EVENTO MUSICALE / MUSICAL EVENT: DIE BÜCHSE DER PANDORA


SERATA FINALE / CLOSING EVENT
DIE BÜCHSE DER PANDORA (Lulù / Pandora’s Box) (Nero-Film AG, Berlin, DE 1929)
Regia/dir: G.W. Pabst; prod: Seymour Nebenzahl; scen: Ladislaus Vajda, dai drammi/from the plays Erdgeist & Die Büchse der Pandora di/by Frank Wedekind; f./ph: Günther Krampf; mont./ed: Joseph R. Fieseler; scg./des: Andrej Andrejew, Gottlieb Hesch [= Bohumil Heš]; cost: Gottlieb Hesch; aiuto regia/asst. dir: Mark Sorkin, Paul Falkenberg; cast: Louise Brooks (Lulu), Fritz Kortner (Dr. Schön), Franz Lederer (Alwa Schön), Carl Goetz (Schigolch), Krafft Raschig (Rodrigo Quast), Alice Roberte (Contessa/Countess Geschwitz), Daisy d’Ora (la fidanzata di Schön/Dr. Schön’s fiancée), Gustav Diessl (Jack the Ripper), Michael von Newlinski (Marquis Casti-Piani), Siegfried Arno (il regista/stage manager), Hans G. Casparius (chef), Paul Falkenberg; riprese/filmed: 1928; data v.c./censor date: 30.1.1929; première: 9.2.1929, Gloria-Palast, Berlin; lg. or./orig. l: 3255 m.; 35mm, 3018 m., 132’ (20 fps); fonte copia/print source: BFI Distribution, London. Film restaurato nel 1998 dalla Cineteca di Bologna e dalla Cinémathèque Française / Film restored in 1998 by the Cineteca di Bologna and the Cinémathèque Française.
Didascalie in inglese / English intertitles.

Accompagnamento musicale composto e diretto da / Score composed and conducted by Paul Lewis.
Esegue/performed by Orchestra Sinfonica del Friuli Venezia Giulia.

In collaborazione con / In cooperation with Watershed, Bristol Silents, British Film Institute.

English

Nel 1926, a Berlino, il regista Georg Wilhelm Pabst iniziò una ricerca ossessiva, durata due anni, per trovare la protagonista del suo film. Prefigurando scene simili a quelle che si creeranno un decennio dopo durante il casting di Scarlett O’Hara per Gone With the Wind (Via col vento, 1939), gli assistenti di Pabst fermavano le passanti per strada o nelle stazioni ferroviarie per poi sottoporle al vaglio del regista. Alcune di queste avevano le physique du rôle ma non sapevano recitare, altre erano molto preparate ma non avevano le caratteristiche fisiche giuste. Pabst ne vide duemila, eseguendo centinaia di provini. Furono scartate tutte. I quotidiani e i settimanali seguirono la vicenda. La ricerca di Lulu divenne un caso di interesse nazionale.
L’erotica eroina di Frank Wedekind era una delle grandi figure femminili della letteratura tedesca. Nel dramma teatrale, che aveva scandalizzato la società fin-de-siècle e procurato al suo autore un breve periodo di detenzione, il personaggio di Lulu, incarnazione della sessualità primitiva e della fantasia di ogni uomo che incontra, semina involontaria devastazione. Guidata dalla sua curiosità e libera da freni morali, Lulu si può esprimere solo attraverso il piacere. L’anarchia e la distruzione che – gioiosamente inconsapevole – trascina con sé, diventano l’elemento di catarsi attraverso cui la società può liberarsi della propria repressione sessuale. Più astrazione concettuale che vero personaggio, Lulu era una figura poetica genuinamente tedesca, forse perfino un simbolo della psiche nazionale. Ma se ad alcuni poteva andar bene anche un’attrice straniera – la danese Asta Nielsen l’aveva già interpretata in due precedenti versioni cinematografiche – altri sostenevano che Lulu poteva essere solo tedesca, e viceversa. Pabst, fortunatamente, fece di testa propria. Più interessato al cinema che alla letteratura, e con uno sguardo ambivalente nei confronti dell’espressionismo allora predominante, pensò di fondere le due pièce di Wedekind, temperandone gli eccessi da Grand Guignol e disfacendosi del loro specifico teatrale più ingombrante – il linguaggio irrealistico e isterico dei personaggi. La cui complessità andava restituita senza l’uso della parola. Pabst stava sviluppando un nuovo stile cinematografico “oggettivo”, e voleva che questa Lulu fosse “vera”. E tale – per Pabst e per il film – doveva soprattutto apparire la sua immagine visiva, e se poi questa visione proveniva da un altro continente, poco importava.
Nel settembre del 1928, la ventiduenne Louise Brooks, da Cherryvale, Kansas, voltava le spalle a Hollywood per incamminarsi verso l’immortalità. Dopo gli inizi come ballerina, a 17 anni, via Broadway e le Follies, era approdata al cinema. Bella da togliere il fiato, sfrontatamente sexy, aveva attirato l’attenzione di Pabst in A Girl in Every Port (CapitanBarbablù, 1928) di Howard Hawks, dove interpretava una seduttrice dal cuore di ghiaccio. Pabst la chiese in prestito alla Paramount, alla cui scuderia la giovane attrice apparteneva, ma si vide opporre un rifiuto. Secondo la leggenda, proprio nello stesso momento in cui, negli uffici di B.P. Schulberg, Louise Brooks rifiutava un nuovo contratto con la Paramount, la giovane Marlene Dietrich, a Berlino, fuori della porta di Pabst, aspettava che le fosse offerto il ruolo di protagonista in DieBüchsederPandora. Ma non appena Louise Brooks si rese libera, la parte di Lulu fu subito sua. In un’epoca in cui l’America stava attirando i migliori talenti dalla Germania, una star di Hollywood si accingeva a partire nella direzione opposta. In Europa, sotto la guida di Pabst, in soli 10 mesi, l’attrice avrebbe ridefinito i canoni della recitazione cinematografica iscrivendosi di diritto nella storia del cinema.
Nel centenario di Louise Brooks, avremo la possibilità di rivedere – in una copia nuova e con una partitura musicale inedita appositamente commissionata  – DieBüchsederPandora e la Lulu che Pabst, contro il parere di tutti, aveva voluto.
 Paul McGann

