasformazione signorile di Hilde e all’apparizione del fidanzato geloso della ragazza, Max (Reinhold Schünzel, qui alle prese con un’interpretazione comica riccamente variegata).
Anche se oggi viene ricordato soprattutto per Es werde Licht! e altri melodrammatici film“educativi” dei tardi anni ’10, Oswald non fu mai un regista con il capo sotto la sabbia. E tuttavia, Lumpen und Seide, malgrado la schietta opposizione enunciata nel suo titolo e il suo sguardo acuto sul comportamento umano, non si spinge mai in profondità nel descrivere le aspre divisioni sociali dell’epoca. Stracci e seta si sfiorano con leggerezza in un film concepito unicamente per divertire il grande pubblico e soddisfare le richieste del mercato. Ciò non di meno, è piuttosto chiaro a chi vadano le simpatie di Oswald: ai poveri onesti, non ai ricchi in vena di facezie.
Il critico del Film-Kurier del gennaio 1925 sintetizzò il suo giudizio definendolo un piacevole passatempo di un’ora, altrettanto impegnativo quanto dare una scorsa alle pagine illustrate di un buon periodico. Ma perfino i film banali possono dire ancora molte cose: soprattutto a 82 anni di distanza. – Geoff Brown

Richard Oswald
(Richard W. Ornstein; Vienna, 1880–1963, Düsseldorf) studiò recitazione a partire dal 1896, e in seguito fece parte di compagnie di giro come attore e regista. Nel 1911, quando a Vienna si scatenò l’antisemitismo, Oswald riparò a Düsseldorf, dove recitò in due film. Trasferitosi a Berlino, nel 1914 iniziò a scrivere sceneggiature per la Deutsche Vitascope, e nello stesso anno esordì nella regia con il dramma bellico Das eiserne Kreuz, che ebbe qualche contrasto con la censura. Negli anni seguenti, alternò la produzione di film polizieschi con progetti più ambiziosi quali l’atmosferico Erzählungen da Hoffmann (1916) e Das Bildnis des Dorian Gray (Il ritratto di Dorian Gray, 1917), da Oscar Wilde. Es werde Licht! (1916), sulla vicenda di un pittore che contrae la sifilide, dette il via a una serie di Aufklärungsfilme, che mescolavano temi di educazione sessuale e trame di melodramma. Il più ambizioso e politicamente progressista dei quali fu Anders alsdie Andern (1919), che usava la storia di un violinista gay perseguitato da un ricattatore per stimolare l’abrogazione delle draconiane leggi tedesche sull’omosessualità. Nel dopoguerra, un breve periodo di rilassamento delle maglie censorie incoraggiò il fiorire di questo tipo di film, fino a che l’imposizione di nuove regole non pose fine al boom degli Aufklärungfilme.
Nei primi anni ’20, Oswald girò alcuni ambiziosi film di genere storico-epico (Lady Hamilton, id., 1921; Lucrezia Borgia, id.,1922). Ma dopo il fallimento della sua società di produzione, avvenuto nel 1926, dovete ripiegare su prodotti popolari a basso costo – utili peraltro a foraggiare la programmazione della sala che gestiva personalmente a Berlino. Tornò di nuovo al genere storico con la sontuosa produzione di Cagliostro –Liebe und Leben eines großen Abenteurers (Cagliostro, 1929), girato in Francia. Adattatosi senza problemi al sonoro, Oswald inizialmente si specializzò in film operetta e commedie musicali, pur continuando a sviluppare altri soggetti storici, tra cui Dreyfus (1930), “1914”. Die letzten Tage vor dem Weltbrand (1931), e Der Hauptmann von Köpenick (1931), basato su una popolare commedia di Carl Zuckmayer, il cui protagonista è un delinquente di mezza tacca che si fa passare per un ufficiale prussiano.
Dopo l’avvento del nazismo, Oswald lavorò in Austria, Francia, Olanda e Inghilterra, prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti nel 1938. Nella manciata di film che girò a Hollywood figurano un remake di Der Hauptmann von Köpenick (Il capitano di Koepenick, 1941) con Albert Bassermann, che subì notevoli ritardi nella distribuzione (e uscirà infine con i titoli I Was aCriminal e Passport to Heaven), e la commedia The Lovable Cheat (L’amabile ingenua; 1949) d’après Balzac, con Charlie Ruggles, Curt Bois e Buster Keaton.
Il figlio di O., Gerd Oswald (1918-1989) ebbe una fortunata carriera di regista e produttore a Hollywood. (Estratto da Concise CineGraph)

 
 

Prog. 7

WEGE ZU KRAFT UND SCHÖNHEIT (Forza e bellezza / The Way to Strength and Beauty) (Universum-Film AG (Ufa) – Kulturabteilung, Berlin, DE 1924-25)
Regia/dir., scen: Wilhelm Prager; f./ph: Friedrich Weinmann, Eugen Hrich, Friedrich Paulmann, Max Brinck, Kurt Neubett, Jakob Schatzow, Erich Stocker; scg./des: Hans Sohnle, Otto Erdmann; cast: La Jana, Maria Caramonte [= Eva Liebenberg], Hertha von Walther, Kitty Cauer, Hubert Houben, Rudolf Kobs, Luber, Artur Holz, Herrmann Westerhaus, Henry Carr, Helen Wills; Charles William Paddock, Loren Murchison, Arthur Porrit (velocisti/sprinters); Leni Riefenstahl, membri della/members of the Bode-Schule, Laban-Schule, Schule Hellerau für Rhythmus, Musik und Körperbildung, Gymnastik-Schule Bess Mensendiek, Gymnastik-Schule Loheland (culturisti/body culture performers); Lydia Impekoven, Tamara Karsavina, Peter Wladimiroff, Jenny Hasselqvist, Bac Ishii, Konami Ishii, Mary Wigman, Carolina de la Riva (danzatrici/dancers); data v.c./censor date: 16.2.1925; première: 16.3.1925, Ufa-Palast am Zoo, Berlin; nuova versione/new version (1926):data v.c./censor date: 4.6.1926, première: 11.6.1926, Ufa-Palast am Zoo, Berlin; 35mm, 2536 m., 100’ (22 fps);fonte copia / print source: Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden.
Didascalie in inglese / English intertitles.

Intorno al 1924, la drammatica crisi economica della Germania ridusse temporaneamente la produzione di lungometraggi, incrementando quella di documentari e film educativi (Lehrfilme), che offrivano il vantaggio di una notevole riduzione dei costi. Questi stilizzati Kulturfilme si rivelarono estremamente redditizi per il conglomerato Ufa. Che, facendo di necessità virtù, in un suo opuscolo pubblicitario dell’epoca annunciava pomposamente: “Il mondo è bello: e il suo specchio è il Kulturfilm.” Il Kulturabteilung Ufa era stato fondato nel luglio del 1918, e verso la metà degli anni ’20 aveva iniziato la produzione di documentari a lungometraggio su argomenti vari, quali il vino attraverso i secoli, et cetera. Il suo più grande successo commerciale fu Wege zu Kraft undSchönheit, che venne nuovamente distribuito nel 1926 con un 60% circa di materiale nuovo. Quando il film fu distribuito all’estero vennero fatte ulteriori aggiunte, per assecondare i requisiti e le preferenze delle singole nazioni. Recensendo la versione americana (The Way to Strength andBeauty) nel 1927, il New York Times informava i propri lettori che il film aveva attivamente contribuito a diffondere “la mania per il nudo e i bagni di sole nei paesi d’oltreoceano”. Scrive Siegfried Kracauer nel 1947 in Dal Gabinetto del dottor Caligari a Hitler:
“Il primo Kulturfilm che colpì il pubblico straniero fu Wege zu Kraft und Schönheit (Forza ebellezza) dell’UFA [diretto da Wilhelm Prager], un lungometraggio documentario distribuito nel 1925 e ripresentato un anno dopo in edizione un po’ modificata. Realizzato con l’appoggio finanziario del Governo tedesco, questo film venne proiettato nelle scuole per il valore educativo che gli si attribuiva. In un manifesto pubblicitario dell’UFA dedicato ai suoi pregi, un panegirista di professione afferma che Wege zu Kraft und Schönheit propugna il concetto della «rigenerazione della razza umana». In realtà il film propugna soltanto la ginnastica artistica e lo sport, ma in compenso lo fa senza risparmio di colpi: non contenta di ritrarre scene reali di atletica, di ginnastica igienica e ritmica, di danza e così via, l’UFA risuscita le terme romane e un antico ginnasio greco pieno di adolescenti che si atteggiano a contemporanei di Pericle. La mascherata era facile in quanto molti atleti si esibivano completamente nudi. Naturalmente questo spettacolo offese i prudes, ma l’UFA sostenne che la perfetta bellezza fisica doveva suscitare piaceri di ordine puramente estetico e il suo idealismo fu compensato dagli ottimi incassi al botteghino. Da un punto di vista estetico la ricostruzione dell’antichità è di cattivo gusto, le scene sportive eccellenti e le bellezze fisiche talmente ammassate le une alle altre che non fanno nessun effetto, né sensuale, né estetico.”
David Robinson

