|
Sorprendentemente,
è questo il primo tentativo di rendere un ampio (sebbene, per esigenze
di tempo, tuttaltro che completo) omaggio ad un incontestabile gigante
del cinema muto: Ivan Mozzuhin. Limmagine da lui veicolata
la quintessenza stessa dellirriducibile eroe romantico dominò
il cinema russo pre-rivoluzionario e gli assicurò un vasto seguito
allestero. Una volta andato in esilio in Francia e in Germania,
egli seppe trionfalmente rinnovare, almeno per un certo periodo, la propria
immagine e la propria carriera.
Dietro allimmagine cinematografica, peraltro, cera un artista
di grande intelligenza, gusto e senso critico, autore egli stesso dei
copioni per alcuni dei suoi migliori film nonché regista abile
e, in Le Brasier ardent (1923), assai innovativo. Benché
egli sia spesso associato ai gesti ostentati ed al bruciante sguardo ipnotico
degli eroi del melodramma russo "decadente", fu un attore di mirabile
finezza, convinto che al cinema occorresse sempre grande espressività
e grande controllo. La rapidità con cui egli passa da uno stato
danimo allaltro è ancor oggi sorprendente, così
come lo è la sua "espressione in due toni" tanto per usare
la definizione dei suoi contemporanei ovvero la capacità
di mostrare i sentimenti nascosti manifestando unemozione allapparenza
diversa (non cè da stupirsi che tra gli attori da lui più
ammirati ci fosse Chaplin). Senza dimenticare, come attestano film tra
loro diversi come Otec Sergij (Padre Sergio; 1918) e La Maison
du mystère (1922), quanto brillantemente se la cavava col trucco,
tanto che allepoca fu paragonato a Lon Chaney.
Ivan Ilic Mozzuhin nacque a Penza, nella Russia centrale, il 26
settembre del 1889, terzo figlio di Ilija, prospero proprietario terriero
di origini aristocratiche. Il suo fratello maggiore, Aleksandr, sarebbe
divenuto un celebre basso; un secondo fratello, Constantin, era ufficiale
della marina dello zar. I tre ragazzi studiarono a Mosca: per due anni
Ivan si dedicò alla giurisprudenza, ma innamoratosi del teatro,
tornò a casa, a Penza, per annunciare che voleva calcare le scene.
Suo padre si oppose e lo rimise sul treno per Mosca; Ivan saltò
giù alla prima stazione e andò a Kiev. Qui si aggregò
ad una compagnia teatrale itinerante con la quale viaggiò per due
anni attraverso la Russia finché non arrivò a Mosca, dove
si affermò rapidamente sia nel repertorio classico sia in quello
moderno.
Egli rimase conquistato dalle nuove possibilità espressive del
cinema quando vide i film danesi di Waldemar Psilander ed Asta Nielsen.
Guarda caso, il suo primo lavoro nel cinema consistesse nel sostituire
Psilander nei tragici finali apocrifi concepiti dai distributori russi
al posto di quelli originali troppo poco strazianti per i gusti locali.
Nel 1911 fu ingaggiato presso gli studi Hanzonkov, dove gli venne affidato
il ruolo di Truchacevskij nella versione realizzata da Petr Cardynin (che
tenne per sé il ruolo principale) di Krejcerova sonata (La
sonata a Kreutzer) di Tolstoj e quello di Napoleone III in Oborona
Sevastopolja (La difesa di Sebastopoli) di Vasilij Goncarov ed Aleksandr
Hanzonkov.
Cardynin, regista prolifico, avrebbe in seguito diretto spesso Mozzuhin
per la Hanzonkov: insieme fecero infatti 19 film, dalle prime accattivanti
commedie, Domik v Kolomne (La casetta a Colomna) e Djadjuskina
kvartira (Lappartamento dello zio), entrambi del 1913, al proto-femminista
Zenscina zavtrasnego dnja (La donna del domani) del 1914, ad adattamenti
di classici come Natasa Rostova / Vojna i mir (Guerra e pace; 1915),
drammi realistici (Petersburgskie truscoby [I bassifondi di Pietroburgo;
1915], Obryv [Il burrone; 1913]) e melodrammi sentimentali popolari
(Ty Pomnis li? [Ti ricordi?] e Hrizantemy [Crisantemi],
entrambi del 1914). Wladyslaw Starewicz, affascinato dal peculiare personaggio
di Mozzuhin, lo diresse in 4 pellicole, compresi adattamenti da Gogol
(Strasnaja mest [La terribile vendetta]; Noc
pered Rozdestvom [La notte di Natale], entrambi del 1913) e da Puskin
(Ruslan i Ludmila [Ruslan e Ludmilla], 1915). Il maggior regista
della Hanzonkov a partire dal 1914, Evgenij Bauer, lo diresse soltanto
in 6 film, tra cui Zizn v smerti (La vita nella morte) del
1914.
Nellaprile del 1915 pare in seguito a un diverbio
Mozzuhin lasciò Hanzonkov per unirsi a Ermolev. Purtroppo
ben poco è sopravvissuto di questa fase della sua carriera, in
cui i maggiori registi che lo diressero furono Czeslaw Sabinski, con cui
fece 12 film, e Jakov Protazanov, che lo diresse in 20 pellicole. Sabinski
(1885-1941), che aveva fatto lo scenografo, realizzò soprattutto
melodrammi di ambientazione contemporanea. Con Protazanov, invece, Mozzuhin
poté sperimentare una gamma più vasta di generi, in una
collaborazione molto fruttuosa: lattore era linterprete ideale
per lesplorazione del realismo psicologico cui puntava Protazanov;
entrambi, poi, ambivano ad adattamenti letterari che andassero più
in profondità delle semplici illustrazioni precedentemente realizzate
per lo schermo. Le interpretazioni di Mozzuhin nei due film di Protazanov
Pikovaja dama (La donna di picche) del 1916 ed Otec Sergij (Padre
Sergio) del 1918 sono annoverate tra le migliori del tempo.
Dopo la rivoluzione del 1917, la troupe di Ermolev prese la strada
dellesilio ritirandosi a Jalta per arrivare da qui, via Costantinopoli,
nellEuropa occidentale. Il primo film distribuito dalla Ermolieff-Cinéma,
la neocostituita società francese degli esuli russi, fu LAngoissante
Aventure (Lavventura angosciosa), scritto da Mozzuhin e diretto
da Protazanov. A questo seguì nel 1921 Justice dabord!