Le mie emozioni nel comporre la partitura per Lulù
Il fondatore dei Bristol Silents, Chris Daniels, mi ha contattato per comporre una partitura orchestrale per il capolavoro del muto di G. W. Pabst, Die Büchse der Pandora (Lulù), non solo per via dei 150 lavori per la Tv che ho composto, ma perché sapeva che provengo da una famiglia di musicisti per film muti. Mia madre, che era violinista, recentemente scomparsa a 93 anni, il suo fratello maggiore e due delle sue sorelle suonavano per i film muti nel sud di Londra già all’età di 14-15 anni; anzi, una delle mie zie era direttore musicale di due cinema, e sceglieva la musica da abbinare ai film. Pertanto, è intrigante e, in qualche modo, poetico che io possa così chiudere il cerchio familiare circa 80 anni dopo.
Die Büchse der Pandora è un giro sulle montagne russe dell’emozione, attraverso l’effetto devastante e letale che Lulù – una femme fatale nel vero senso della parola, interpretata con stupenda perfezione da Louise Brooks – ha su tutti coloro che, uomini e donne, stregati da lei, sono spinti a possederla ad ogni costo. Pertanto mi sono imbarcato nella composizione di questa partitura nel solo modo che conosco: con passione assoluta e dedizione totale, guardando il film con gli occhi di un esperto degli slanci e degli stratagemmi dell’amore, sia romantico che erotico. Così, non aspettatevi niente di tiepido o di apologetico: nessuna corrente emotiva o allusione sessuale passerà inosservata nella musica. Questa è una partitura dall’intensità operistica, anche se in realtà non canta nessuno. Non dovreste nemmeno aspettarvi un pastiche d’epoca, tranne quando nel film c’è musica dal vivo, perché gli impulsi del desiderio sessuale e dell’amore accecante che muovono l’azione sono universali e senza tempo. Lulù non è una semplice maschietta degli anni ’20, ma una dea incarnata, in apparenza gaiamente innocente, ma sempre pronta a usare per i suoi fini quel fascino seduttivo a cui sa che pochi possono resistere. Lulù concede amore come fa un bambino: incondizionatamente, indiscriminatamente e a capriccio, e si aspetta di vederlo ricambiato nello stesso modo, ricevendo invece, alla fine, la morte per mano di un maniaco sessuale omicida.
Benché la musica sia operistica e le melodie vigorose, le ho composte per un’orchestra relativamente piccola, perché credo che questo dia più intimità e una maggior sintonia con i singoli personaggi sullo schermo, rispetto a quel che si potrebbe ottenere con una grande orchestra sinfonica. Un violino solista è la voce di Lulù, e il suo tema, sebbene ossessionante, danza con ostinata volubilità. Una variante, contrassegnata come molto sensuale, accompagna gli episodi di seduzione, pervadendo i protagonisti di una luccicante aureola di desiderio. La musica del dottor Schön parla con un’intensità appassionata seppur tragica, perché la sua è un’anima torturata dall’insaziabile desiderio per Lulù e dal disperato bisogno di contrarre un matrimonio socialmente accettabile. Per suo figlio, il compositore Alwa, c’è una melodia, suonata al suo stesso strumento, il pianoforte, che canta il suo amore distruttivo e disperato per Lulù, amante nonché futura sposa di suo padre. Il motivo in levare che lo vediamo comporre per il suo spettacolo musicale deriva da questo.
Charlotte, la fidanzata del dottor Schön, ha un tema con flauto ed arpa che esprime quieta tristezza e rassegnazione, perché, per quanto bella, è solo una pallida ombra di amabile purezza a fianco della vibrante sessualità di Lulù. La lesbica contessa Geschwitz ha una valse lente piena di bollenti allusioni. Benché in seguito la Brooks avesse descritto il ballo di Lulù con la Geschwitz come un tango, è al suono di questo valzer che le due danzano al matrimonio di Lulù; la natura sognante e sensuale dell’orchestrazione, in contrasto con il realismo dei precedenti motivi per orchestra di ballo, isola le due danzatrici in un affascinante e proibito mondo erotico tutto loro.