Wilhelm Prager (Augsburg, 1876-1955, Prien am Chiemsee) iniziò la sua carriera come attore di teatro. Nel 1919, dopo aver prestato servizio nella prima guerra mondiale, debuttò nel cinema come attore e assistente alla regia. La sua prima regia, In der Sommerfrisch’n (1920), un film turistico, segnò l’inizio di una lunga carriera durata fino al 1945: realizzò 150 film per lo Ufa-Kulturabteilung, specializzandosi in adattamenti da fiabe e redditizi film sul folklore, la campagna e lo sport. I suoi tre lungometraggi di ispirazione fiabesca del 1921, Der kleine Muck, Tischleindeck dich..., e Der fremde Prinz, tratti da novelle di Wilhelm Hauff e dei fratelli Grimm, furono i primi film tedeschi del genere, e la Ufa seppe abilmente lanciarli sul mercato internazionale traendone buoni profitti. Ma dopo lo straordinario successo di Wege zu Kraft und Schönheit, il lungometraggio realizzato da Prager per il Kulturfilm e prodotto da Nicholas Kaufmann, si dedicò prevalentemente alla produzione di documentari.
Prager predilesse i film sull’allevamento dei cavalli; per Paradies der Pferde (1936), un suo documentario sulla scuderia di Trakehnen nella Prussia Orientale, ricevette una medaglia d’oro alla Exposition Internationale “Arts et Techniques” di Parigi del 1937. Nel 1939 la Gestapo dichiarò Prager un “mezzo-ebreo”, ma egli rimase ugualmente membro del Reichsfilmkammer, realizzando Kulturfilme quali Heuzug im Allgäu. Dopo la seconda guerra mondiale, continuò per un breve periodo a produrre film con una propria casa di produzione, la Willi-Prager-Films. Alle prime difficoltà finanziare, abbandonò l’attività cinematografica. (Estratto da CineGraph)

 
 

Prog. 8

DER FARMER AUS TEXAS (The Cowboy Count) (Universum-Film AG (Ufa), Berlin, DE 1925)
Regia/dir., prod: Joe May; scen: Joe May, Rolf E. Vanloo, dalla pièce/from the play Kolportage di/by Georg Kaiser; f./ph: Carl Drews, Antonio Frenguelli; scg./des: Paul Leni; cast: Mady Christians (Mabel Bratt), Edward Burns (Erik), Willy Fritsch (Akke), Lilian Hall-Davis (Alice), Christian Bummerstedt (Conte/Count von Stjernenhoe), Clara [Clare] Greet (Mrs. Appelboom), Hans Junkermann (Barone/Baron Barrenkrona), Pauline Garon (Miss Abby Grant), Frida Richard (zia/aunt Jutta), Ellen Plessow, Emmy Wyda; riprese/filmed: 1925; data v.c./censor date: 25.7.1925; première: 22.10.1925, Tauentzien-Palast, U.T. Turmstraße, Ufa-Palast Königstadt, U.T. Alexanderplatz, Berlin; lg. or./orig. l.: 2540 m.; 35mm, 2447 m., 106’ (20 fps); fonte copia/print source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.

Didascalie in inglese / English intertitles.
Trovare un film tedesco della metà degli anni ’20 intitolato Der Farmer aus Texas non rappresenta certo una sorpresa. L’America, per un verso o per l’altro, occupava i pensieri di molti. Il potente conglomerato della Ufa rischiò di inflazionare i costi di produzione elevando di proposito i propri livelli di spettacolarità per attirare il mercato americano. Contemporaneamente, le coproduzioni europee tendevano a rafforzare il mercato interno europeo e a porre un freno all’importazione di film americani. E mentre davanti ai cinema, nei teatri e negli alberghi il jazz, la danza e la musica americana eccitavano le folle; per gli scrittori di sinistra come Brecht, l’America rappresentava a un tempo un pericoloso monito e un’attrazione fatale. Schizofrenia pura.
Questa produzione Ufa di Joe May, adattamento cinematografico di una delle più popolari pièces teatrali berlinesi del 1924, Kolportage (“romanzo d’appendice”) di Georg Kaiser, rispecchia perfettamente la grande confusione del periodo. Il titolo, il soggetto, gli interni abilmente ricostruiti in studio, gli esterni pittoreschi, il cast di attori americani ed inglesi, tutto lasciava presagire l’auspicato grande successo internazionale. (Che però non arrivò). Nel film non c’è peraltro il minimo atteggiamento reverenziale nei confronti dell’America: il Nuovo Mondo viene canzonato al pari del Vecchio Continente. Il Georg Kaiser di Kolportage aveva mutato registro rispetto ai drammi espressionisti scritti durante la Grande Guerra; e in Kolportage aveva cinicamente assemblato clichés teatrali e parodia dei generi più popolari. Gli elementi chiave della trama sono quanto di più stantio si possa immaginare: oltre all’abusato contrasto tra Vecchio e Nuovo Mondo, tra vecchie fortune e nouveaux riches, non mancano una famiglia aristocratica divisa in opposte fazioni, una spruzzata di violento conflitto dinastico, e una variazione sul vetusto tema delle culle scambiate (il pargolo del conte Stjernenhoe viene scambiato con il figlio di una povera vedova, Frau Appelboom).
Ma quello che era piaciuto alle platee teatrali non riscosse altrettanto successo nei cinema tedeschi: anzi, i pesanti costi di produzione di Der Farmer aus Texas nel 1926 spinsero la Ufa a un passo dalla bancarotta. Forse il pubblico cinematografico non seppe cogliere il tono ironico di questo ‘romanzo d’appendice’. Forse non fu in grado di apprezzare gli attori d’importazione che si muovevano nei suggestivi set del castello ricreati in studio da Paul Leni o, in esterni, sulle bellissime coste svedesi. Attori quali l’aitante americano Edward Burns (qui nel ruolo del vero figlio del conte, che dà anche il titolo al film); o le inglesi Lilian Hall-Davis (Alice, suo giovanile sogno d’amore) e Clare Greet (la povera vedova Appelboom). Il pubblico, naturalmente, apprezzò Willy Fritsch, l’amabile ed energico “falso” virgulto Akke: il cui ruolo crebbe di spessore per favorire lo status di star dell’attore. E sicuramente a nessuno riuscì sgradita Mady Christians, nel ruolo di Mabel, la figlia del ricco agricoltore americano, il cui matrimonio con Christian Bummersted (il conte di Stjernenhoe) dà inizio alla vicenda.
Le difficoltà personali di Joe May probabilmente influirono sulla produzione: nello stesso mese in cui ebbero inizio le riprese del film, agosto 1925, Eva May, la figlia attrice del regista, si tolse la vita con un colpo di pistola. Ma questo, oggi, non può certo incupire la nostra visione. Ambizioso, elegante e molto legato al suo tempo, Der Farmer aus Texas è esattamente il tipo di affascinante film commerciale ingiustamente oscurato dalle “ombre premonitrici” di Kracauer e della Eisner. – Geoff Brown