(Giustizia innanzi tutto), un remake del successo del 1917 Prokuror
(Il procuratore). Nello stesso anno, Mozzuhin o Mosjoukine, secondo
la traslitterazione francese con cui lattore divenne noto anche
in Italia, passò finalmente alla regia con LEnfant du
carnaval (Il figlio del carnevale). Il suo ultimo lavoro per la
Ermolieff-Cinéma, prima della creazione della Films Albatros fu
Tempêtes (Tempeste; 1922), diretto da Robert Boudrioz.
Mosjoukine diresse per la Albatros il suo secondo, e più notevole,
lavoro, Le Brasier ardent (Il braciere ardente), uscito
nel 1923 e in parte ispirato, comegli disse, da uno dei suoi ultimi
film russi con Protazanov, Satana likujuscij (Satana trionfante)
del 1917. Alla Albatros, Mosjoukine fu diretto da Alexandre Volkoff (Aleksandr
Volkov) nel superbo serial La Maison du mystère (1922),
in Kean (id.; 1923) e in Les Ombres qui passent (Ombre che passano;
1924), che lui stesso scrisse ispirandosi, come spiegò, a Chaplin
e Keaton; da Jean Epstein in Le Lion des Mogols (Il leone dei
Mongoli; 1924); da Marcel LHerbier in Feu Mathias Pascal
(Il fu Mattia Pascal; 1925) e da Viatcheslav Tourjansky in Michel
Strogoff (Michele Strogoff). Nel 1927 lavorò di nuovo con Volkoff
nel suo ultimo, e più ambizioso, film muto francese, Casanova
(id.)
Abel Gance, che lo voleva per Napoléon (Napoleone), lo
sottopose a molti provini, facendolo truccare, indossare costumi e parrucche,
recitare, ma lattore stando almeno alla sua versione dei
fatti avrebbe alla fine deciso che solo un francese poteva, e doveva,
avere tale parte. Scrisse a Gance una lettera in cui lo incensava dicendogli:
"Le esprimo ancora una volta tutta la mia gratitudine di artista russo,
a cui il più grande cineasta francese ha offerto la possibilità
di interpretare il più grande eroe del mondo, ed è con tormentato
dolore che abbandono questo sogno." Kevin Brownlow ritiene tuttavia che
lattore non se la sentisse di impegnarsi per due anni e abbia avanzato
pretese salariali sapendo che Gance non le avrebbe soddisfatte. Era inevitabile
che Mosjoukine, ora allapice della fama, sentisse il richiamo di
Hollywood. Il 7 dicembre 1926 si imbarcò pieno dambizione
ed ottimismo per la California con in tasca un contratto quinquennale
con la Universal. La casa, che aveva visto in lui la risposta a John Barrymore,
sotto contratto con la Warner, gli diede un ruolo alla Valentino
quello di protagonista di Surrender! (Linvasore), adattamento
del testo teatrale di Alexander Brody, Leah Leon. Era unopera
di soggetto ebraico e ambientazione russa, con Mary Philbin nei panni
delleroina. Il film, firmato dal regista di origine inglese Edward
Sloman, ebbe una pessima accoglienza da parte dei critici, i quali scrissero
persino che fisicamente Mosjoukine assomigliava a Larry Semon. Attore
e casa di produzione furono ben lieti di recedere dal contratto, e lui
se ne tornò in Europa per recitare in co-produzioni tedesche della
Universal, come Der Präsident (Il presidente di Costanueva; 1928)
e Der geheime Kurier (Le rouge et le noir; 1928), entrambi di Gennaro
Righelli e Der Adjutant des Zaren (Laiutante dello zar; 1929)
di Vladimir Strizevskij. I suoi ultimi film muti costituiscono
un nobile canto del cigno e furono entrambi diretti da russi: Manolescu
(Manolesco; 1929) da Tourjansky e Der weisse Teufel (Il diavolo
bianco; 1930) da Volkoff.
Mosjoukine si accostò poi coraggiosamente al sonoro, cominciando
con Sergeant X (1931), una produzione francese con un cast tedesco
e la regia di Strizevskij: egli vi interpretava un legionario e se la
cavò abbastanza bene, ma i ruoli per un attore con un pesante,
incorreggibile (e talvolta, a quanto si diceva, incomprensibile) accento
russo, in film francesi o tedeschi, erano ovviamente limitati. In Francia
ebbe ancora tre parti da protagonista: in La Mille et deuxième
nuit (Il principe ribelle; 1933) di Volkoff; nel triste Les
Amours de Casanova (La vita amorosa di Casanova; 1933) di
René Barberis e nel remake di Volkoff di LEnfant du
carnaval (1934); infine ebbe un parte assolutamente minima e indegna
di lui in un film ironicamente intitolato Nitchevo (1936), diretto
da Jacques de Baroncelli.
Gli ultimi anni di vita dellattore non furono felici. Lui, lanfitrione
che non badava a spese, si trovava ora a dipendere dal sostegno economico
del fratello Aleksandr, che viveva anchegli a Parigi. Si era separato
da Nathalie Lissenko, sua compagna nella vita e partner sullo schermo
prima e dopo lesilio, ma né le storie che ebbe con altre
donne (la più celebre, seppur breve, è quella con Kiki de
Montparnasse) né un presunto matrimonio servirono ad alleviare
la sua solitudine di alcolizzato. Morì di tubercolosi il 18 gennaio
del 1939 in un ospedale di Neuilly-sur-Seine. Aveva 49 anni. Sul luogo
della sua sepoltura cera solo una povera croce di legno. Per caso
lì vicino si trovava la tomba del padre di Charles Vanel, che aveva
recitato con Mosjoukine in La Maison du mystère e in Tempêtes.
Dopo la seconda guerra mondiale Vanel lanciò attraverso un giornale
specializzato francese una sottoscrizione per un monumento funebre più
dignitoso. Ma la comunità russa, capeggiata da Serge Sifar e dal
fratello di Mosjoukine, raccolse altri fondi per trasferire i resti dellattore
al cimitero di Sainte Geneviève des Bois. "Così", commenta
Lenny Borger, cui dobbiamo queste notizie sulle peregrinazioni postume
di Mosjoukine, "il suo esilio continuò anche dopo la morte."