Il viscido Schigolch è caratterizzato dall’untuoso stridio del clarinetto. Lulù lo presenta ad uno Schön sgomento come il suo ex-protettore, ma in seguito, quando Schön li sorprende abbracciati nella camera nuziale, lei si difenderà dicendo che si tratta di suo padre – una bugia, tra l’altro, come chiarisce il testo del dittico originale di Wedekind su Lulù, anche se il film accenna in modo ambiguo ad una depravazione incestuosa. Quando Schigolch rientra nella vita di Lulù nel I Atto e le chiede di danzare di nuovo per lui, l’incapacità di lei non è perché non sa più come fare, ma per via dello stridente motivo klezmer che lui suona sulla sua orrida armonica. Anche Schigolch, però, ama realmente Lulù, e una versione lenta del motivo klezmer esprimerà più tardi il suo sdolcinato sentimentalismo.
Come hanno osservato altri commentatori, ad un certo punto si può provare simpatia per ogni personaggio del film, persino per il repellente Schigolch o per lo stesso Jack lo Squartatore. Lo incontriamo mentre vaga senza meta nella nebbia londinese: “Nessuno può aiutarmi,” dice a una ragazza dell’Esercito della Salvezza. Questa battuta non appare nella nuova copia del BFI – ed è un peccato, perché rivela il suo tormento interiore, in un film noto per essere il primo ad indagare nella mente di un serial killer. Il suo tema spetta al corno inglese ed emerge, come lui, dal vortice della nebbia. Dapprima triste, cambia durante la scena con la ragazza dell’Esercito della Salvezza per suggerire l’ipnotismo sessuale che Jack esercita sulle donne; viene poi ripetuto, così, quando incontra Lulù, prima del passaggio finale a un tenero tema d’amore, quando sembra che, contrariamente al normale artificio letterario dell’anima del peccatore redenta dall’amore di una donna pura, questo peccatore debba esser salvato dall’amore di una donna impura: Lulù. Una musica violenta a contrasto si sente ogniqualvolta Jack combatte con la sua sete di sangue: il chiacchiericcio degli strumenti a fiato rappresenta il clamore delle voci che, nella sua testa, lo spingono a uccidere, mentre una macchina del vento suggerisce la tempesta della mania sessuale/omicida che lo inghiotte.
Con un tocco di spaventosa ironia, è alla luce tremolante di una candela datagli dalla ragazza dell’Esercito della Salvezza che Jack vede il coltello con cui, all’apice della passione, uccide Lulù. Fuori, continua a marciare l’Esercito della Salvezza, pieno di zelo religioso, il corteo aperto da un fanatico che agita la bandiera e la lancia, dimenticando che il loro fervore da crociati ha causato – indirettamente – la morte di Lulù. Qui, nell’unico caso in cui ho preso a prestito una melodia preesistente – a differenza dell’utilizzo di “Good King Wenceslas” quando Lulù fissa la candela accesa rimembrando i Natali dell’infanzia – rendo il famoso inno da crociata di Sullivan “Onward Christian Soldiers” una grottesca e paurosa parodia di se stesso. Viene suonato non in sincronia, simultaneamente in due chiavi musicali diverse, separate da una quarta aumentata, un intervallo musicale così discordante e malvagio per gli orecchi medievali da esser stato definito Diabolus in musica – il diavolo nella musica – perché, se mai c’è stato un caso di zelo religioso che abbia aiutato l’opera del diavolo, è di certo qui.
Comporre le 600 pagine o giù di lì, in formato A3, di partitura manoscritta che costituiscono le 2 ore e 11 minuti di musica per Pandora’s Box è stato un incarico emotivamente faticoso ma assai gratificante. Il privilegio di aggiungere la musica ad uno dei più grandi capolavori del cinema non è una responsabilità da prendere alla leggera. – Paul Lewis

