Treaures III - Tesori dei cinema americano muto: i film di tema sociale, 1900-1934
Introduzione di Annette Melville
Schede di Scott Simmon

 


Schede

Introduzione

In America, il cinema nacque in un periodo di riforme sociali, affermandosi rapidamente come un mezzo di comunicazione che rendeva possibile raggiungere milioni di persone, indipendentemente da classe, istruzione o lingua. Durante l’“Era progressista” antecedente la prima guerra mondiale, praticamente nessun argomento socialmente significativo era troppo controverso per essere portato sullo schermo: aborto, anarchia, sindacato, suffragio femminile, lavoro minorile, tossicodipendenza, crimine organizzato, tratta delle “schiave bianche”, usura, delinquenza minorile, senzatetto, corruzione della polizia, discriminazione sul posto di lavoro, immigrazione. Le controversie alimentavano il dibattito pubblico ed il botteghino. Il cinema era una forma di intrattenimento dotata di potere di persuasione
I riformatori – ed i loro avversari – capirono che il nuovo mezzo dava alle questioni sociali un’evidenza che era impensabile poter ottenere con la carta stampata. Scrisse un critico, paragonando il romanzo di denuncia di Upton Sinclair The Jungle alla versione filmica del 1914, ora perduta: “È possibile leggere il libro e poi giurare di non mangiare più carne in scatola. Ma dopo aver visto il film comincia a imprimersi dentro di noi l’idea che Packingtown abbia ricavato profitti enormi non solo dalla carne guasta, ma dalle vite distrutte di uomini e donne.”
I problemi urbani più spinosi erano importanti per il pubblico di estrazione operaia che affollava le sale agli inizi del ’900, ma negli anni ’10 anche i ceti medi si avvicinarono al cinema e ciò determinò un cambiamento sia nel modo di proporre i temi sociali sullo schermo, sia nei soggetti stessi. I crociati della morale chiedevano film adatti a spettatori “rispettabili”. I produttori cinematografici risposero alle prime commissioni di censura purgando le didascalie ed evitando nudità e contenuti provocatori. Impararono presto, peraltro, che anche argomenti scottanti come la discriminazione razziale e la pena capitale erano ammessi se alla fine del film i trasgressori ricevevano la giusta punizione.
Data la popolarità del cinema in America durante l’era del muto, non sorprende che i gruppi più disparati, magari in concorrenza fra loro, si siano rivolti al cinema per promuovere la propria attività sociale. Sindacati, imprese, organizzazioni religiose, gruppi d’appoggio, associazioni benefiche e organismi governativi provarono a servirsi della pellicola per spiegare le loro iniziative ed influenzare l’opinione pubblica. Dapprima si rivolsero alle case cinematografiche, commissionando loro opere come The Cost of Carelessness (1913), la pellicola sulla sicurezza del traffico concepita per le scuole e prodotta dalla Universal per conto della Brooklyn Rapid Transit Company. Quando divenne più facile dotarsi dell’attrezzatura cinematografica, questi gruppi cominciarono a produrre i film da soli. Per esempio, sposando le tesi dell’industriale Henry Ford, la Ford Motor Company realizzò documentari di interesse pubblico e cartoni animati politici come Uncle Sam Donates for Liberty Loans (1919). Commissionati o fatti in proprio, questi “film promozionali" venivano presentati nelle sale cinematografiche, ma anche presso circoli, chiese e scuole. Il film della Federazione sindacale americana Labor’s Reward (1925), fu proiettato gratuitamente in trentasei stati dell’Unione ed in Canada. (Per una più ampia selezione di film sponsorizzati si veda il programma curato da Rick Prelinger.)
Treasures III: Social Issues in American Film, 1900-1934, a cura della National Film Preservation Foundation, indaga l’interazione del cinema con i mutamenti sociali in corso in quegli anni. Terzo nella serie di DVD della NFPF, il nuovo cofanetto, contenente quattro dischi e relativi programmi, presenta quattro lungometraggi e quarantaquattro soggetti più brevi (film di finzione, documentari, annunci di pubblica utilità, appelli filantropici, servizi di attualità e cartoni animati preservati dalla George Eastman House, dalla Library of Congress, dal Museum of Modern Art, dai National Archives e dall’UCLA Film & Television Archive. Nessuno dei titoli inclusi nel cofanetto era prima ad ora disponibile su supporti video di buona qualità. Venti studiosi hanno contribuito al progetto con il commento audio. Più di sessantacinque compositori e musicisti hanno creato nuove partiture e diversi service tecnici hanno generosamente fornito i loro servizi. Per noi queste pellicole misconosciute servono ad aprire una finestra sui problemi sociali che esse presentano. Grazie al cinema, la storia può rivivere.
È un onore per la National Film Preservation Foundation che le Giornate abbiano inserito nel proprio programma una selezione da Treasures III comprendente The Soul of Youth di William Desmond Taylor, un lungometraggio in cui il vero giudice riformatore Ben Lindsey, recupera socialmente, tramite il suo celebre tribunale minorile, un giovane orfano sbandato, e un’antologia di cinque cortometraggi con temi che vanno dal crimine organizzato al sindacalismo. Questo programma, come lo stesso progetto Treasures III, rende omaggio all’attività di preservazione svolta da decenni dagli archivi americani e ci ricorda che essi possiedono molte altre pellicole altrettanto sorprendenti e storicamente significative, ma visibili solo se il sostegno a loro favore sarà rinnovato. - ANNETTE MELVILLE

