La panoplia della persuasione: film promozionali americani
Schede di Rick Prelinger


ADMIRAL CIGARETTE (Edison Manufacturing Co., US 1897)
Regia/dir: William Heise; 35mm, c.50 ft., 30” (?? fps); fonte copia/print source: Library of Congress, Washington, DC.
Senza didascalie / No intertitles.

È questo è uno dei primi film pubblicitari e si dice che abbia bloccato il traffico di New York, quando fu proiettato a Broadway, all’aperto. Quattro attori vestiti da zio Sam, indiano d’America ed altri simboli nazionali siedono davanti a un grande manifesto delle sigarette Admiral. Una showgirl sbuca fuori da un pacchetto gigante ed elargisce sigarette al gruppo. Gli uomini srotolano uno striscione con la scritta “TUTTI NOI FUMIAMO”. I film pubblicitari, una forma d’arte matura in Europa e un genere assai vituperato negli Stati Uniti, sono apparsi e scomparsi molte volte nella storia del cinema. Conosciuti nell’ambiente come “film da un minuto”, hanno perfezionato l’arte di sviluppare un racconto in non più di  sessanta secondi sforzandosi di mantenere l’attenzione del pubblico mentre contemporaneamente se l’alienavano. Possono essere considerati, in termini narrativi ed estetici, gli antenati degli odierni spot televisivi. Risorti negli anni ’30 e ’40 e in buona misura scomparsi con l’avvento della televisione, sono ora ritornati alla grande.

AN AMERICAN IN THE MAKING (Thanhouser Co., per/for United States Steel Corp., US 1913)
Regia/dir: Charles J. Hite; cast: Harry Benham, Ethyle Cooke, Leland Benham; 35mm, 1075 ft; 18’ (?? fps); fonte copia/print source: U.S. National Archives and Records Administration, College Park, Maryland.
Didascalie in inglese / English intertitles.

Un immigrante ungherese si stabilisce a Gary, nell’Indiana, dove trova lavoro in un’acciaieria, l’Illinois Steel Company, una branca della U.S. Steel Corporation. Il film mostra le moderne misure di sicurezza adottate nello stabilimento, nonché la città con i servizi offerti ai lavoratori e alle loro famiglie. Parallelamente, vediamo come l’emigrante migliori se stesso con l’istruzione, sposi una maestra di scuola e si americanizzi in toto. Il film fu girato in esterni a Ellis Island, alla Illinois Steel di Gary ed ai National Tube Works di Lorain, Ohio.
Commissionato dalla U.S. Steel e distribuito dal Bureau of Mines, un organismo governativo che gestì a lungo un ampio sistema di circuitazione dei film di questo tipo privi di pubblicità esplicita, An American in the Making veicola messaggi paralleli, manifestando paternalismo aziendale e promuovendo l’“americanizzazione” degli immigrati non di lingua inglese. Lungi dall’essere un esempio isolato di discorso aziendale, il film era parte di una vasta campagna di acculturazione degli immigrati, una campagna che comprendeva anche corsi di formazione per adulti, parate civiche, la pubblicazione di considerevole materiale stampato e un’energica attività sociale nelle comunità degli stranieri. La sicurezza, un tema trattato in molte migliaia di film industriali, offre qui lo spunto per una collaborazione tra classi: l’azienda esalta le misure prese per garantire un posto di lavoro sicuro e invita gli operai ad imparare l’inglese, per poter comunicare con più efficacia e lavorare senza rischi.

UNHOOKING THE HOOKWORM (Coronet Pictures, per/for International Health Board of the Rockefeller Foundation, US 1920)
Regia/dir: George Skinner; 35mm, 944 ft., 10’ (?? fps); fonte copia/print source: U.S. National Archives and Records Administration, College Park, Maryland, & The Rockefeller Archive Center, Sleepy Hollow, NY.
Didascalie in inglese / English intertitles.

Questa combinazione di un pizzico di dramma con scene di laboratorio e microcinematografia fu realizzata per istruire gli abitanti delle zone rurali del Sud degli Stati Uniti sugli effetti distruttivi dell’anchilostoma e favorirne il debellamento. In undici stati del Sud questo parassita colpiva il 40 per cento dei bambini in età scolare finché, nel 1909, Charles W. Stiles convinse John D. Rockefeller Sr. a stanziare un milione di dollari per affrontare il problema. Venne avviato un programma che nel giro di cinque anni portò a debellare quasi completamente l’anchilostomiasi. I finanziamenti a sostegno dell’iniziativa furono regolarmente rinnovati e permisero anche la produzione di questo documentario, la cui progettazione ebbe inizio nel 1917. Educatori, scienziati e i funzionari del servizio sanitario revisionarono la sceneggiatura prima delle riprese. Secondo il Rockefeller Archive Center, il lavoro di microcinematografia costò tre dollari per piede di pellicola.
Come molti altri documentari di educazione sanitaria dell’epoca, anche Unhooking the Hookworm fu proiettato laddove c’era un concorso di folla, specie in occasione di fiere, eventi pubblici e civiche adunanze. Il film ebbe lunga vita, fu tradotto in spagnolo, francese e portoghese e fu distribuito, oltre che negli Stati Uniti, in 17 paesi.