Joe May (Julius Otto Mandl; Vienna, 1880–1954, Hollywood). Figlio di un ricco industriale, May scialacquò le fortune familiari vivendo nel bel mondo di Berlino. Nel 1902 sposò la cantante Hermine Pfleger; e quando la moglie adottò il nom d’art ‘Mia May’, Mandl divenne Joe May. Realizzò il suo primo lungometraggio per la Continental-Kunstfilm dirigendo Mia, al suo primo ruolo cinematografico, nel dramma sentimentale In der Tiefe des Schachtes (1912). Dopo aver inaugurato, nel 1913, con la serie poliziesca del detective Stuart Webbs, la Continental, nel 1915 fondò la May-Film lanciando una serie concorrenziale con il detective “Joe Deebs”. Nello stesso tempo, dette la possibilità di emergere a intraprendenti giovani di talento quali Fritz Lang e E.A. Dupont, e incoraggiò la carriera di tragédienne melodrammatica di Mia azzardando imprese rischiose quali Die Herrin der Welt (1919), un’avventura esotica in otto parti.
Affiliato alla Ufa durante tutti questi anni, nel 1921 May cambiò partner legandosi alla EFA, una casa di produzione con capitale americano. Con le due parti di Das Indische Grabmal (Il sepolcro indiano, 1921) e il melodramma ambientato nell’alta società Tragödie der Liebe (1923), May divenne il nome di maggior prestigio dello studio dopo Lubitsch. Seguì un periodo abbastanza difficile: la rampante inflazione tedesca costrinse gli studios a una drastica riorganizzazione; Mia si ritirò in seguito al suicidio della figlia attrice della coppia, Eva May; e Der Farmer aus Texas, un tentativo di successo internazionale, si rivelò un disastro finanziario. La sua buona fortuna risorse sotto gli auspici dell’unità produttiva Ufa di Erich Pommer, per il quale realizzò i suoi ultimi due drammi muti Heimkehr (Il canto del prigioniero, 1928) e Asphalt (Asfalto, 1929). Il felice debutto sonoro di May, la commedia IhreMajestät die Liebe, provò la sua attitudine anche nell’ambito della commedia.
Dopo la première del musical di Jan Kiepura Ein Lied für Dich (1933), May emigrò – via Parigi e Londra – a Hollywood, dove Pommer, allora alla Fox, gli affidò la regia di Music in the Air (Musica nell’aria, 1934). Prima produzione hollywoodiana il cui cast artistico e tecnico era interamente composto da émigrés dalla Germania nazista, il film fu un sonoro flop, come anche il successivo elegante dramma giudiziario Confession (1937), realizzato per la Warner Brothers.
In seguito, May diresse alcune produzioni di serie B per la Universal, che gli procurarono la nomea di regista poco affidabile – gli fu tolta la regia del film antinazista The Strange Death of Adolf Hitler (1943). Il suo ultimo film fu la commedia di guerra Johnny Doesn’t Live Here Any More (Sette settimane di guai, 1944). Cinque anni dopo, grazie al finanziamento di alcuni amici, Joe e Mia May aprirono un ristorante viennese a Los Angeles; chiuse i battenti dopo poche settimane.
 (Estratto da Concise CineGraph)

 
 

Prog. 9

DER HERR DES TODES (Maxim Film, Ebner & Co., Berlin, DE 1926)
Regia/dir: Hans Steinhoff; scen: Hans Szekely, dal romanzo di/based on the novel by Karl Rosner; f./ph: Hans Theyer, Willibald Gaebel; scg./des: Robert Neppach; mus. (1926 Berlin premiere): Pasquale Perris; cast: Alfred Solm (Peter von Hersdorff), Hertha von Walther (Maja), Simone Vaudry (Heid von Düren), Eduard von Winterstein (colonello/Colonel von Hersdorff), Heinrich Peer (consigliere segreto/Privy Councillor von Düren), Erna Hauck (Daisy Brown), Jenny Marba (Sig.ra /Mrs. von Hersdorff), Hedwig Pauly-Winterstein (Consigliere segreto della moglie di von Düren/Privy Councillor von Düren’s wife), Ferdinand von Alten (Barone/Baron von Bassenheim),Szöke Szakall (impresario Bordoni), Georg John, Hugo Döblin, Maria Forescu, Teddy Bill, Paul Rehkopf, Mammey-Bassa, John Essaw; data v.c./censor date: 22.11.1926; première: 26.11.1926, Tauentzien-Palast, Berlin; lg. or./orig. l.: 2318 m.; 35mm, 2388 m., 95’ (22 fps); fonte copia/print source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Der Herr des Todes (tit. ingl. The Master of Death) faceva parte di una serie di film realizzati da una delle sussidiarie della Ufa nel tentativo di adempiere agli obblighi contrattuali del malaccorto “Parufamet-Agreement” da lei stipulato con la Paramount e la Metro-Goldwyn-Mayer nel dicembre del 1925 (che costringeva i tedeschi a produrre un minimo di 40 film per poterne importare 20 da ciascuna delle due majors hollywoodiane) e di un altro accordo separato sottoscritto con Carl Laemmle (nel quale la Ufa si impegnava a programmare 50 film Universal nei propri cinema in cambio di un prestito di 275.000 $). Steinhoff (che pare fosse stato coinvolto nel progetto all’ultimo minuto) non era un nuovo arrivato alla Maxim Film, Ebner & Co., avendo già scritto due sceneggiature per conto della stessa compagnia, Die Fledermaus (di Max Mack, 1922) and Der Mann im Sattel (di Manfred Noa, 1925).
Basato su un romanzo di Karl Rosner e – secondo all’opinione di un recensore – estremamente simile a una produzione Deutsche Bioscop di Max Obald del 1913-14 dallo stesso titolo, il film narra la vicenda di Peter Hersdorff, un aristocratico luogotenente di cavalleria che è costretto a dimettersi e a rinunciare alla carriera militare per essersi difeso dalle deliberate provocazioni di un ufficiale suo superiore che gli contende le attenzioni amorose della figlia di un rispettabile consigliere privato. Preoccupata per la propria onorabilità, la famiglia di Peter lo esilia a New York, dove il giovane affronta una vita assai grama fino a che un ex artista di circo non lo aiuta a diventare un abile trapezista e acrobata di fama mondiale. Per poter riabbracciare la fanciulla che ama, Peter dovrà prima sopravvivere a un atto di sabotaggio di un rivale geloso.
Benché la vicenda sia ambientata nei primi anni del 1920, i personaggi, l’atmosfera e le usanze del film riecheggiano il periodo che aveva preceduto la prima guerra mondiale, e che serbava ancora un grande fascino presso alcuni settori della società tedesca negli anni della repubblica di Weimar. La presenza di attori sconosciuti nei ruoli principali, l’apparizione nel Central Park di New York di pini caratteristici delle foreste dei dintorni di Berlino, e la première del film a Monaco (cinque mesi dopo la sua uscita berlinese) di rincalzo a The Midnight Sun di Dimitri Buchowetzki (1926; titolo della distribuzione tedesca, Die Tänzerindes Zaren) in un doppio programma presso lo Ufa-Filmpalast cittadino, sono chiari indizi dello status di low-budget del film e lo relegano nella categoria “produzioni affrettate”. Il film contiene anche un interessante esempio di “product-placement”: il piroscafo di linea Columbus (regolarmente usato dai manager della Ufa per i loro viaggi di lavoro negli States) figurava abbastanza dettagliatamente nelle scene del film da consentire al suo proprietario, il Norddeutsche Lloyd, di offrire passaggi gratuiti alla piccola troupe richiesta per le riprese a bordo della nave e a New York.
I critici berlinesi furono fortemente divisi nei loro giudizi. Alcuni sottolinearono con sarcasmo le “caratteristiche antiquate” del film in un’epoca in cui i tedeschi cercavano di affrancarsi dal loro passato imperiale, mentre altri – e in particolare la stampa di settore che auspicava un suo successo al botteghino – lo ritennero un ottimo esempio di cinema commerciale senza pretese letterarie, che mirava soprattutto a emozionare e divertire il pubblico. Per Steinhoff fu solo un impegno di routine da portare a termine con il solido professionismo che aveva sempre caratterizzato la sua opera.
Horst Claus

Hans Steinhoff (Johannes Reiter; Marienberg, Sassonia, 1882-1945, Glienig, nei pressi di Berlino). Grazie al progetto Steinhoff del Bundesarchiv-Filmarchiv di Berlino, gli habitués delle Giornate hanno già qualche familiarità con i film muti di questo regista dimenticato. Le carriere di buona parte degli artisti presenti in questa serie intitolata “L’altra Weimar” furono stroncate dalla persecuzione nazista, mentre quella di Steinhoff proseguì anche durante la repubblica di Weimar con una pregevole produzione che è stata ingiustamente offuscata dalla successiva pessima notorietà del regista come autore di alcuni dei più infami film di propaganda del cinema nazista.
Steinhoff crebbe a Lipsia. All’età di 15 anni entrò a far parte di una compagnia teatrale locale. A questa esperienza ne seguirono molte altre: recitò al fianco dell’autore Frank Wedekind nella prima produzione di Lulu (Steinhoff vi interpretava Alwa, Wedekind il Dr. Schön); fu cantante e regista d’operetta. Dopo la prima guerra mondiale, con il declino del teatro di varietà tradizionale, Steinhoff fondò, nel 1921, una propria casa di produzione cinematografica. Per la Gloria di Berlino realizzò lo storico/epico Der Falsche Dimitry (The False Dimitri, 1922), e si costruì una solida reputazione di regista efficiente e versatile nelle produzioni destinate al grosso pubblico. La sua abilità nel lavorare con budget di modesta entità lo rese particolarmente popolare presso le case di produzione più piccole.
Nel 1933, mentre era sotto contratto con una unità minore della Ufa specializzata in produzioni d serie B, Steinhoff realizzò HitlerjungeQuex, film che gli valse lo statuto di rappresentante ufficiale della propaganda nazista. Benché Steinhoff fosse un fervente ammiratore di Hitler, non fu mai iscritto al partito; e alcune persone che lo conobbero lo hanno descritto come “un individuo totalmente apolitico”, un opportunista più che un vero attivista politico. La sua reputazione come uno dei maggiori (e più apprezzati) registi del Terzo Reich si basa soprattutto su “biopics” [cine-biografie romanzate] quali Ohm Krüger (Ohm Krüger, l’eroe dei boeri, 1941) e Rembrandt (1942). Ma Steinhoff fu anche il responsabile di Die GeierWally (Wally dell’avvoltoio, 1940), uno degli esempi più autorevoli di Heimatfilm, e dell’ambiguo Tanz auf dem Vulkan (1938), nel quale Gustaf Gründgens sembra incitare la resistenza alla dittatura.
Steinhoff morì negli ultimi giorni di guerra, quando l’aeroplano che lo stava riportando a Praga – dove stava girando un film concepito su misura per il divo Hans Albers – venne abbattuto dalla contraerea russa nella zona a sud-est di Berlino. (Estratto da ConciseCineGraph)