 

 

Schede

 

Prog. 1 (82’)

Uncle Sam Donates for Liberty Bonds
(Ford Motor Co., US, 1919)
35mm, 110 ft. 75 sec (24 fps); preserved by the National Archives.

Il primo problema che si pose il presidente Wilson dopo l’entrata in guerra dell’America fu come finanziarne i costi. La soluzione da lui proposta è illustrata in quest’appello animato, prodotto dalla Ford Motor Company come pubblico servizio.
Durante il periodo bellico, la spesa federale annuale era aumentata di venti volte, passando da 800 milioni di dollari a 19 miliardi. La guerra in sé costò agli Stati Uniti circa 26 miliardi di dollari. Un importo piccolo a paragone dei sacrifici sostenuti dall’Europa, ma tale da far scartare il piano iniziale di Wilson di pagare la guerra con le tasse sul reddito. Dopo aver studiato i difetti del sistema di finanziamento adottato durante la Guerra Civile (quando attraverso organismi privati vennero vendute obbligazioni ai ceti abbienti), il Dipartimento del Tesoro propose i Prestiti della Libertà. Si trattava di innovativo programma che, mettendo in vendita obbligazioni del valore nominale mimimo di 25 centesimi, indusse l’americano medio a letteralmente investire nella guerra.
In questo cartoon lo Zio Sam dà quasi tutto ciò che possiede alla “Cassa per la guerra”, cominciando dalla prima campagna per i Prestiti dell’aprile 1917. Dopo l’ultima campagna si è tolto tutto il possibile senza violare la decenza. Dall’altro lato della “Cassa” c’è una figura femminile che rappresenta l’onore della nazione, ma non possiamo aspettarci da lei un analogo numero di spogliarello, nemmeno per una causa così nobile.
I Prestiti della Libertà combinarono abilmente incentivo finanziario e pressione sociale. Acquistare obbligazioni era patriottico e le campagne promozionali cercavano di screditare coloro che non le comperavano: in tutto ne vennero fatte cinque, nel corso delle quali furono raccolti quasi 20 miliardi di dollari. – Scott Simmon