BEHIND THE SCENES AT HUTZLER’S (Stark Films, per/for Hutzler’s, US 1938)
Regia/dir: ?; 35mm, 1 rl., ?? ft., 14’ (?? fps); fonte copia/print source: Maryland Historical Society, Baltimore, MD.
Didascalie in inglese / English intertitles.

Questo informale e gradevole ritratto dello staff del grande magazzino Hutzler’s di Baltimora, nel Maryland, fu commissionato per celebrare il cinquantesimo anniversario dell’esercizio. Il film sottolinea l’esprit de corps aziendale e ci mostra i dipendenti mentre pranzano in mensa, giocano a quoits e si rilassano ad una festa sociale con esibizione di talenti. Viene anche rivolta una bonaria critica ai dirigenti, che vediamo tentare di perdere peso. La didascalia conclusiva recita, “LA FINE DI UN GIORNO PERFETTO (OGNI GIORNO – DA HUTZLER’S)”.
Tra i film promozionali di carattere più effimero, gli autoritratti aziendali venivano realizzati in gran numero, ma di rado erano presentati al di fuori delle società che li commissionavano e probabilmente sono pochi quelli conservati. Per lo più propongono tour della sede, storielle del tipo “un giorno nella vita”, discorsi di pezzi grossi o cerimonie come la festa succitata. È un genere venerando, che risale alle origini del cinema: si pensi a La sortie des usines, forse il primo film insieme industriale e casalingo.

MASTER HANDS (Jam Handy Organization, per/for Chevrolet Motor Company, US 1936)
Regia/dir: ?; 35mm, 2934 ft., 33’ (24 fps); fonte copia/print source: Prelinger Archives, San Francisco, & Library of Congress, Washington, DC.
Didascalie e voce off in inglese / English titles & narration.

Questo film magistrale (probabilmente prodotto per essere presentato ad un incontro di azionisti) mostra la fabbricazione delle auto Chevrolet presso lo stabilimento di Flint, in Michigan, ed include attrezzeria, stampaggi, operazioni di fonderia, saldatura semirobotizzata dei telai delle auto, costruzione di parti e accessori, assemblaggio finale. Alla fine, le braccia e le mani di un addetto all’assemblaggio si dissolvono nelle braccia di un uomo con indosso una giacca di tweed alla guida di una Chevrolet che si allontana lungo una strada di periferia. Realizzato nello stesso anno di Modern Times e di Triumph des Willens, il film si avvale di strategie rappresentative che potremmo altrimenti associare al cinema di stile sovietico, cosa che ha portato alcuni a definirlo un esempio di “realismo capitalista”.
Master Hands fu realizzato agli inizi del 1936, in un momento di conflitto tra la General Motors, casa madre della Chevrolet, e la United Auto Workers, l’organizzazione sindacale impegnata a organizzare i lavoratori di Flint Lo stabilimento che si vede nel film era già oggetto di contesa, e lo sarebbe diventato anche di più alla fine del 1936, quando fu occupato dagli operai scesi in sciopero. Il rappresentante della UAW Wyndham Mortimer afferma nella sua autobiografia che il dieci per cento dei lavoratori di Flint riceveva un extra per riferire sull’attività del sindacato, per cui si può ragionevolmente supporre che, in media, uno su dieci dei lavoratori che si vedono nel film fosse una spia.
Benché il film sembri esser stato prodotto per nobilitare il processo di fabbricazione di un’automobile, esso pare rendere omaggio ai progettisti e ai designer coinvolti nel processo produttivo più che a coloro che lo attuavano. Il suo vero obiettivo sono la coordinazione, l’organizzazione e la logistica e pur dando l’impressione di celebrare gli operai della catena di montaggio, presenta anche, in dettaglio, il tedio e il pericolo del loro mestiere. Questa disgiunzione tra la manifesta retorica del film e quel che le sue immagini realmente mostrano pone Master Hands al di sopra di molte altre pellicole del genere e trasforma la sua pomposa colonna sonora wagneriana da un meno a un più.
Sostanzialmente muto – il commento parlato è di due sole frasi –, il film venne messo in musica da Samuel Benavie, un compositore di origine russa della Jam Handy: l’esecuzione della partitura fu affidata  alla  Detroit Philharmonic Orchestra. Master Hands è stato restaurato nel 2006, a partire dal solo materiale conosciuto (una copia di distribuzione a 35mm), a cura della Film Technology Co. e della BluWave Audio.