Pur con tutte le sue lungaggini, Kean (1923), è indispensabile
per comprendere Mosjoukine, che aveva originariamente portato sulle scene
il ruolo omonimo nel dramma di Dumas Kean, ou le Désordre et
génie (1836), facendolo proprio molto prima che venisse adattato
per lo schermo. Heinrich Heine (1797-1856), che aveva avuto lopportunità
di vedere a teatro sia il vero Edmund Kean sia Frédérick
Lemaître nel lavoro di Dumas, si era stupito dellaffinità
tra i due attori, di come entrambi sapessero "rendere visibile, attraverso
gesti improvvisi, il suono di una voce strana ed uno sguardo ancor più
strano, non i sentimenti comuni e quotidiani, ma tutto ciò che
di bizzarro e misterioso contiene il cuore di un uomo". Non cè
dubbio che Heine avrebbe riscontrato tali caratteristiche anche in Mosjoukine
e lo avrebbe incluso nel triumvirato dei giganti della recitazione romantica.David
Robinson

Mozhukhin: The Paths
of Exile
Astonishingly, this appears to be the first attempt at a broad
(though, from pressures of programme time, far from complete) appraisal
of one of the unassailable giants of silent cinema. Ivan Mozhukhins
image as the quintessential, unrepressed romantic hero brought him to
dominate the pre-revolutionary Russian cinema, and to ensure for it a
rich foreign market. As an émigré, in France and
Germany, he triumphantly renewed his image and career, at least for a
while.
Behind the screen image, though, was an artist of high intelligence, taste,
and critical detachment. He scripted some of his own best films, and proved
himself an able and in the case of Le Brasier ardent (1923),
highly innovative director. Although Mozhukhin is often associated
with the flamboyant gestures and burning, mesmeric eyes of the heroes
of Russian "Decadent melodrama, he was an actor of admirable
subtlety, always insisting that cinema needs at once great expressiveness
and great restraint. The rapidity with which he is able to shift mood
still astonishes, as does the gift identified by his contemporaries as
"expression in two tones the ability to show the feelings
hidden by the expression of an apparently different emotion (little wonder
that Chaplin was one of the actors he most admired). Incidental to these
gifts was his skill in make-up notable in films as different as
Otets Sergeii / Father Sergius (1918) and La Maison du Mystère
(1922) which his contemporaries compared to Lon Chaney.
Ivan Ilich Mozhukhin was born in Penza, central Russia, on 26 September
1889, the third son of Ilya Mozhukhin, a prosperous patrician landowner.
His eldest brother, Alexander, was to become a celebrated operatic bass;
a second brother, Constantin, was an officer in the Tsarist navy. The
three boys were educated in Moscow, where for two years Ivan studied law.
During this time however he fell under the spell of the theatre, and returned
home to Penza to announce that he wanted to go on the stage. His father
protested, and put him back on the train to Moscow. Ivan skipped from
the train at the first station, and went to Kiev, where he joined a travelling
theatre troupe. After two years touring experience, he arrived in
Moscow, where he soon achieved celebrity both in the classical and modern
repertory.
Mozhukhin was fascinated by the new possibilities of cinema when he saw
the Danish films of Waldemar Psilander and Asta Nielsen. As it happened,
his first work in cinema was doubling for Psilander in the apocryphal
tragic endings concocted by Russian distributors to replace dénouements
which were insufficiently lachrymose for the taste of Russian movie-goers.
In 1911 he was recruited to the Khanzhonkov studios, where his first appearances
were as Trukhachevski in Piotr Chardynins version of Tolstois
Kreitserova Sonata / The Kreutzer Sonata, with Chardynin
in the leading male role; and as Napoleon III in Vasili Goncharov and
Alexander Khanzhonkovs Oborona Sevastopolya / The Defence
of Sebastopol. Chardynin was to remain his most frequent and most productive
director at Khanzhonkov: together they made 19 films, ranging from the
endearing early comedies, Domik v Kolomne / The Little House at Colomna
(1913) and Dyadyushkina Kvartira / Uncles Apartment
(1913), to the proto-feminist Zhenshchina Zavtrashnego Dnya / A
Woman of Tomorrow (1914), classical adaptations like Natasha Rostova
/ Voina i Mir / War and Peace (1915), realist drama (Petersburgskie
Trushchoby / The Lower Depths of St. Petersburg, 1915; Obryv
/ The Precipice, 1913), and popular sentimental melodrama (Ty
Pomnish Li? / Do You Remember? and Khrizantemy / Chrysanthemums,
both 1914). Wladyslaw Starewicz was obviously fascinated by Mozhukhins
distinctive persona, and directed him in 4 pictures, including adaptations
from Gogol (Strashnaya Mest / A Terrible Vengeance; Noch
Pered Rozhdestvom / Christmas Eve / The Night Before Christmas, both
1913) and Pushkin (Ruslan i Ludmila / Ruslan and Ludmilla,
1915). Khanzhonkovs star director from 1914, Yevgeni Bauer, directed
him in only 6 films, most notably Zhizn b Smerti / Life in Death
(1914).
In April 1915 Mozhukhin left Khanzhonkov for Yermoliev, apparently as
a result of some dispute. Unfortunately very little of Mozhukhins
work at the Yermoliev studios has survived. His principal directors there
were Czeslaw Sabinski, with whom he made 12 films, and Yakov Protazanov,
who directed him in 20. Sabinski (1885-1941), originally trained as a
designer, was mostly responsible for the contemporary melodramas. With
Protazanov, Mozhukhin experimented in a much wider range of genres, and
the partnership was clearly very fruitful: Mozhukhin was an ideal collaborator
and interpreter for Protazanovs exploration of psychological realism;
and both strove for literary adaptation that would go further and deeper
than the simple illustrations of the earlier cinema. Mozhukhins
performances in Protazanovs Pikovaya Dama / The Queen of Spades
(1916) and Otets Sergii / Father Sergius (1918) (neither ever previously
seen at the Giornate del Cinema Muto) remain among the finest interpretations
in silent cinema.
Following the 1917 Revolution, the Yermoliev troupe followed the Russian
cinemas path of emigration to Yalta and thence via Constantinople
to Western Europe. The first release of the émigrés
newly formed French company, Ermoliev-Cinéma, was LAngoissante
aventure, written by Mozhukhin and directed by Protazanov. This was
followed in 1921 by Justice dabord!, a remake of Protazanov
and Mozhukhins 1917 success Prokuror / The Prosecutor. The
same year, Mozhukhin finally embarked on direction, with LEnfant
du carnaval. Mozhukhins final work for Ermoliev-Cinéma
before the establishment of Albatros Film was Tempêtes (1922),
directed by Robert Boudrioz.