 
 

Prog. 10

DER HIMMEL AUF ERDEN (Reinhold Schünzel-Film GmbH, Berlin, DE 1927)
Regia/dir: Alfred Schirokauer; prod., supv: Reinhold Schünzel; scen: Reinhold Schünzel, Alfred Schirokauer, dalla pièce/from the play Der Doppelmenschdi/by Wilhelm Jacobi & Arthur Lippschütz; f./ph: Edgar S. Ziesemer; scg./des: O.F. Werndorff; cast: Reinhold Schünzel (Traugott Bellmann), Charlotte Ander (Juliette), Adele Sandrock (presidentessa della lega per la moralità/morality league president), Emmy Wyda, Erich Kaiser-Titz (Dr. Dresdner), Otto Wallburg (Louis Martiny), Paul Morgan (Herr Kippel), Szöke Szakall (manager), Ellen Plessow (Frau Kippel), Johanna Ewald, Frigga Braut, Ida Perry (Frau Martiny), Maria Kamradek; riprese/filmed: 1926-27; data v.c./censor date: 27.1.1927; première: 25.7.1927, Gloria-Palast, Berlin; lg. or./orig. l.: 2410 m.; 35mm, 2450 m., 97’ (22 fps); fonte copia/print source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Se provate a scorrere gli indici degli autorevoli “From Caligari to Hitler” [Dal Gabinetto del dottor Caligari a Hitler, tr. it. 1954] di Siegfried Kracauer e “L’écran démoniaque” [Lo schermo demoniaco, 1952] di Lotte Eisner, non vi troverete mai menzionato Reinhold Schünzel, e neppure la commedia sul travestitismo Viktor undViktoria, il suo film più famoso. E nel caso di Kracauer in particolare, l’omissione di un attore-regista così dilettevole e significativo appare davvero una singolare miopia. Kracauer, sociologo e storico, da acuto analista della tipologia umana e delle tecnologie di massa, avrebbe dovuto scorgere nelle creazioni cinematografiche di Schünzel un distillato dell’inquieto edonismo della Berlino di Weimar osservato in uno specchio folle.
Come attore, Schünzel si mise in luce dopo la prima guerra mondiale, incarnando figure ambigue e demoniache in Anders als die Andern di Richard Oswald e in altri melodrammi di attualità – e interpretate con una tale forza che un critico, nel 1926, lo definì “il peccato personificato”. Nel corso degli anni ’20, cambiò completamente registro, passando dal dramma alla commedia, anche se negli esilaranti Der Himmelauf Erden, HallohCaesar! e Hercules Maier gli inganni, i travestimenti (morali e sessuali) e la pericolosa eleganza della sua gestualità non diminuirono affatto di segno. I suoi personaggi sono parenti stretti di quelli che abitano i dipinti di Otto Dix, George Grosz, e Max Beckmann: prussiani dalle facce squadrate, ossessionati dal piacere e dal capitalismo, che bevono le loro notti fino all’ultima feccia.
Schünzel non fu il regista ufficiale di Der Himmel auf Erden; ma essendone stato supervisore artistico, produttore, co-sceneggiatore, e protagonista, non restano molti dubbi su chi abbia retto le fila – e, soprattutto, su chi si concentrerà la nostra attenzione. Nonostante la presenza della deliziosa di Charlotte Ander, di Szöke Szakall, delle ballerine, di una jazz band nera, di una scimmia ammaestrata e degli sfarzosi set del nightclub disegnati da Oscar Werndorff, i nostri occhi sono sempre alla ricerca di Schünzel. Il materiale originale, la farsa teatrale DerDoppelmensch, gli fornì un prototipo ideale del burocrate di Weimar: Bellmann, il probo, intollerante e proibizionista consigliere municipale la cui irreprensibile moralità viene messa a repentaglio quando il suo defunto fratello gli lascia in eredità 500.000 marchi e un night-club di pessima fama “Der Himmel auf Erden” (“Il Cielo in terra”).
Per ottemperare alle clausole testamentarie del fratello – che ne sarebbe delle farse senza i testamenti? – Bellmann deve essere fisicamente presente nel club ogni notte. Da qui il parossismo del suo imbarazzo e disdegno. Da qui la successiva e temeraria apparizione da travestito nel suo club, dove danzerà stracarico di gioielli, a mo’ di reginetta del ballo. (Schünzel, di sessualità incerta lui stesso, probabilmente se ne compiacque parecchio). Dal dito sollevato alle sopracciglia inarcate, il repertorio corporeo della sua comicità appare inesauribile. E il regista Alfred Schirokauer, seguendo lo stile asciutto di regia dello stesso Schünzel, conosce l’importanza del ‘controlla e aspetta’; visivamente, niente appare forzato o affrettato. È Weimar catturata in una bottiglia mignon – che, credetemi, si lascia bere tutta d’un fiato. – Geoff Brown

Reinhold Schünzel (Hamburg, 1888–1954, Munich) dapprima raggiunse la notorietà come attore di cinema, anche se oggi lo si ricorda soprattutto come regista di alcuni dei più grossi successi degli anni ’20 e ’30, secondi soltanto ai film di Lubitsch per intelligenza e ricercatezza. Debuttò nel cinema nel 1916, entrando a far parte, con Conrad Veidt e la ballerina esotica Anita Berber, del team di attori del regista Richard Oswald: nel melodramma di emancipazione omosessuale Anders als die Andern (1919) interpretò un viscido ricattatore. Mentre per Lubitsch, fu un losco e ombroso aristocratico in Madame Dubarry (id.,1921).
Regista dal 1918, si dedicò prevalentemente alla commedia, ma con Katharina die Grosse (1920), seppe dimostrare un talento sicuro anche nel genere storico-spettacolare. Dopo gli inizi da indipendente, nel 1926 venne scritturato dalla Ufa, dirigendo e interpretando popolari commedie slapstick, tra cui Halloh – Caesar! (1926), Der Himmel auf Erden (1927), e Hercules Maier (1927). Si adattò senza problemi al sonoro, sfruttando abilmente musica, dialogo e rumori per trarne la massima efficacia comica. Mantenne inalterato il suo senso dell’ironia e la propensione ai soggetti erotici risqué, come nel suo capolavoro Viktor und Viktoria (1933), una commedia musicale su una giovane donna che finge di essere un attore specializzato in ruoli femminili. Contemporaneamente, Schünzel continuò a recitare per altri registi: in Die 3-Groschen-Oper (L’opera da tre soldi, 1931) di Pabst interpretava il corrotto capo della polizia Tiger Brown.
Dopo l’avvento del nazismo, Schünzel, classificato “mezzo-ebreo”, ottenne una dispensa speciale dal ministero della propaganda che gi permise di continuare a lavorare per la Ufa. Apparentemente imperturbato dal cambio di regime, continuò a dare nuove prove di garbata ironia, in particolare con Amphitryon (1935), una commedia sulla vita domestica degli dei greci, che venne letta come una presa in giro del nuovo stato tedesco. Land der Liebe (1937), il suo ultimo film tedesco, era un film operetta dai toni satirici, che uscì in una versione drasticamente tagliata.
Successivamente Schünzel partì per Hollywood, dove suscitò la diffidenza della comunità dei tedeschi émigrés che erano stati costretti a partire prima di lui. Sotto contratto alla M-G-M, i suoi tentativi di replicare i successi europei fallirono, e dopo New Wine (1941), una biografia – non della migliore qualità – di Franz Schubert, ritornò a recitare. Spesso interpretò il ruolo del nazista, come in Hangmen Also Die! (Anche i boia muoiono, 1943) di Lang. Fu anche uno dei sinistri ospiti chez-Claude Rains in Notorious di Hitchcock (Notorious-L’amante perduta, 1946). Schünzel tornò in Germania nel 1951, dove recitò in teatro e, occasionalmente, in qualche film, fino alla morte. (Estratto da ConciseCineGraph)