THE SOUL OF YOUTH (Realart Picture Corp., US, 1920)
Dir.:William Desmond Taylor; Writer:
Julia Crawford Ivers; Photographer: James Van Trees; Art Director: Wilfred Buckland; cast: Lewis Sargent (Ed Simpson), Ernest Butterworth (Mike), Judge Ben B. Lindsey (himself), Clyde Fillmore (Robert Hamilton), Claude Peyton (Pete Morano), Lila Lee (Vera Hamilton), William Collier, Jr. (Dick Armstrong), Betty Schade (Maggie); 35mm, 5778 ft., 6 reels, 80 min. (19 fps); preserved by the Library of Congress.
Dei quattro lungometraggi presenti nel set di DVD Treasures III, il più – e più immeritatamente – dimenticato è The Soul of Youth. Il suo regista, William Desmond Taylor, è ora ricordato soprattutto per il delitto che nel febbraio del 1922 pose fine alla sua vita e che è rimasto a tutt’oggi irrisolto. Questo lungometraggio del 1920 rimane ad attestare che Hollywood perse allora un uomo di talento nel pieno vigore della maturità. È un film che, raccontando la storia di un ragazzo, affronta una serie di istanze sociali – figli non voluti, orfanotrofi gestiti senza amore, giovani sbandati che vivono in strada – trovando alla fine una soluzione grazie a un’istituzione relativamente nuova come quella dei tribunali minorili.
All’epoca Taylor era noto per tre adattamenti di Mark Twain – Tom Sawyer (1917), Huck and Tom (1918) e Huckleberry Finn (1920) – tutti sceneggiati da Julia Crawford Ivers, regista di alcuni fra i primi lungometraggi e madre dell’inventivo operatore di The Soul of Youth, James Van Trees. La storia da lei scritta per The Soul of Youth fu considerata dal Moving Picture World “praticamente la prima risposta alla domanda di soggetti cinematografici originali rivolti ai giovani”. Il sedicenne Lewis Sargent, interprete del ruolo eponimo di Huckleberry Finn, è anche qui il protagonista e sa tenere il film insieme senza ruffianerie iperattive. Ma il nome più celebre del cast non veniva da Hollywood: come scrisse Variety, “il vero atout del film è la presenza in varie scene del giudice Lindsey di Denver, noto in tutto il paese per il suo operato a favore dei giovani”.
Il giudice Ben B. Lindsey (1869-1943), il maggior fautore in America dei tribunali minorili, appare nei panni di se stesso, a due terzi del film per decidere in merito ai capi d’accusa che gravavano sul nostro eroe. I tribunali minorili erano sorti a Chicago nel 1899 e, grazie a Lindsey, a Denver nel 1901. In precedenza, negli Stati Uniti i minori venivano processati in base alle stesse leggi e negli stessi tribunali degli adulti, con il risultato che venivano o severamente puniti o scarcerati, anche se colpevoli, da giudici restii a mandarli in galera. I tribunali minorili furono una delle più apprezzate innovazioni sociali dell’“Era progressista” ed entro il 1917 erano stati introdotti in tutto il paese, ad eccezione di tre stati.
Lindsey cercava dei modi per “drammatizzare” le questioni sociali e The Soul of Youth si ispira ai tanti testi che erano stati pubblicati su di lui. Prima di aver a che fare col nostro eroe, il giudice si occupa di altri due casi in modo da illustrare le procedure giudiziarie più soft che egli rivendicava in The Problem of Children (1904): “Io non credo alla dottrina della paura”, ma alla persusasione dell’imputato, cui va fatto capire che “è nel suo interesse dire la verità”. La delinquenza minorile, causata dalla “povertà di famiglie disperate”, impallidiva di fronte ai crimini di “apparati e capi politici”. Ostacolato nella realizzazione di ulteriori riforme dai legislatori del Colorado, Lindsey lasciò il segno – creandosi altri nemici – anche come presidente della Lega per la Legislazione Diretta. Per ironia della sorte (un’ironia che egli apprezzava), nel 1912 la Lega riuscì a far approvare il sistema col quale un funzionario pubblico poteva essere rimosso dall’incarico su iniziativa popolare, permettendo così agli oppositori del giudice di indire l’anno successivo speciali elezioni per la sua rimozione. Lindsey riportò una vittoria di misura di cui attribuì il merito alle elettrici (in Colorado le donne avevano diritto di voto dal 1893) e agli strilloni che divulgavano per strada le sue lettere aperte sulla corruzione politica. Le sentimentali “storie di ragazzi” divennero così un modo per ricostruire il sistema politico democratico. – Scott Simmon