For Albatros, Mozhukhin created his second and most remarkable work as
a director, Le Brasier ardent, released in 1923, and, he said,
partly inspired by one of the last Russian Protazanov-Mozhukhin films,
Satana Likuyushchii / Satan Triumphant (1917). For Albatros, Mozhukhin
was directed by Alexander Volkov (Alexandre Volkoff) in the superb serial
La Maison du Mystère (1922), in Kean (1923), and
in Les Ombres qui passent (1924), written by Mozhukhin and inspired,
he said, by Chaplin and Keaton; by Jean Epstein in Le Lion des Mogols
(1924); by Marcel LHerbier in Feu Mathias Pascal (1925);
and by Vyacheslav Turzhanski (Victor Tourjansky) in Michel Strogoff.
In 1927 he worked again with Volkov on his last and most ambitious French
silent picture, Casanova.
Abel Gance wanted him for Napoléon, and made many tests
of make-up, costume, wigs, and acting; but in the end, according to his
own testimony, Mozhukhin decided that only a Frenchman could or should
play the role. He wrote fulsomely to Gance, declaring, the greatest
cinematographer of your land offered the chance of playing the worlds
greatest hero, and it is with tormented sorrow that I abandon this dream.
Kevin Brownlow however considers that Mozhukhin was reluctant to tie himself
up for two years, and so made salary demands which Gance was not willing
to meet.
Abel Gance wanted him for Napoléon, and made many tests
of make-up, costume, wigs, and acting; but in the end it seems to have
been Mozhukhin who decided that only a Frenchman could or should play
the role. Now at the peak of his world fame, it was inevitable that he
should be lured by Hollywood. On 7 December 1926 he embarked for California
with a 5-year contract with Universal, and filled with new ambitions and
optimism. Universal no doubt saw him as their answer to Warners
John Barrymore; and chose for him the Valentino-esque leading role in
Surrender, an adaptation of Alexander Brodys play Leah
Leon, a Jewish story set in Russia. His co-star was Mary Philbin, and
the film was assigned to one of the companys directors, the English-born
Edward Sloman. The reviews were disastrous, and the critics compared Mozhukhins
looks to the comedian Larry Semon. Universal and Mozhukhin were equally
content to abandon the contract; and Mozhukhin returned to Europe to act
in some Universal-associated German productions, Gennaro Righellis
Der Präsident (1928) ) and Der geheime Kurier (from
Stendahls The Red and the Black; also 1928)and Vladimir Strizhevskys
Der Adjutant des Zaren (1929). His last silent films though were
a noble swan-song. Both had Russian directors: Turzhanski (Tourjansky)
for Manolescu (1929), and Volkov for Der Weisse Teufel (1930).
Mozhukhin approached sound films bravely, and his first, Strizhevskys
Sergeant X (1931), a French production with a German cast in which
he played a Legionnaire, was passable. But roles for an actor with a heavy
and ineradicable (and, it was sometimes said, unintelligible) Russian
accent were clearly limited, whether in German or French films. Back in
France, there were to be three more leading roles in Volkovs
La Mille et deuxième nuit (1933), René Barberiss
sad Les Amours de Casanova (1933), and Volkovs 1934 remake
of LEnfant du carnaval but then a final, demeaning
supporting role in a film ironically titled Nitchevo (1936), directed
by Jacques de Baroncelli.
Mozhukhins last years were not fortunate. In better days he had
been a flamboyant host and big spender: now he seems to have depended
on the financial support of his brother Alexander, also living in Paris.
He had parted from Natalia (Nathalie) Lissenko his companion and
co-star both before and after emigration and various affairs (most
famously, if briefly, with Kiki de Montparnasse) and an apparent marriage
seemed not to assuage his alcoholic solitude. He died from tuberculosis
on 18 January 1939, in a hospital at Neuilly-sur-Seine, at the age of
49. He was buried in a poor grave marked only by a wooden cross. By chance,
it was close to the grave of the father of Charles Vanel, who had appeared
with Mozhukhin in La Maison du mystère and Tempêtes. After
World War II Vanel started a subscription through a French trade journal
to pay for a more worthy memorial. However, the Russian community, led
by Serge Lifar and Alexander Mosjoukine, raised another subscription,
to have Mozhukhins remains transferred to the cemetery of Sainte
Geneviève-des-Bois. Thus, comments Lenny Borger, who
supplies this information on Mozhukhins posthumous peregrinations,
his exile continued even in death.
Kean (1923), with all its longueurs, is indispensable to
the understanding of Mozhukhin. He had originally played the title role
in Dumas play Kean, ou le Désordre et Génie
(1836) on stage, and had made it his own, long before it was adapted for
the film. Heinrich Heine (1797-1856) had the opportunity to see both Edmund
Kean himself on stage and Frédérick Lemaître in the
Dumas play; and marvelled at the affinity of the two actors in their ability
"through certain sudden movements, through the sound of a strange
voice, and a look that is stranger still, to make visible, not the common
sentiments of every day, but all that is strange, bizarre and mysterious
contained in the heart of a man". Heine would undoubtedly have found
the same quality in Mozhukhin, and elevated him to complete the triumvirate
of giants of romantic acting.David Robinson

SCHEDE
FILM DI / PROGRAMME NOTES BY LENNY BORGER, DAVID ROBINSON, YURI
TSIVIAN
BRATYA-RAZBOINIKI / [I FRATELLI
MASNADIERI] / [THE BRIGAND BROTHERS] (Khanzhonkov, Russia 1912,
[film non distribuito / unreleased])
Dir.: Vasilii Goncharov; sc.: Vasilii Goncharov,
based on the poem by Alexander Pushkin; ph.: Alexander Ryllo;
cast: Arsenii Bibikov, Ivan Mozhukhin, Vasilii Stepanov, Dolinina,
Alexandra Goncharova; begun 1911, but never released; 35mm, 560m.,
c. 27 (18 fps), Gosfilmofond.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
È evidente in questo film prudentemente
sottotitolato "scene dal" poema romantico eponimo di Aleksandr
Puskin lo sforzo dello studio Hanzonkov (e del regista veterano
Vasilij Goncarov) di far sembrare i propri film più russi basandosi
su soggetti ispirati alla storia russa o tratti dai classici della letteratura
russa. A causa della povertà due fratelli diventano dei malfattori,
ma il loro commovente amore reciproco redime agli occhi del lettore (e
dello spettatore) ogni loro delitto. Ormai attore a tempo pieno per la
Hanzonkov, Mozzuhin si era affermato sia nei ruoli comici che in quelli
drammatici. Bratja-razbojniki è uno dei suoi migliori
film iniziali. Si notino i suoi primi tentativi di "studio psicologico"
(che sarebbero diventati in seguito il suo marchio di fabbrica) ed i tocchi
di realismo grandguignolesco della regia: gli spasimi protratti della
prima vittima e la straziante scena davanti alla tomba aperta. Si noti
anche il tour-de-force delloperatore Aleksandr Ryllo, specie
nelle riprese di una bassa lingua di sabbia sul fiume Moscova, dove venne
girata la fuga dei forzati, che costituisce la scena visivamente più
memorabile del film. Iniziato nel 1911, Bratja-razbojniki
non venne mai distribuito. YT
Subtitled cagily as "scenes from" the eponymous
romantic poem by Alexander Pushkin, this was one of the Khanzhonkov studios
(and its veteran director Vasilii Goncharovs) patent efforts to
make their films look more Russian by basing their stories on Russian
history and Russian literary classics. Two brothers are reduced by poverty
to crime, but their moving love for each other redeems all their killings
in the readers (and viewers) eyes.