 

 

In Berlin in 1926, director Georg Wilhelm Pabst began an obsessive two-year search for an actress. In scenes similar to those witnessed a decade later during the casting of Scarlett O’Hara for Gone With the Wind, women were approached in railway stations and on street corners by Pabst’s assistants before being taken to see him. Some possessed the look but couldn’t act, others great skill but the wrong physical attributes. Two thousand were seen, many hundreds tested. All were turned down. Newspapers and magazines followed the story. Looking for a Lulu held a national interest.
Frank Wedekind’s erotic heroine is one of the great figures of modern German literature. In Wedekind’s plays, which had scandalized
fin-de-siècle society and seen him briefly jailed, the character Lulu, the embodiment of primitive sexuality and the fantasy of any male who associates with her, creates havoc unawares. Driven by curiosity and free of moral constraint, she can express herself only through pleasure. The anarchy and destruction she wreaks – in blissful ignorance – become the redeemers by which society might purge itself of sexual repression. More a concept than a character, Lulu was a poetical German figure, perhaps even an element of the nation’s psyche. While a foreigner could play her – the Dane Asta Nielsen had starred in two previous filmed versions – some thought only a German could be her, and vice versa. Thankfully Pabst thought otherwise. More concerned with cinema than with literature, and ambivalent about the prevailing Expressionism, he sought to combine Wedekind’s two plays, modifying their Grand Guignol excesses and ditching their chief theatrical tool – their characters’ unrealistic, hysterical speech. Their complexities would have to be rendered in silence. Pabst was developing a new “objective” cinematic style, and wanted this Lulu to be “real”. More real than anything else – for Pabst and for film – was her visual image, and if this vision hailed from another continent, then so be it.
In September 1928, 21-year-old Louise Brooks, from Cherryvale, Kansas, walked away from Hollywood and toward immortality. A dancer first, she’d entered movies by way of Broadway and the
Follies at 17. Breathtakingly beautiful and defiantly sexual, she’d come to Pabst’s attention earlier that year in Howard Hawks’s A Girl in Every Port, playing a cold-souled predator. He’d asked for her but was refused – she belonged to Paramount. Now, as the legend goes, at the very moment Brooks was refusing a new contract in B.P. Schulberg’s office, the young Marlene Dietrich was outside Pabst’s door in Berlin, about to be offered the lead in Pandora’s Box. Brooks, suddenly free, was given the role. At a time when America was luring many of the best talents from Germany, a Hollywood star was about to travel in the opposite direction. In just 10 months in Europe under Pabst’s guidance, she would redefine the art of screen acting and claim a place in cinema history.
Here, in Louise Brooks’s centenary year, in a new print and with its first specially commissioned new score, is
Pandora’s Box, and the Lulu that Pabst wanted. – Paul McGann