 

Prog. 2 (76’)

THE BLACK HAND
: TRUE STORY OF A RECENT OCCURRENCE IN THE ITALIAN QUARTER OF NEW YORK (American Mutoscope & Biograph Co, US, 1906)
Dir.: Wallace McCutcheon, Jr. (?);Producer: Francis J. Marion; Photographer: G.W. Bitzer; Cast: Robert Vignola, Anthony O’Sullivan (“Black Hand” gangsters); 35mm, 645 ft., 11 min. (16 fps); preserved by the Museum of Modern Art.

Il soggetto di The Black Hand, probabilmente il più antico film esistente sulla mafia, è tratto dai titoli dei giornali. I quotidiani del 17 febbraio 1906 uscirono con la notizia dei poliziotti che avevano spiato le mosse dei gangster italo-americani della “Mano Nera” stando nella cella frigorifera di un macellaio di nome Pietro Miano. (“Fredda sorveglianza. Agenti in ghiacciaia per catturare un affiliato della Mano Nera”, scrisse il New York Times.) Gli estorsori avevano chiesto al macellaio di pagare 700 dollari, ma l’uomo non si era lasciato intimorire e si era rivolto alla polizia. Ai primi del ’900 la “Little Italy” di Manhattan era talmente infestata da questi criminali che per contrastarli era stata costituita una squadra di investigatori italo-americani.
The Black Hand, girato meno di un mese dopo questi eventi, uscì il 29 marzo. I due stili nettamente contrastanti che lo caratterizzano sono tipici dell’epoca: gli esterni hanno un realismo documentaristico; gli interni potrebbero difficilmente essere più artificiosi. L’inserimento nella trama di un motivo narrativo, sempre popolare alla Biograph, come quello della bambina in pericolo venne suggerito da altri sequestri allora compiuti dalla Mano Nera.
Nei primi cinque anni del secolo più di un milione di italiani arrivò negli Stati Uniti: le parecchie centinaia di migliaia che risiedevano a Manhattan nel 1906 costituivano sia il soggetto dei film sia il loro pubblico. The Black Hand cerca pertanto di controbilanciare il proprio ritratto dei criminali italiani: resi ridicoli dall’abbigliamento tradizionale, dallo stato di ebbrezza e dall’incerta grammatica, i sequestratori fanno una misera figura rispetto all’integrata famiglia del macellaio, la cui attività commerciale di tipo etnico contribuisce concretamente alla nuova comunità. – Scott Simmon

THE COST OF CARELESSNESS (Universal Film Mfg. Co., US, 1913)
Sponsors: The Brooklyn Rapid Transit Co. & the Brooklyn Institution for Safety;
Writer: Eugene C. Clarke; 35mm, 919 ft., 13' (18fps), b/w, English intertitles. Preserved by George Eastman House from a 28mm print through funds from a 2006 Save America’s Treasures Grant provided by the National Parks Service and the National Endowment for the Humanities.
The Cost of Carelessness è un precursore di quegli infami film sulla sicurezza stradale che hanno traumatizzato generazioni di studenti americani. Era stato commissionato dalla Brooklyn Rapid Transit Company nell’ambito della campagna per la riduzione degli incidenti tranviari. Man mano che la densità urbana cresceva (dal 1890 la popolazione di Brooklyn era raddoppiata fino a raggiungere quasi un milione e settecentomila unità), cresceva anche l’idea che le strade cittadine fossero piene di pericoli. E tali timori non erano infondati. Nel 1913 a Brooklyn si registravano in media trenta gravi incidenti tranviari al giorno. L’azienda dei trasporti reagì con una “Crociata per la Sicurezza” che portò nelle scuole conferenzieri e pellicole. The Cost of Carelessness è forse il primo film che presenta un film proiettato in un’aula scolastica.
Quest’uso innovativo del cinema si guadagnò un articolo sul New York Times del 25 gennaio 1914: “Anche se nelle scene mostrate ci sono momenti raccapriccianti, l’effetto sui ragazzi è stato palesemente positivo.” A interessare gli spettatori di oggi sono ancora queste realistiche ricostruzioni dei pericoli causati dalla distrazione quotidiana. Il funzionamento del dispositivo di sicurezza delle ruote del tram viene dimostrato semplicemente facendo investire un ragazzo dal veicolo!
L’anno successivo vennero raccolti i dati sugli incidenti stradali in seguito ai quali si era reso necessario portare i ragazzi coinvolti in uno dei tre principali ospedali della città: 16 di queste vittime erano state investite dai tram, 82 dalle automobili  e ben 105 da un tipo di mezzo che nel film si vede di sfuggita solo sullo sfondo: i veicoli trainati da cavalli. The Cost of Carelessness è incredibilmente in anticipo sui tempi, occupandosi della sicurezza stradale quando New York non aveva ancora un solo semaforo. – Scott Simmon