By then already a full-time performer at Khanzhonkov, Mozhukhin was successful
in both comedy and dramatic roles. This was one of the finest films of
his early career. Note his first attempts at "psychology" (which
would become Mozhukhins trademark in years to come), and the touches
of Grand Guignol realism in the direction the protracted
death pangs of the first victim, and the heart-rending scene at the open
grave. Note also Alexander Ryllos tour-de-force photography,
particularly of a shallow sandbar on the Moscow River, used as the location
for the convicts escape, visually the most memorable scene of the
film. YT
DYADYUSHKINA KVARTIRA / [LAPPARTAMENTO
DELLO ZIO] / [UNCLES APARTMENT] (Khanzhonkov, 1913)
Dir.: Piotr Chardynin; sc.: Piotr Chardynin, da una farsa teatrale
non identificata / from an unidentified stage farce; ph.:
Fedor Bremer; des.: Boris Mikhin; cast: Ivan Mozhukhin,
V. Niglov, Andrei Gromov, Lidiya Tridenskaya, Dolinina, Alexander Kheruvimov;
dist. / released: 3.9.13; orig. length: 873m.; 35mm, 719m.,
c.35 (18 fps), Gosfilmofond.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Col senno di poi, si direbbe che Djadjuskina kvartira
anticipa il destino di Mozzuhin: lazione di
questa commedia leggera ha infatti luogo (proprio per giustificare la
sua leggerezza) a Parigi (ma è naturalmente girata a Mosca!), anche
se poi scopriremo con nostra sorpresa che i personaggi sono in gran parte
russi: il signore di campagna Stepnjakov, il poeta Fioletov e la vecchia
cameriera Zefirova. Coco (Mozzuhin), uno spensierato e gaudente francese,
privo di ogni senso pratico, è sempre innamorato e sempre a corto
di denaro, come del resto la sua fidanzata Lilette, che però non
si trattiene certo dallo spendere. Quando il ricco zio di Coco, Ponsonné,
parte lasciandogli a disposizione il suo ampio e ben posizionato appartamento,
egli decide ingegnosamente di subaffittarlo. È a questo punto che
spuntano i russi e che tutto viene messo a soqquadro: cè
sempre qualcuno che si innamora di un qualchedun altro ed il povero Coco
deve sistemare le cose, sempre nel timore di un rientro anticipato dello
zio. È questo uno dei meno russi dei film russi di Mozzuhin.
YT
In what reads, in retrospect, as a preview of where Fate would take Mozhukhin
a few years later, the action of this light comedy (to justify its lightness)
is set in Paris (but shot in Moscow, of course!), though, as it turns
out to our amazement, most of the characters in it are Russians: the country
gentleman Stepnyakov, the poet Fioletov, and the old maid Zefirova.
Coco (Mozhukhin), a light-hearted, impractical French bon vivant, is always
in love, and always short of money, as is his French girlfriend Lilette,
which does not restrain her from spending everything. When his rich uncle
Ponsonné goes away, letting Coco use his spacious, well-situated
apartment, Coco ingeniously decides to rent it out as separate furnished
rooms. Thats where all these Russians come in and everything
is turned upside-down: everyone falls in love with someone else, and poor
Coco has to sort things out, all the while afraid his uncle may come back
early. This is one of the least Russian-looking of Mozhukhins Russian
films. YT
DOMIK V KOLOMNE / [LA CASETTA A
KOLOMNA] / [THE LITTLE HOUSE AT KOLOMNA] (Khanzhonkov, 1913)
Dir.: Piotr Chardynin; sc.: K. Harris (?), adapted from
the long poem by Alexander Pushkin; ph.: Wladyslaw Starewicz(?);
des.: Boris Mikhin, Wladyslaw Starewicz(?); cast: Ivan Mozhukhin,
Sofia Goslavskaya, Praskovia Maximova; released: 19.10.1913; 35mm,
641m., c. 35 (16 fps), Gosfilmofond.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Mozzuhin si dilettava a cambiare più volte costumi e travestimento
nel corso di uno stesso film (la massima manifestazione di questa pratica
si avrà in Le Brasier ardent) e questo spiega il divertimento
suo e del suo personaggio nel camuffarsi da donna (qui si tratta di un
romantico stratagemma) in Domik v Kolomne, una frivola farsa nobilitata
dalla sua origine, un racconto in versi di Aleksandr Puskin.
YT
I ricordi della lavorazione di quella pellicola sono rimasti tra i
miei più belli. Ora parliamo di quello che era originalmente il
mio ruolo. Quella figura di fanciulla genuinamente russa, felice di vivere
e al tempo stesso incline alla furbizia e un po discola mi affascinava.
Ivan Ilic Mozzuhin, come ebbe giustamente a sottolineare
Cardynin, "simmerse" letteralmente nel suo ruolo
Che trucchi seppe escogitare! In essi esplicava il suo naturale talento
di commediante
Quando terminammo gli interni, Cardynin condusse
noi tre in Zitnaja Ulica e in Kaluzskaja Ploscad per effettuare
le riprese della trasferta al bagno: eravamo la cuoca Mavruska, la vecchia
madre ed io, Parasa. Non dimenticherò mai quellepisodio.
Una folla stupefatta, accorsa da tutta la Zitnaja e dalla Kaluzskaja,
si era raccolta per osservare la "cuoca", che avanzava al nostro
seguito con passo disteso e militaresco, reggendo un immenso scopetto
di betulla in una mano e un bacile nellaltra. E con che senso dellhumour
Mozzuhin sollevò il sarafan per estrarre dai pantaloni un portasigari
di tipo militare con tanto di sigarette.