Alfred Schirokauer (Breslau, 1880–1934, Vienna) era un avvocato che negli anni ’20 e ’30 pubblicò una serie di fortunati romanzi basati su personaggi storici quali Ferdinand Lassalle, Lord Byron, Mirabeau, Napoleone e Lucrezia Borgia, che furono spesso adattati per lo schermo. Nel 1913 iniziò a scrivere sceneggiature per Joe May. Lavorò poi negli studios di Monaco, scrivendo film per i registi Franz Osten, per il fratello di questi, Ottmar Ostermayr, e per Franz Seitz (Senior). A partire dai primi anni ’20, cominciò ad occuparsi saltuariamente di regia. Trasferitosi a Berlino, collaborò a una lunga serie di film del poliedrico attore e regista Reinhold Schünzel e scrisse sceneggiature per i registi Georg Jacoby, Max Mack, Erich Waschneck e altri. All’avvento del nazismo, emigrò dapprima in Olanda e poi a Vienna. (Estratto da ConciseCineGraph)

 
 

Prog. 11

DIE HOSE(A Royal Scandal) (Phoebus-Film AG, Berlin, DE 1927)
Regia/dir: Hans Behrendt; scen: Franz Schulz, dalla pièce di/from the play by Carl Sternheim; f./ph: Carl Drews; scg./des: Heinrich Richter, Franz Schroedter; cast: Werner Krauss (Theobald Maske), Jenny Jugo (Luise), Rudolf Forster (Scarron), Veit Harlan (Mandelstam), Christian Bummerstedt (principe/Prince), Olga Limburg (dirimpettaia/the woman across the street), Martin Held; riprese/filmed: 1927; data v.c./censor date: 20.7.1927; première: 20.8.1927, Capitol, Berlin; lg. or./orig. l.: 2425 m.; 35mm, 2170 m., 86’ (22 fps); fonte copia/print source: Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

“Un film allo champagne ‘extra-dry’,” proclamò il critico di Film-Kurier Willy Haas. E quello champagne piacque molto anche alle platee tedesche: la commedia di Hans Behrendt basata sulla farsa di Carl Sternheim del 1911 riscosse infatti un notevole successo di pubblico e di critica. Il titolo fa riferimento al capo di biancheria intima indossato e perduto da una pudica mogliettina interpretata da Jenny Jugo: un’ovvia attrattiva per gran parte del pubblico. Anche se a suggellare il divertimento generale fu piuttosto Werner Krauss, nel ruolo del marito piccolo borghese della Jugo – punto focale della satira sociale e politica contenuta nella pièce di Sternheim.
Theobald Maske è il tipico burocrate di mezza tacca di un piccolo principato tedesco. Sequenza dopo sequenza, si definisce la vuota routine della sua giornata. Le abluzioni del mattino. L’arrivo in ufficio. La totale inattività, tranne il controllo dell’orologio e la compiaciuta attenzione per i propri baffi. Suona il mezzogiorno. Cerimonia di scartamento e consumo del pranzo preconfezionato. E di nuovo la totale inattività...
Il piccolo burocrate delineato con grande meticolosità da Krauss, (diversissimo qui dalla sua incarnazione del Dr. Caligari nel film di Robert Wiene) era il tipo di personaggio che scatenava l’ilarità del pubblico – che rideva di lui o con lui – magari con qualche sospiro di nostalgia per il vecchio ordine prebellico. Herbert Ihering nel Berliner Börsen-Courier paragonò il Theobald Maske di Krauss a una caricatura della classe dirigente di George Grosz, sostenendo che Krauss era un attore cui si aprivano infinite possibilità nell’ambito del cinema tedesco. Il critico non poteva certo prevedere la partecipazione di Krauss in Jud Süss [Süss l’ebreo 1940] (il cui regista Veit Harlan appare qui nel ruolo del barbiere ebreo Mandelstam) e in altri film di propaganda nazista che seguiranno.
Il sapiente controllo della gestualità e del ritmo da parte di Behrendt sono alla base del successo di DieHose. Ma lo champagne non sarebbe stato altrettanto frizzante senza il lavoro di Franz Schulz, il futuro scrittore dei film operetta sonori della Ufa. Schulz sfrondò svariati motivi e caratterizzazioni della farsa di Sternheim per trarne uno script gioiosamente cinematografico. Siegfried Kracauer, nel suo From Caligari to Hitler (1947) [ed. it. Dal Gabinetto del dottor Caligari a Hitler, 1954] lo definì “Uno dei migliori film dell’epoca” – e Kracauer non era certo un uomo dai gusti facili. – Geoff Brown

Hans Behrendt (Berlino, 1889-1942?, Auschwitz?) cominciò la sua carriera come attore di teatro, e debuttò nel cinema interpretando il ruolo di un becchino in MariaMagdalene (1919), diretto dal suo amico Reinhold Schünzel. In collaborazione con Bobby E. Lüthge, scrisse sceneggiature per Schünzel e Urban Gad; e, per Arsen von Cserépy, le quattro parti di Fridericus Rex (1920-1923) – il primo di una lunga serie di film tedeschi con Otto Gebühr nel ruolo del re prussiano, molto popolari presso i partiti di destra e nei circoli antirepubblicani. Scrisse divertenti commedie di routine anche per Richard Eichberg, Friedrich Zelnik, e altri, e adattò classici teatrali quali Ein Sommernachstraum (A MidsummerNight’s Dream) da Shakespeare e Wallenstein da Schiller. Diresse il suo primo film nel 1920 (DieBoxerhanne), ma conquistò una posizione di grande prestigio solo dopo Prinz Louis Ferdinand e Die Hose nel 1926-27. Si guadagnò la fama di “regista di attori”, e di specialista in argomenti prussiani. I primi film sonori di Behrendt furono deboli remake di grandi successi del muto, quali Kohlhiesels Töchter (1930) con Henny Porten, la star dell’originale di Lubitsch del 1920. Girò anche un remake della versione cinematografica del dramma di Büchner Danton con Fritz Kortner.
Subito dopo il suo popolare heimatfilm, Grün ist die Heide, Behrendt completò altri due lavori prima che i nazisti lo costringessero ad emigrare in Spagna. Dove riuscì a girare un solo film – una versione della popolare zarzuela Doña Francisquita (1934). Ma la cattiva sorte infierì su di lui. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, riparò a Vienna. Lì venne licenziato dal set di Fräulein Lilli per i conflitti sorti con la star ungherese del film, Franciska Gaal. Nel 1938, al momento dell’annessione nazista dell’Austria, cercò rifugio a Bruxelles, dove, rifiutandosi di partire di nuovo, rimase fino al 1940, quando, dopo un bombardamento tedesco della città, venne arrestato dalla polizia belga. I tentativi di procurargli un visto per gli Usa arrivarono troppo tardi: dopo due anni d’internamento in un campo francese, a Vichy, il nome di Behrendt venne iscritto nella lista dei deportati del convoglio Parigi-Auschwitz del 14 agosto 1942. Del suo arrivo ad Auschwitz non è rimasta documentazione.
 (Estratto da CineGraph)

 
 