THE HAZARDS OF HELEN: Episode 13, “The Escape on the Fast Freight” (Kalem Co., US, 1915)
Directors:Helen Holmes & Leo Maloney; Producer: Paul C. Hurst; Writer: Edward Matlack; Cast:Helen Holmes (Helen Holmes), Leo Maloney & James Davis (tramps), G.A. Williams (constable), Paul C. Hurst & Ben Jones (train workers); 35mm, 925 ft., 13 min (19 fps); preserved by the Library of Congress, with additional source materials from the British Film Institute.
Più di ogni altro serial, The Hazards of Helen (119 episodi realizzati fra 1914 e il 1917) elegge il posto di lavoro a luogo dell’avventura, facendo trapelare un serio femminismo da storie d’azione incentrate sulla capacità di una donna di fare – eccome – il proprio lavoro. I singoli episodi, più o meno conchiusi, erano unificati dal ruolo di Helen, telegrafista di una remota stazione ferroviaria dell’Ovest, dove normalmente era l’unica donna in un mondo di uomini. Come per  una qualche distorsione temporale degna di Sisifo, Helen iniziava ogni episodio attorniata da uomini convinti che fosse troppo debole e incompetente per fare il suo lavoro, risultando alla fine l’intrepida salvatrice della compagnia. La settimana successiva, riprendeva il suo posto ed ogni precedente dimostrazione di eroismo era stata dimenticata.
Le donne in America lavoravano come telegrafiste già dagli anni ’40 dell’Ottocento: nel 1915 ce n’erano circa 12.000, grosso modo il venti per cento del totale, ma meno del tre per cento dei telegrafisti delle ferrovie e in genere operavano in località remote, non gradite ai dipendenti maschi.
Nel ruolo Helen troviamo la ventiduenne Helen Holmes. L’attrice – che in merito al fatto di interpretare scene pericolose, ebbe a dire: “Se non le facessimo, come sarebbero i film?” – è anche co-regista di quest’episodio. Inoltre, come precisa il Moving Picture World, “Miss Holmes ha la responsabilità della troupe … Scrive i copioni e fa gran parte del lavoro”. Ma, in un significativo parallelismo, come le doti del suo personaggio venivano settimanalmente dimenticate, così i ruoli produttivi di Helen Holmes non vengono accreditati. – Scott Simmon