È pure vero che, quando si girarono gli episodi successivi alla
scena del bagno, Mozzuhin, che mettendomi a letto mi aiutò
a svestirmi, si prese qualche piccola confidenza. La cosa arrivò
fino alle calze e Cardynin sadirò: "Vanja, sapete benissimo
che ci si accusa per delle banalità e voi sembrate trovare piacere
in situazioni rischiose". Il regista mi vietò espressamente
di togliermi le calze. Perfino Vanja sincollerì, dicendo
che era lui il primo a detestare quelle sconcezze. Tuttavia le situazioni
comiche erano quasi di rigore in quellepisodio
Dovevano servire
a trasmettere allo spettatore lo spirito "monellesco" che animava
lopera di Puskin. E Cardynin in questo era daccordo. Si iniziò
a riflettere sul modo migliore di realizzare la cosa. E alla fine si giunse
ad una decisione: si creò la figura di unimmaginaria servetta,
una ragazzotta giunta dalla campagna, che piaceva molto alla signorina
(anche se lussaro le andava a genio molto di più). E Vanja
Mozzuhin, mettendomi a letto, mi baciava con rispetto e tenerezza le gambe
avvolgendole poi nella coperta con grande pudicizia e con amorosa sollecitudine.
Sofia Goslavskaja, Zapiski kinoaktrisy (Appunti di unattrice
del cinema), Mosca 1974 (Testimoni silenziosi: film russi 1908-1919,
Pordenone, Le Giornate del Cinema Muto, 1989, p. 181-183)
Mozhukhins flair for changing dress and disguise
in the duration of the same picture (a practice later to reach its apex
in Le Brasier ardent) explains the joy he and his male character
derive from changing into drag (here a romantic ruse) in this frivolous
farce, ennobled by the fact of its being based on one of Alexander Pushkins
lighter poems.YT
I have the fondest memories of the making of this picture. It really was
the very first role for me. I became engrossed in that image of the true
Russian girl cheerful, attractive, and at the same time, sly and
a little mischievous. As Chardynin so aptly observed, Ivan Mozhukhin literally
"basked" in his role. The tricks he came up with! It gave him
scope for displaying his comic talents. When we had finished the studio
scenes, Chardynin took us to Zhitanaya Street and Kaluzhskaya Square to
film the episode in which the three of us Mavrushka the cook [Mozhukhin],
the old woman [Maximova], and Parasha [Goslavskaya] go to the bath-house.
It was something that I shall never forget. Astonished passers-by gathered
round from all over Zhitanaya and Kaluzhskaya to watch the "cook"
walk behind us in a sweeping ceremonial gait, carrying a huge bath-house
besom [birch broom] in one hand and a basin in the other. And how hilarious
it was to see Mozhukhin throwing back his tunic dress and pulling out
a cigarette case full of papirosy from his army-style trousers!
Its true that when we were filming the episodes which follow the
bath-house, Mozhukhin played around a little on putting me to bed and
helping me to undress. We had got as far as the stockings when Chardynin
growled, "Vanya, theyll accuse us of bad taste, in indulging
in risqué situations." He categorically prohibited Mozhukhin
from taking off my stockings. Vanya even became angry. He began to say
that he himself detested bad taste, but that the comical situations in
that particular episode were absolutely indispensable in order to put
across the mischievous content of Pushkins work. Chardynin agreed
with this, and they began to think how to arrange things better. Finally,
they decided: the sham servant girl the country lass is
very fond of the masters daughter. Putting me to bed, Vanya Mozhukhin
gently and respectfully kissed my feet, then carefully tucked them up
in a blanket with loving chasteness and modesty. Sofia Goslavskaya,
Zapiski kinoaktrisy (Notes of a Film Actress), Moscow, 1974 (Silent
Witnesses, Russian Films 1908-1919, Pordenone, Le Giornate del Cinema
Muto, 1989), pp.180-182).
ZHENSHCHINA ZAVTRASHNEGO DNYA / DE VROUW VAN MORGEN
/ [LA DONNA DEL DOMANI]/ [A WOMAN OF TOMORROW] (Prima
parte / Part 1. Khanzhonkov, 1914)
Dir.: Piotr Chardynin; sc.: Aleksandr Voznesensky; ph.:
Boris Zaveliev; cast: Ivan Mozhukhin, Vera Yureneva, Maria Morskaya;
dist./released: 28.4.1914; orig. length: 1075m.; 35mm, 795m.,
38 (18 fps), Nederlands Filmmuseum.
Didascalie in olandese / Dutch intertitles.
Tra tutti i film realizzati nella Russia zarista, Zenscina zavtrasnego
dnja è il solo con un soggetto così permeato di
istanze femministe. La "donna del domani" è una futura
dottoressa in medicina (il che presumibilmente non accadeva spesso nel
1914) che si specializza in ginecologia (con linnominabile sedia
arditamente in vista nelle scene ambientate in ambulatorio). Quando scopre
(in una situazione professionale piuttosto delicata) che il marito lha
ingannata, la sua reazione e la sua successiva decisione sono ben poco
convenzionali. Il film è un tour-de-force da parte di Aleksandr
Voznesenskij (a quanto ci è dato sapere, il primo drammaturgo,
nella storia del cinema russo, a diventare sceneggiatore a tempo pieno),
impegnato a scrivere una parte efficace per la moglie Vera Jureneva, allepoca
una famosa attrice teatrale.È anche uno dei rari casi in cui vediamo
Mozzuhin surclassato dalla sua partner sia come personaggio che come interprete.
Peccato non si possa presentare anche la seconda parte di Zenscina
zavtrasnego dnja (un sequel del 1915 in cui non compare Mozzuhin):
la nostra dottoressa va a vivere con lamante del suo ex-marito e
la loro bambina, discute la tesi e si dichiara (!) alluomo di cui
si è innamorata. (Ahimè, il marito numero 2 si rivelerà
anchegli indegno di lei.) YT
This was the only film made in Imperial Russia with a story so heavily
informed by the feminist agenda. The "woman of tomorrow" is
a future doctor of medicine (not a usual thing for 1914, one assumes),
and a practicing gynecologist (with the unmentionable chair defiantly
visible in the scenes set in her consulting room). When she finds out
(in a delicate professional situation) that her husband has cheated on
her, her reaction and her life decision are decidedly unconventional.
The film is a tour-de-force effort on the part of Aleksandr Voznesensky
(more or less the first known playwright turned full-time screenwriter
in Russian film history) to write an effective film part for his wife
Vera Yureneva, by then a stage star of considerable renown, and a rare
picture in which we see Mozhukhin upstaged (both as a character and as
a player) by his partner.