Prog. 12

LOOPING THE LOOP(Die Todesschleife / Il cerchio della morte) (Universum-Film AG (Ufa), Berlin, DE 1928)
Regia/dir: Arthur Robison; prod: Gregor Rabinowitsch; scen: Arthur Robison, Robert Liebmann; f./ph: Carl Hoffmann; scg./des: Robert Herlth, Walter Röhrig; cast: Werner Krauss (Botto), Jenny Jugo (Blanche Valeite), Warwick Ward (André Melton), Gina Manès (Hanna), Siegfried Arno (Sigi), Max Gülstorff, Lydia Potechina (parenti di Blanche/Blanche’s relatives), Harry Grunwald, Julius von Szöreghy [Julius Szöreghi] (agente/agent);riprese/filmed: 1927/1928; data v.c./censor date: 24.05.1928; première: 15.9.1928, U.T. Universum, Berlin; 35mm, 2880 m., 125’ (20 fps); fonte copia/print source:Filmmuseum im Münchner Stadtmuseum, München.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Si potrebbe scrivere una buona tesi sul motivo ricorrente del clown nel teatro e nel cinema degli anni ’20. Per quale ragione spuntarono così tanti Pagliacci perennemente votati al tormento di amori non corrisposti nei drammi di ambientazione circense di mezzo mondo, dall’America alla Scandinavia, dalla Germania alla Russia; da Lon Chaney in He Who Gets Slapped (Quello che prende gli schiaffi, 1925) al film di produzione Nordisk Klovnen?
Looping the Loop, (Il cerchio della morte, 1928) di Arthur Robison, uno fra i tanti del folto contingente tedesco dell’epoca, non dà una risposta adeguata all’enigma di fondo, pur dispiegando tutti gli ingredienti che avevano contribuito al costante successo dei drammi sul circo. Si tratta infatti di uno spettacolare film di pura evasione, denso di situazioni pericolose ed emozionanti, che convergono tutte nel “cerchio della morte”, una delle attrazione acrobatiche del circo – così chiamata per motivi che appariranno subito evidenti. Ma ecco annunciarsi il tintinnio del vecchio triangolo amoroso, qui composto da Jenny Jugo, la ragazza carina, da Werner Krauss nel ruolo del clown frustrato, e dall’avvenente Warwick Ward in quello dell’acrobata rivale. Da notare, inoltre, la fatale attrazione per il pathos da parte degli attori, massimamente evidente nel Botto di Werner Krauss – un personaggio così convinto lui stesso che ai clown sia preclusa ogni felicità in amore da spacciarsi a Jenny Jugo per un ingegnere elettrico che lavora solo di notte. E lei ci crede. Quando Robison e il suo team si accinsero a realizzare questa produzione per la Ufa, l’introspezione psicologica e la recitazione sfumata del loro capolavoro del 1923, Schatten Eine nachtliche Halluzination (Ombreammonitrici) non erano certamente all’ordine del giorno; il loro scopo primario era quello di ottenere un travolgente successo commerciale.
Che però tale non fu; il film non riuscì infatti a bissare il successo internazionale di Varieté (id. 1925) di Dupont (alla cui sceneggiatura peraltro chiaramente si ispirava). Paul Rotha, nel suo “The Film Till Now” del 1930, attribuiva parte delle sue debolezze alla presunta perdita del negativo originale in un incendio, che avrebbe costretto Robison all’assemblaggio di una seconda versione di fortuna con l’utilizzo di materiali di scarto. Debolezze a parte, rimangono pur sempre l’elegante fotografia di Carl Hoffmann, uno script che non ha alcuna paura di sfidare l’assurdo e una gamma recitativa che spazia dallo sguardo malinconico di Krauss alla stravaganza di Warwick Ward – capace di strizzare l’occhio all’amata perfino dopo essersi spezzato l’osso del collo. – Geoff Brown

Arthur Robison (Chicago, 1888-1935, Berlino), un professionista di consumata abilità nell’esplorare i generi più vari, nacque negli Stati Uniti, da una famiglia americana di origine tedesca, ma si trasferì in Germania all’età di sette anni. Dapprima si laureò in medicina ed esercitò la professione; ma nel 1914, dopo una esperienza teatrale da attore in Germania e America, si accostò al cinema. Nel 1916 diresse il suo primo film, Nächte des Grauens, con Werner Krauss e Emil Jannings. Zwischen Abend und Morgen (1921) segnò l’inizio della sua collaborazione con il direttore della fotografia Fritz Arno Wagner, che molto contribuirà a creare la paurosa, claustrofobica atmosfera di Schatten (1923), l’opera più famosa di Robison. Il film, con Fritz Kortner nel ruolo di un marito geloso le cui violente fantasie trovano espressione in un teatrino di ombre cinesi, rimane un classico dello “schermo diabolico” del cinema di Weimar. Petro, der Korsar (1925) e Manon Lescaut (1926), due sontuosi drammi in costume prodotti da Erich Pommer per la Ufa, confermarono la reputazione di Robison. Dopo Looping the Loop, parzialmente girato a Londra, realizzò The Informer per la British International Pictures, un suggestivo adattamento dal romanzo di Liam O’Flaherty, impreziosito dal sapiente gioco di luci ed ombre della fotografia di Werner Brandes e dalla performance naturalistica di Lya de Putti nel ruolo della fidanzata di un informatore dell’IRA. Nei primi anni ’30, a Hollywood, Robison diresse le versioni in lingua straniera di svariate produzioni MGM, per poi tornare in Germania, e alla Ufa, nel 1933. Il suo ultimo film fu un remake di DerStudent von Prag (Lo studente di Praga, 1935), con Adolf Wohlbrück [Anton Walbrook] nel ruolo del titolo. (Estratto da Concise CineGraph)

 
 

Prog. 13

DIE CARMEN VON ST. PAULI(Gestrandet) (Universum-Film AG (Ufa), Berlin, DE 1928)
Regia/dir: Erich Waschneck; prod: Alfred Zeisler; scen: Bobby E. Lüthge, Erich Waschneck; f./ph: Friedl Behn-Grund; scg./des: Alfred Junge; cast: Jenny Jugo (Jenny Hummel), Willy Fritsch (Klaus Brandt), Fritz Rasp (“il dottore”/“The Doctor”), Wolfgang Zilzer (“Pince-nez”/“The Nipper”), Tonio Gennaro (“Heinrich il cortese”/“Gentle Heinrich), Otto Kronburger (“Karl, il pilota”/Karl the Pilot), Walter Seiler (“Alfred il lascivo”/“Randy Alfred), Charly Berger (“Il capitano”/“The Captain), Fritz Alberti (armatore/shipowner Rasmussen), Max Maximilian (Hein, il suo vecchio servitore / Rasmussen’s old servant), Betty Astor (Marie, la fidanzata di Klaus/Klaus’ fiancée), Friedrich Benfer (Jimmy Swing, il ciclista/racing cyclist), Alfred Zeisler; riprese/filmed: 1928; data v.c./censor date: 26.5.1928; première: 10.10.1928, Ufa-Palast am Zoo, Berlin; lg. or./orig. l.: 2333 m.; 35mm, 2376 m., 114’ (18 fps); fonte copia/print source: Cinémathèque Royale de Belgique/Koninklijk Filmarchief, Bruxelles.
Didascalie in tedesco / German intertitles.

Die Carmen von St. Pauli
, una storia ambientata sul fronte del porto di Amburgo, fu uno dei molti film muti realizzati alla fine degli anni ’20 destinati ad essere spazzati via dalla rapida transizione verso il sonoro. Girato negli studi berlinesi di Neubabelsberg e, in esterni, nel porto di Amburgo e nel famigerato quartiere a luci rosse di St. Pauli, venne apprezzato dai critici dell’epoca per il suo realismo. L’atmosfera della vita nel quartiere del porto, con le navi alla fonda, i bar affacciati sulla banchina, e le strade oscure piene di tentazioni, fu mirabilmente colta dal cameraman Friedel Behn-Grund e dallo scenografo Alfred Junge.
E in effetti, l’atmosfera del film è più avvincente della sua ingenua trama: il capitano Klaus Brandt (Willy Fritsch) si lascia irretire dalla bella Jenny, la “Carmen” di una banda di malviventi e contrabbandieri che ha messo gli occhi sulla sua nave, la Alexandria. In una notte fatale, il capitano lascia incustodita la Alexandria per seguire Jenny nel bar dove lavora, e i banditi gelosi ne approfittano per saccheggiargli la nave. Brandt perde la carica di capitano e decide di imbarcarsi su una nave diretta in Australia, ma i buoni propositi si dissolvono al pensiero di Jenny, e rimane a terra. (Il titolo alternativo del film era Gestrandet – ovvero “Arenato”). Poi si lascia coinvolgere nei bassi intrighi del bar, e viene incriminato, con prove false, di un omicidio. Jenny, trasformata dall’amore, scopre il vero assassino, e i due amanti sperano di poter ricominciare insieme una vita rispettabile.
L’imponente cast del film include alcuni tra i più popolari attori della Ufa di quel periodo, tra cui il sorridente idolo delle donne Willy Fritsch (che di lì a breve sarebbe apparso al fianco di Lilian Harvey in una fortunata serie di musical), l’attraente attrice di commedia Jenny Jugo nelle vesti della tentatrice del porto, e Fritz Rasp (il caratterista apparso in molti film di Pabst e Lang, che interpretava il ‘cattivo’ inseguito dai bambini in Emil und die Detektive) nel ruolo di uno dei banditi. Questo dramma a tinte fosche dette modo a Fritsch di emanciparsi da una interminabile serie di ruoli giovanili – ma la vera star del film rimane indubbiamente la suggestiva atmosfera poetica della sua “location” sul fronte del porto. (Catherine A. Surowiec, The LUMIERE Project: The European Film Archives at the Crossroads, 1996).