Thoughts on composing a new score for Pandora’s Box
The founder of Bristol Silents, Chris Daniels, sought me out to compose an orchestral score for G.W. Pabst’s silent masterpiece Pandora’s Box not only on account of the 150 television series and dramas which I have scored, but because he knew that I come from a family of silent movie musicians. My violinist mother, recently deceased at 93, her elder brother, and two of her sisters played for silents in South London when they were only 14 and 15; indeed, one of my aunts was musical director at two cinemas, choosing music to fit the films. It is intriguing and somehow poetic therefore that I am thus able to bring the family full circle some 80 years on.
Pandora’s Box is an emotional rollercoaster ride through the devastating and lethal effect that Lulu – a femme fatale in the true sense, played to glorious perfection by Louise Brooks – has upon those of both sexes who, bewitched by her, are driven to possess her at all costs. I have therefore embarked upon the composing of this score in the only way I know how: with absolute passion and total commitment, viewing the film through the eyes of one steeped in the transports and stratagems of romantic and erotic love. So do not expect anything half-hearted and apologetic: no emotional undercurrent or sexual innuendo will pass unmarked in the music. This is a score of operatic intensity, though nobody is actually singing. Neither should you expect period pastiche, except where there is live music in the film, for the impulses of sexual desire and blinding love which drive the action are universal and timeless. Lulu is no mere 1920s flapper, but a goddess incarnate, apparently blithely innocent but always ready to use to her own ends the seductive charms she knows few can resist. She bestows love like a child – unreservedly, indiscriminately, and upon whim – and she expects to have it returned in the same vein, but instead ultimately receives death at the hands of a homicidal sex maniac.
Although the music is operatic and the melodies full-blooded, I have scored them for a relatively small orchestra, as I believe this gives greater intimacy and a closer connection with the individual characters on screen than might be achieved with a large symphony orchestra. A solo violin is the voice of Lulu, and her theme, though haunting, dances with wayward capriciousness. A variant, marked
molto sensuale, accompanies episodes of seduction, suffusing the participants with a shimmering halo of desire. Dr. Schön’s music speaks with a passionate but tragic intensity, for his is a soul tortured by insatiable desire for Lulu and a desperate need for a socially acceptable marriage. Schön’s son, the composer Alwa, has a melody played on his own instrument, the piano, which sings of his crippling, hopeless love for Lulu, his father’s mistress and eventual bride. The upbeat tune we see him composing for his musical show is derived from this.
Charlotte, Dr. Schön’s fiancée, has a flute and harp theme of quiet sadness and resignation, for though beautiful, she is but a pale shadow of winsome purity next to Lulu’s vibrant sexuality. The lesbian Countess Geschwitz has a valse lente full of simmering innuendo. Though Brooks later described Lulu’s dance with Geschwitz as a tango, it is to this waltz that they dance at Lulu’s wedding; the dreamlike and sensuous nature of the orchestration, in contrast to the realism of the preceding dance-band tunes, isolates the two dancers in a fascinating and forbidden erotic world of their own.
The ingratiating Schigolch is characterized by the oily screeching of a clarinet. Lulu introduces him to an appalled Schön as her former patron, but later, when Schön discovers them embracing in the nuptial bedchamber, she protests that he is her father – a lie, incidentally, as the text of Wedekind’s original two
Lulu Plays makes clear, though the film ambiguously hints at incestual depravity. When Schigolch walks back into Lulu’s life in Act I and asks her to dance for him again, her incapacity to do so is not because she no longer knows how, but because of the jarring klezmer tune he plays on his awful harmonica. But even Schigolch truly loves Lulu, and a slow version of the klezmer tune later expresses his maudlin sentimentality.
As has been observed by other commentators, one can at some stage feel sympathy for every character in the film, even the repulsive Schigolch, and Jack the Ripper himself is no exception. We encounter him wandering aimlessly in the London fog: “
No one can help me,” he says to a Salvation Army girl. This line is omitted from the new print’s English titles – sadly, as it reveals his inner torment in a film noted for being the first to have probed the mind of a serial killer. His theme is given to the cor anglais, and emerges as he does from the swirling fog. Bleak at first, it mutates during the scene with the Salvation Army girl to convey the sexual hypnotism he exerts over women. It is repeated thus as he meets Lulu, before a final transition to a tender love theme, when it seems that, contrary to the normal literary device of sinner’s soul redeemed by the love of a pure woman, this sinner is to be saved by the love of an impure woman: Lulu. Contrasting violent music is heard whenever Jack is wrestling with his bloodlust: chattering woodwind represents the clamour of voices in his head urging him to kill, and a wind machine conveys the storm of sexual/homicidal mania engulfing him.
In a stroke of ghastly irony it is by the flickering light of a candle given to him by the Salvation Army girl that he sees the knife with which he kills Lulu in a climax of passion. Outside, the Salvation Army marches by, high on its own religious fervour, a flag- and spear-waving fanatic leading the way, oblivious that its crusading zeal has indirectly caused Lulu’s death. Here, in what is the only instance of my borrowing a pre-existing melody – other than my use of “Good King Wenceslas” as Lulu gazes at the lighted candle remembering childhood Christmases – I render Sullivan’s famous crusading hymn “Onward Christian Soldiers” as a grotesque and fearsome parody of itself. It is played out of sync with itself simultaneously in two different keys separated by an augmented fourth, a musical interval so discordant and evil to medieval ears that it was known as
Diabolus in musica – “the Devil in music” – for if ever there were a case of religious zeal aiding the work of the Devil, it is surely here.
Composing the 600 or so A3 pages of handwritten score that are the 2 hours and 11 minutes of music for
Pandora’s Box has been an emotionally exhausting but intensely rewarding assignment. The privilege of adding music to one of cinema’s greatest masterpieces has not been a responsibility taken lightly. – Paul Lewis