Too bad we cannot show Woman of Tomorrow Part 2 (a 1915 sequel
in which Mozhukhin does not appear): our woman doctor moves in with her
former husbands lover and their little daughter, defends a dissertation,
and proposes to (!) a man with whom she falls in love. (Alas, husband
number 2 turns out in the end not to be worthy of her, either.)
YT
KHRISANTEMI / TRAGEDIA BALERINI
/ ROMAN BALERINI / [CRISANTEMI / TRAGEDIA DI UNA BALLERINA / STORIA
DI UNA BALLERINA] / [CHRYSANTHEMUMS / TRAGEDY OF A DANCER / ROMANCE OF
A BALLERINA] (Khanzhonkov, 1914)
Dir.: Piotr Chardynin; ph.: Boris Zaveliev; mus.:
Yurij Bakaleinikov; cast: Vera Karalli, Ivan Mozhukhin, Raisa Reitzen,
Sofia Goslavskaya, Lidiya Tridenskaya, Aleksandr Kheruvimov; released:
4.11.1914; orig. length: 1140m.; 35mm, 814m., c.40 (18 fps),
Gosfilmofond.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
La danzatrice suicida (interpretata da Vera Karalli, prima ballerina del
Teatro Imperiale di Mosca, qui al suo memorabile debutto sullo schermo),
che spira graziosamente nel mezzo di un assolo sotto gli occhi del suo
infido amante potrebbe sembrare ispirata alla cantante che fa la stessa
fine ed è interpretata da Lyda Borelli nel suo film desordio,
Ma lamor mio non muore! (1913), se non ci fosse un prototipo
nella vita vera.
Nel 1881 lattrice russa Evlalia Kadmina si era avvelenata sul palcoscenico
di un teatro di Charkov dopo aver assunto, tra un atto e laltro,
un veleno preparato da lei stessa grattando via lo zolfo dalla testa dei
fiammiferi. Il motivo? Aveva visto tra il pubblico quel bel mascalzone
dellesercito che laveva lasciata per la figlia di un mercante
e che aveva avuto il fegato di venire con la nuova fiamma a vedere il
suo spettacolo! Questa vicenda, che allepoca aveva fatto sensazione,
venne rievocata anche in letteratura, prima da Ivan Turgenev (nel racconto
Klara Milic) e poi anche da Nikolaj Leskov e da Aleksandr Kuprin.
Sul suicidio della Kadmina furono anche scritti due lavori teatrali, portati
in scena con successo: Evlalia Ramina, di N.N. Solovtsov, e Tatjana
Repina, di Aleksej Suvorin. Come se non bastasse, in un atto unico
di Anton Cechov il fantasma di una suicida, "la dama in nero"
appariva in una chiesa per rovinare il matrimonio del cattivo. Le ragioni
per il suicidio di queste eroine sono varie, ma il metodo, o, meglio,
lambientazione, era comune.
Non so se Ma lamor mio non muore! fosse una lontana eco della
vicenda di Evlalia Kadmina, ma, se così fosse, avrebbe ampiamente
ripagato il suo debito: in Russia, il successo del film della Borelli
rinnovò linteresse per questo tipo di finali e per Evlalia
Kadmina. Dopo il successo riscosso nel 1914 da Hrizantemy, fu prodotto
(sempre dalla Hanzonkov), Tatjana Repina (1915), versione
cinematografica del dramma di Suvorin, e da Posle Smerti (Dopo
la morte), trasposizione di Evgenij Bauer del succitato racconto di Turgenev,
sempre con Vera Karalli, la star di Hrizantemy. Mi piacerebbe sapere
se altre cinematografie possono contribuire a incrementare questa piccola
serie di suicidi in scena. Il solo titolo che riesco a ricordare in questo
momento è litaliano Sangue bleu (1914) diretto da
Nino Oxilia per la Celio Film, in cui Francesca Bertini si pugnala sulla
scena con il coltello adoperato dal suo partner nel loro numero "il
tango della morte". YT
The suicidal ballerina (played by Vera Karalli, the prima ballerina of
the Moscow Imperial Theatre, in a memorable film debut) who graciously
expires in the middle of a ballet solo, before the eyes of her treacherous
lover, might appear to be a spin-off of Lyda Borellis singer who
ends the same way in Borellis own debut film, the 1913 Ma lamor
mio non muore, had she not had a real-life prototype. In 1881 the Russian
actress Evlalia Kadmina poisoned herself on a Kharkhov theatre stage,
having taken, between acts, a makeshift toxin she prepared from sulphur
scratched off the tips of matches. All because she had spotted in the
audience the handsome army heel who had jilted her for a merchants
daughter whom he had the nerve to bring along to see poor Kadmina
act! This event, which made quite a sensation at the time, was given a
second, literary life: first, in Ivan Turgenevs story "Klara
Milich", followed by Nikolai Leskovs "Theatrical Character",
and "The Last Debut", by Aleksandr Kuprin. In addition, two
plays were written and successfully staged in the wake of Kadminas
suicide: Evlalia Ramina, by N.N. Solovtsov, and Tatyana Repina,
by Aleksei Suvorin. And, as if all this were not enough, a one-act sketch
by Anton Chekhov featured the ghost of a suicide "A Lady in
Black" who haunts a church and foils the villains wedding.
The reasons for the suicide of these heroines might vary, but its method
or, rather, setting was common to all.
I cannot say if Ma lamor mio non muore was a distant Italian
ripple of Evlalia Kadminas life story, but if it was, it more than
repaid the debt: the success of Borellis film in Russia spurred
a new interest in this method of ending a film, and Evlalia Kadmina was
again remembered. The 1914 hit Chrysanthemums was followed in 1915
by Tatyana Repina (also produced by Khanzhonkov), a screen version
of Suvorins stage play, and Posle Smerti / After Death, Evgenii
Bauers screen version of Turgenevs story "Klara Milich",
which also featured Vera Karalli, the star of Chrysanthemums. I
gladly welcome hearing about any international additions to this little
collection of stage suicides. The only one I can presently remember is
Sangue Bleu (Italy, 1914, Celio-Film, directed by Nino Oxilia),
in which Francesca Bertini stabs herself on the stage using the knife
which serves as a prop to her partner in their apache dance routine.