Erich Waschneck
(Grimma, Sassonia, 1887–1970, Berlino Ovest) studiò pittura a Lipsia, e lavorò come cartellonista. Nel 1920, grazie al fratello Kurt Waschneck, producer presso la Projections-AG “Union” (PAGU), ottenne un lavoro di assistente operatore; l’anno seguente diresse la fotografia del fiabesco Der Kleine Muck di Wilhelm Prager. Iniziò la sua carriera di regista nel 1924, con il kulturfilm Der Kampf um dieScholle, anche se legò la sua fama soprattutto ai film d’avventura quali Mein Freund, der Chauffeur, con Hans Albers, e a numerosi altri film con Olga Tschechowa. Il dramma sull’immigrazione Die geheime Macht (1927), con Michael Bohnen e Suzy Vernon, si rivelò un grosso successo a New York (dove era stato distribuito con il titolo Sajenko, the Soviet). Dopo Die Carmen von St. Pauli, in cui seppe sfruttare mirabilmente le atmosfere del porto di Amburgo, nel 1929 Waschneck allacciò di nuovo il suo sodalizio con Olga Tschechowa (Die Liebe der Brüder Rott; il dramma in costume Diane) e realizzò due eleganti esplorazioni nel mondo del glamour cittadino, Die Drei um Edith e Skandal in Baden-Baden. Adattatosi senza problemi al sonoro, nel 1932 divenne un produttore indipendente con la Fanal-Film GmbH e per qualche tempo si allontanò dalle produzioni di routine imposte dagli studios. 8 Mädels im Boot e Abel mit der Mundharmonika traevano la loro forza estetica soprattutto dalle suggestive riprese in esterni ed erano destinati al pubblico più giovane. 8 Mädels im Boot (1932) conferì a Karin Hardt lo status iconografico della donna bionda, sportiva, moderna; lei e Waschneck si sarebbero sposati l’anno seguente.
Con Hitler al potere, Waschneck realizzò melodrammi e storie di donne in linea con i dettami cinematografici del nazionalsocialismo. Film quali Anna Favetti, con Brigitte Horney, contribuirono a creare il mito della donna dedita al culto paterno, e votata al sacrificio. Ma con l’antisemita Die Rothschilds (1940), Waschneck passò dall’intrattenimento “apolitico” alla propaganda diretta della politica di distruzione e annientamento del nazismo. Affäre Roedern (1944), una trasfigurazione della storia prussiana, fu solo un altro prodotto di propaganda camuffato da film storico.
Waschneck non diresse altri film fino al 1952 (Drei Tage Angst, un’altra storia di ambiente giovanile). Molti nuovi progetti rimasero sulla carta. Prima di ritirarsi a vita privata, assunse la supervisione di Acht Mädels im Boot (1959), un remake tedesco-olandese del suo vecchio successo, diretto da Alfred Bittins. (Estratto da ConciseCineGraph)

 
 

Prog. 14

RUTSCHBAHN (Luna Park / The Whirl of Life) (Eichberg-Film GmbH, Berlin, per/for British International Pictures, London, DE 1928)
Regia/dir., prod: Richard Eichberg; scen: Adolf Lantz, Helen Gosewish, Ladislaus Vajda, dal romanzo/from the novel Das Bekenntnis di/by Clara Ratzka; f./ph: Heinrich Gärtner; scg./des: Robert Herlth; cast: Fee Malten (Heli), Heinrich George (Jig Hartford), Fred Louis Lerch (Boris Berischeff), Harry Hardt (Sten), Erna Morena (Blida), Arnold Hasenclever (Olaf), Szöke Szakall (Sam), Jutta Jol (Sonja), Grete Reinwald (Nadja Berischeff); riprese/filmed: 1928; data v.c./censor date: 5.12.1928; première: 20.12.1928, Alhambra, Berlin; lg. or./orig. l.: 2703 m.; 35mm, 2468 m., 89’ (24 fps); fonte copia/print source: Nederlands Filmmuseum, Amsterdam.
Didascalie in olandese / Dutch intertitles.

“La quantità di incongruenze che caratterizza la trama di questo film scoraggia qualsiasi tentativo di disanima critica,” scrisse Mordaunt Hall su The New York Times (25 marzo 1929), Ottanta anni dopo, le deficienze strutturali di Rutschbahn sono ancora evidenti, ma appaiono eclissate dalla sbrigliata fantasia visiva e dalla brillante caratterizzazione dei personaggi. Gli elementi della trama sono senza meno eccessivamente elaborati: Heli uccide accidentalmente il malvagio patrigno con un’ascia (peraltro molto accuratamente) affilata. Fortuna vuole che Nadja, una giovane russa Bianca émigrée che la famiglia ha adottato, muoia nelle stesse ore, permettendo così a Heli di assumerne l’identità e rifugiarsi a Londra. Dove ha la ventura di incontrare Boris, il fratello della ragazza morta. I due giovani si innamorano, stabilendo così le premesse di uno strano triangolo amoroso. Heli e Boris non possono infatti dichiarare apertamente il loro amore perché tutti li credono fratello e sorella e si procurano stentatamente da vivere come musicisti ambulanti, in compagnia dell’esuberante Sam (Szöke Szakall). Nel frattempo, il famoso clown Jig (Heinrich George) si invaghisce di Heli, e accoglie Boris e Heli nel suo spettacolo. L’epilogo offre a George l’opportunità di esibirsi in un virtuosistico “numero di clown col cuore spezzato” al cui confronto il professor Rath di Jannings in Der Blaue Engel (L’angelo azzurro, 1930) sembra peccare di ritegno.
Ma, tutto sommato, George è talmente bravo da farsi perdonare anche gli eccessi. Figura di grande rilievo nel teatro e nel cinema del Terzo Reich, George venne arrestato dall’Armata Rossa dopo la caduta di Berlino, e morì nel campo di concentramento sovietico di Sachsenhausen nel 1946. Altri attori presenti nel cast del film sono vissuti molto più a lungo: l’affascinante Fee Malten (qui diciassettenne, nel ruolo di una sedicenne), la cui carriera, a partire dal 1933 si svolse a Hollywood, è morta nel 2005. Il caratterista ungherese Szöke Szakall (col nome di S.Z. “Cuddles” Sakall) divenne un volto familiare nei film hollywoodiani degli anni ’40: ma questa è probabilmente l’unica occasione in cui il corpulento comico avrà modo di indossare un kilt scozzese.
Lo stile visivo di Eichberg – con il sostegno del suo fedele cameraman Heinrich Gärtner – è sempre originale; e le sequenze girate dal vivo negli ambienti teatrali di Londra o nel Giardino d’inverno di Berlino sono altamente suggestive. Parte del fascino del film deriva anche dalle sue affinità con la storia di St. Martin’sLane (la vita degli artisti di strada; le complicazioni del triangolo amoroso nel mondo dello spettacolo): Erich Pommer, co-produttore e co-sceneggiatore del film inglese del 1938, ufficialmente non ebbe alcun legame con la produzione di Rutschbahn, ma appare più che probabile che sia stato influenzato dal ricordo ancora vivo dei giorni trascorsi in Germania. – David Robinson

Richard Eichberg (Berlino, 1888-1953, Monaco). A lungo trascurato dagli storici del cinema, Eichberg è stato uno dei più importanti registi del cinema popolare tedesco dagli anni ’10 agli anni ’30, specializzandosi in film polizieschi, commedie e melodrammi esotici. Abile costruttore di divi, mise in luce talenti diversissimi quali Lilian Harvey, Anna May Wong, e Marta Eggerth. Dopo inizi teatrali, nel 1912 debuttò nel cinema come attore, e nel 1915 come produttore e regista di Strohfeuer. Das Tagebuch Collins fu il primo di una serie di drammi polizieschi con Ellen Richter. Durante la prima guerra mondiale, diresse Die im Schatten leben, un documentario sui bambini nati fuori dal matrimonio, e il melodramma di attualità Im Zeichen der Schuld, per promuovere la riabilitazione degli ex carcerati. Nel 1918 sposò Lee Parry, offrendole la possibilità di mettere in luce il suo talento di ballerina e acrobata con una nutrita serie di star-vehicles. Un successivo finanziamento dello studio Emelka di Monaco gli fornì budget più grossi, anche se, ad esclusione dello storico/epico Monna Vanna, continuò a dedicarsi ai generi popolari.
Dopo la separazione da Lee Parry, Eichberg curò il lancio dell’inglese Lilian Harvey, facendone in breve tempo una grande star della commedia con Die tolle Lola e altri film. Der Fürst von Pappenheim (The Masked Mannequin), una farsa di travestimenti con Curt Bois, lanciò un’altra scoperta di Eichberg, Mona Maris. Quando nel 1928 Lilian Harvey passò alla Ufa, Eichberg firmò un accordo di co-produzione con la British International Pictures, concentrando la propria attività su una serie di melodrammi strappalacrime con l’attrice americana di origine cinese Anna May Wong (Song / Show Life, e Großstadtschmetterling / Pavement Butterfly). La sua carriera con la BIP proseguì nel sonoro, provvedendo al lancio di Hans Albers con il thriller poliziesco di produzione inglese Der Greifer (Night Birds), che in Germania fu un grosso successo; poi lanciò la carriera cinematografica della cantante Marta Eggerth con Der Draufgänger (The Dare-Devil). Poi fu la volta di una lunga serie multilingue di film d’avventura girati in Europa, coronata dal fortunato remake sonoro Ufa del serial avventuroso in due parti di Joe May, Das Indische Grabmal e Der Tiger vonEschnapur (1938). Il successo di quest’ultimo incoraggiò Eichberg a emigrare negli Stati Uniti. Dove però non risulta aver mai lavorato. I suoi ultimi due film, realizzati nel 1949 dopo il suo ritorno in Germania, ripresero la vecchia formula – spettacolarità, esotismo, intrattenimento leggero – ma senza successo. (Estratto da Concise CineGraph)