BUD’S RECRUIT (Boy City Film Co., distributed by General Film Co., US, 1918)
Director: King Vidor; Producer/writer: Judge Willis Brown; Cast: Wallis Brennan (B
ud Gilbert), Robert Gordon (Reggie Gilbert), Ruth Hampton (Edith), Mildred Davis (Edith’s sister); 35mm, 1865 ft., 2 reels, 26 min(18 fps); preserved by the UCLA Film and Television Archive.
Questo due rulli sul fronte interno durante la prima guerra mondiale è il primo film di King Vidor conservatosi ed è la concisa storia di un ragazzo che dà alla propria famiglia una lezione di patriottismo. Si tratta anche del primo film della Boy City Film Company del giudice Willis Brown, ex magistrato del tribunale minorile dello Utah e fondatore delle “Città dei Ragazzi”. Scopo della società, che a Culver City, in California, gestiva uno studio ed un rifugio per i giovani senza famiglia, era quello di realizzare “storie pulite, edificanti ed estremamente divertenti in cui l’accattivante umorismo della vita dei ragazzi giocasse un ruolo centrale”. I film venivano prodotti molto rapidamente: agli inizi del 1918, Vidor ne diresse almeno dieci. Il giudice compariva in tutti, tranne che in questo (sul cartello del titolo lo si vede intento a scrivere sceneggiature).
Bud è riuscito a formare un’unità militare con i ragazzi del vicinato, ma non è facile per lui mettere in riga i suoi familiari. L’effeminato fratello, in età di leva, si sottrae al dovere militare. La madre si irrita perché Bud le manda all’aria la riunione della sua “Società per la Pace” e si rifiuta di cenare nel “giorno senza carne”. (In tempo di guerra, i “lunedì senza carne” volontari servivano a razionare il cibo e incoraggiavano lo spirito di abnegazione attraverso manifesti come quelli che si vedono nel film.)
Il capolavoro di Vidor sulla prima guerra mondiale, The Big Parade (La grande parata) del 1925, si apre con una madre ugualmente adorante e un figlio inizialmente descritto come un lavativo. Ma nei sette anni intercorsi Vidor, e l’America, avevano avuto il tempo per una più cupa visione del patriottismo e del prezzo che esso comportava. Sulla serie con il giudice Brown, il regista scrisse: “Credevo profondamente in questi film e ci misi cuore e anima per farli.” – Scott Simmon

LABOR’S REWARD (rullo sopravvissuto)(Rothacker Film Manufacturing Co., US, 1925)
Producer: American Federation of Labor, Union Label Trades Dept.; Production Supervisor:John J. Manning; 35mm, 975 ft., 13 min. (20 fps); preserved by the UCLA Film and Television Archive.
Prodotto dall’AFL, la federazione americana del lavoro, Labor’s Reward è forse il più vecchio film sponsorizzato da un’associazione sindacale americana ancora esistente. Solo il terzo dei cinque rulli originali si è conservato (insieme ad un frammento più breve), ma è quello che contiene il nucleo centrale della vicenda. Nei rulli precedenti, perduti, un uomo, padre di famiglia, rimane ferito in un’officina meccanica i cui lavoratori non sono iscritti al sindacato. Egli pertanto non riceve alcun risarcimento: per mantenere la famiglia non c’è che la paga della figlia maggiore, Mary, che sfacchina – pure lei senza tutela sindacale – in una legatoria. All’inizio del rullo 3, il suo amico Tom la trova costretta a letto dal troppo lavoro.
Nel 1925, quando venne realizzato Labor’s Reward, il movimento sindacale americano era indebolito dopo la soppressione delle organizzazioni più militanti. Il film si proponeva di cambiare la situazione presentando i “metodi costruttivi” dell’AFL e facendo appello ai “consumatori” perché acquistassero prodotti di aziende i cui lavoratori erano iscritti al sindacato. Porre una donna al centro della vicenda era anche un modo per sottolineare l’attenzione sempre prestata dall’AFL al problema della concorrenza della manodopera femminile sottopagata. Sono le donne che qui mostrano a Tom l’importanza di comperare un cappello con l’etichetta del sindacato. Ampiamente pubblicizzato, Labor’s Reward veniva proiettato gratis. La Federazione Americana dei Musicisti, affiliata all’AFL, forniva l’accompagnamento dal vivo.
Il rullo 3 termina mentre le donne votano per formare un sindacato. Nella versione completa, il film si chiudeva con il proprietario della legatoria che alla fine accetta un accordo sindacale. Mary deve decidere se continuare a lavorare o mollare per sposare Tom (la possibilità di fare entrambe le cose non sembra essere considerata). La ragazza sceglie Tom con cui, presumibilmente, vive per sempre felice e contenta, consumando prodotti  recanti l’etichetta sindacale. – Scott Simmon