 
 

Prog. 15

DER KAMPF DER TERTIA (Terra-Film AG, Berlin, DE 1929)
Regia/dir: Max Mack; scen: Axel Eggebrecht, Max Mack, dal romanzo di/from the novel by Wilhelm Speyer; f./ph: Emil Schünemann; scg./des: Hans Jacoby; cast: Karl Hoffmann (il Grande Elettore/The Great Elector), Fritz Draeger (Reppert), August Wilhelm Keese (Otto Kirchholtes), Gustl Stark-Gstettenbaur (Borst), Ilse Stobrawa (Daniela), Hermann Neut Paulsen (insegnante/teacher), Aribert Mog (insegnante/teacher), Rudolf Klein-Rohden (borgomastro di Boestrum/Burgomaster of Boestrum), Max Schreck (Biersack), Fritz Greiner (agente/constable Holzapfel), Fritz Richard (scrivano comunale/town council clerk Falk), allievi della scuola di Boestrum/pupils from Boestrum school; riprese/filmed: 1928; data v.c./censor date: 21.12.1928; première: 18.1.1929, Mozartsaal, Berlin; lg. or./orig. l.: 2978 m.;35mm, 2572 m., 101’ (22 fps), col. (imbibizione originale riprodotta su pellicola a colori/printed on colour stock, reproducing original tinting); fonte copia/print source: Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden.
Didascalie in tedesco e francese / German & French intertitles.

“Der Kampf der Tertia” [La battaglia del ginnasio, 1928] di Wilhelm Speyer fu un grosso best-seller nel fiorente filone letterario anni ’20 di storie ambientate nel mondo della scuola: e infatti, poco dopo, fu seguito da “Emil und die Detektive” di Erich Kästner, anch’esso destinato a vari adattamenti per il cinema. Su un’isola lontana dalla costa, gli alunni adolescenti di una “Tertia” – il terzo-quarto anno di una scuola secondaria tedesca – sono molto fieri della loro indipendenza e ribellione dalle convenzioni di Boestrum, la vicina città sulla terraferma. I ragazzi vengono a sapere che Biersack, il malvagio pellicciaio di Boestrum (Max Schreck, in una seconda apparizione affatto degna del suo ruolo in Nosferatu) ha convinto il consiglio locale a far radunare e uccidere tutti i gatti della città – ovviamente per farsi consegnare le pelli scuoiate. Gli scolari scendono sul piede di guerra, e la loro campagna – che include il rapimento del terrorizzato Biersack – si concluderà nel migliore dei modi.
Con un cast composto in gran parte dagli alunni della scuola di Boestrum, Mack rivela una straordinaria sensibilità nel ritrarre i sentimenti e la vitalità della prima adolescenza. Il film smentisce inoltre il persistente luogo comune che vuole il cinema di Weimar rigidamente legato al lavoro di studio, con ricostruzioni scenografiche di stampo teatrale. La smagliante fotografia di Emil Schünemann riesce a cogliere mirabilmente il contrasto atmosferico tra i paesaggi marini – il terreno di gioco senza confini dei ragazzi sulla spiaggia, l’isolotto – e il grigiore borghese della città di Boestrum. Il film ho uno sviluppo abbastanza lento, che consente a Mack di approfondire le accattivanti caratteristiche individuali dei suoi giovani protagonisti. Il pubblico odierno, col senno di poi, potrà rimanere un po’ più sconcertato dalle imprese di una gang di giovinastri fanatici che terrorizza una città e imbratta di slogan (pro felini) i muri delle case. Il ruolo sociale dominante dell’unica ragazza del film, Daniela, è un non comune segno di protofemminismo: l’incantevole attrice che la interpretò, la allora diciassettenne Ilse Stobrawa, intraprese una modesta carriera cinematografica che durò fino al 1943. – David Robinson

Max Mack (Moritz Myrthenzweig; Halberstadt, Sassonia-Anhalt, 1884-1973, Londra), figlio di un cantore di sinagoga, lasciò la casa paterna nella classica tradizione ‘Jazz Singer’ per diventare un attore girovago. Ottenne qualche successo a teatro, specializzandosi in ruoli di orientale Nel 1906 adottò il nome d’arte Max Mack, e nel 1910 si trasferì a Berlino. Poco dopo iniziò a lavorare nel cinema, dove ebbe modo di rivelare il suo talento di attore comico (e di sceneggiatore). Nel 1911 esordì nella regia, lavorando per la Continental-Filmkunst, la Eiko, e la Vitascope, arrivando a produrre fino a due film al mese. Nel 1913, i film operetta Wo ist Coletti?, Die Tango-Königin, e Die blaue Maus gli procurarono un discreto successo, ma fu la prestigiosa produzione di Der Andere – una variazione sul tema “Dr. Jekyll and Mr. Hyde” con il famoso attore di teatro Albert Bassermann – ad elevare il lavoro di Mack allo status di autorenfilm. Durante questo periodo, Mack scrisse anche due libri sulla pratica cinematografica.
Nel 1917 fondò una propria casa di produzione, la Max Mack-Film GmbH. A questa, nel corso del tempo, ne seguiranno altre due, la Solar-Film GmbH e la Terra-Film. Durante gli anni ’20, Mack diresse una media di tre film all’anno. La sua produzione fu piuttosto eclettica, ma con una netta propensione per l’operetta e lo stile del varietà. Verso la metà degli anni ’20, iniziò una fruttuosa collaborazione con Ossi Oswalda e Willy Fritsch; e i suoi gusti si rivelarono perfettamente congeniali alla nuova era del sonoro. Costretto ad emigrare perché ebreo, giunse – via Praga e Parigi – a Londra, dove diresse lo sfortunato Be Careful, Mr. Smith (1935, ma distribuito solo nel 1940, col titolo Singing Through). In Inghilterra fondò una sua casa di produzione dalla vita piuttosto breve, la Ocean Films, tra i cui progetti rimasti sulla carta figurava un remake del griffithiano Orphans of the Storm. In seguito, scrisse le sue memorie, tradusse copioni di commedie del repertorio boulevardier francese ad uso di alcune compagnie amatoriali inglesi, sposò una ricca vedova, e si stabilì a Hampstead, Londra – finalmente in un porto sicuro. (Estratto da Concise CineGraph)

 
 
 

Supplemento alla retrospettiva / Supplementary to the main Weimar programme
Weimar CineSalon
Nel corso di informali incontri pre-serali al “CineSalon”, gli ospiti delle Giornate potranno approfondire la loro conoscenza di film e personalità dell’“altra Weimar”. Sono previste proiezioni di documentari e conversazioni con i curatori e i collaboratori della retrospettiva, fra cui Hans-Michael Bock, David Robinson, Geoff Brown e il filmmaker e produttore di DVD Robert Fischer. Lunedì sarà presentato il documentario Ernst Lubitsch in Berlin (si veda la relativa scheda nella sezione “Video Shows” di questo catalogo). Martedì e giovedì sarà la volta di altri registi e attori. Venerdì, con la partecipazione delle istituzioni promotrici del progetto sulle versioni multiple – Spring School di Gradisca, Università di Udine e CineGraph di Amburgo –, verrà infranta la barriera del suono con una conferenza illustrata di Robert Fischer sulle edizioni nelle varie lingue del film M di Fritz Lang. Il “CineSalon” è aperto dalle ore 18 tutti i giorni infrasettimanali, escluso mercoledì.

Gli organizzatori del CineSalon ringraziano / The CineSalon organizers wish to thank: Absolut Medien (Berlin), The Criterion Collection/Janus Films (New York), Fiction Factory (München), Kinowelt/Arthaus (Leipzig), Transit Film (München), Deutsche Kinemathek (Berlin).