YT
PIKOVAYA DAMA/ [LA DONNA DI PICCHE]
/ [THE QUEEN OF SPADES] (Yermoliev, 1916)
Dir.: Yakov Protazanov; asst. dir.: Georgii Azagarov; sc.:
Yakov Protazanov, Fedor Ozep, adapted from the novelette by Alexander
Pushkin; des.: Vladimir Ballyuzek, Sergei Lilienberg, W. Przybytniewski;
ph.: Evgenii Slavinskii, [Fedote Burgassov, Nikolai Toporkov];
cast: Ivan Mozhukhin, Vera Orlova, Elizaveta Shebueva, Nikolai
Panov, Tamara Duvan, Polikarp Pavlov; released: 19.4.1916.; orig.
length: 2300m.; 35mm, 1176m., c. 57 (18 fps), Gosfilmofond.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Per i russi, il titolo La donna di picche è
indissolubilmente associato al sottile e autoironico racconto di Aleksandr
Puskin più che allaltisonante opera scritta da Caikovskij
mezzo secolo dopo (1890). O almeno così dovrebbe essere. Tale è
il messaggio che il film di Protazanov trasmette allo spettatore russo
"colto". (In Russia quella di "cultura" è una
nozione che ha legami più forti con la letteratura che con lopera.)
Nel 1910Petr Cardynin aveva già diretto una versione cinematografica
di La donna di picche, ma si trattava in realtà di unopera-senza-canto
in un rullo solo, con la gente che indossava parrucche incipriate (loriginale
di Puskin fu scritto ed ambientato nel XIX secolo) e con altri assurdi
cambiamenti che il librettista, Modest Caikovskij, fratello del compositore,
aveva impudentemente imposto per rendere Puskin più teatrale (per
esempio, Liza si suicida gettandosi nel fiume).
La versione di Protazanov non solo si attiene anche nei dettagli alla
vicenda narrata da Puskin, ma è anche visivamente fedele a unedizione
del racconto pubblicata alcuni anni prima del film e corredata di illustrazioni,
meravigliosamente stilizzate, di Alexandre Benois, un artista russo allepoca
molto in voga (che aveva anche collaborato con Diaghilev per i Ballets
Russes e che, una decina di anni dopo, esule a Parigi e a corto di denaro,
avrebbe accettato di disegnare per Gance i bozzetti di Napoléon).
Protazanov ripropone, come messinscena e luci, varie soluzioni visive
di Benois, e ciò è confermato anche da una brochure con
immagini dal film fatta stampare da Ermolev come souvenir per la
prima del film. (Va detto, per inciso, che pur con tutti i suoi discorsi
sullautenticità, neanche Protazanov seppe resistere alla
tentazione di inserire un paio di effetti "cinematografici",
come nella scena della follia del giocatore, durante la quale mi permetto
di suggerire agli aracnofobi presenti di distogliere lo sguardo).
Il film, una cosiddetta pellicola "di monopolio", era stato
concepito non tanto per motivi commerciali quanto per il prestigio culturale
che avrebbe dato agli studi Ermolev. Protazanov mirava a surclassare
stilisticamente Bauer, di qui gli arditi movimenti della macchina da presa
(si noti la carrellata indietro poco prima del finale, mentre Mozzuhin
si avvicina al tavolo da gioco, il volto fatalmente immobile), le ancor
più ardite posizioni della macchina (occhio a Mozzuhin sotto una
finestra dalla quale la giovane da lui corteggiata lo sta a guardare)
e vari effetti di controluce. YT
Ero molto preoccupata mentre mi preparavo al ruolo di Liza ne La donna
di picche. Il lavoro era davvero importante anche se, in verità,
la mia parte nella sceneggiatura era stata fortemente accorciata. Comunque
io la recitavo con trepidazione. Il destino romantico di Lisa incantava
la mia fantasia. E come lavorava I. I. Mozzuhin-German! In modo estremamente
creativo, pieno, con abnegazione e senza mai stancarsi, riflettendo su
ogni gesto, su ogni movimento del capo e del corpo. In lui non vi era
nulla di superfluo, o di casuale! Era un esempio per tutto il gruppo.
Vera Orlova, Dalekoe prosloe (Un lontano passato), 1946
(Testimoni silenziosi: film russi 1908-1919, p. 353, Pordenone,
Le Giornate del Cinema Muto, 1989).
To a Russian, the title "The Queen of Spades"
is forever associated with the subtle, self-conscious, and self-ironic
story by Alexander Pushkin more than with the bombastic 1890 opera
version by Tchaikovsky written half a century later. At least, it should
be. This is the message that Protazanovs film sends to the "cultured"
Russian viewer in Russia "culture" is a notion with stronger
bonds to literature than opera. There had been another, earlier film of
The Queen of Spades, made by Piotr Chardynin in 1910, that was,
in effect, a 1-reel opera-minus-singing, with people wearing powdered
wigs (Pushkins original is a 19th-century story set in the 19th
century) and other senseless distortions that the operas librettist,
the composers brother Modest Tchaikovsky, brazenly imposed in order
to make Pushkin stagier (such as making Liza commit suicide by jumping
into the river, for instance).
Protazanovs film version not only keeps to the story and details
of Pushkins original prose, it is also faithful visually to one
specific edition of Pushkins story that appeared a few years before
the film, with wonderfully stylized illustrations by Alexandre Benois,
a Russian artist very much in vogue at the time, who at one time also
designed for Diaghilevs Ballets Russes. (Some ten years later this
same Benois, now a Russian émigré in Paris in need
of extra cash, agreed to collaborate in designing the sets for Abel Gances
Napoléon.) The film replicates, by staging and lighting,
Benoiss visual treatment of several scenes. This is also confirmed
by a souvenir booklet with frame stills produced by Yermoliev for the
films opening night. (It must be added, in brackets, that, for all
his talk about authenticity, Protazanov himself could not resist tipping
a scene or two towards "cinematic" effects as in the
scene of the gamblers madness, during which I advise arachnophobes
in the audience to look away!)
The film a so-called "monopoly" picture was definitely
conceived more for the Yermoliev studios cultural prestige rather
than commercial profit. Protazanov aimed at out-Bauering Bauer in terms
of style, and the film boasts bold camera movements (note the dolly-out
shot close to the end of the film, as Mozhukhin approaches the gaming
table, his face fatally immobile), still bolder camera set-ups (watch
out for a glimpse of Mozhukhin under an upper window, through which the
young lady he is courting is watching him), and quite a few silhouette
effects. YT
I was excited beyond all measure when preparing to play Liza in The
Queen of Spades. It really was a major task. And although, admittedly,
the scenario cut the role down a great deal, I still acted it with trepidation.
Lizas romantic fate captivated my imagination. And the work Ivan
Mozhukhin put into his Guermann! He was infinitely creative, totally involved,
a tireless zealot, thinking out every gesture, every turn of the head,
every movement of his body there was nothing superfluous or accidental!
He set an example for the entire group. Vera Orlova, Dalekoe
proshloe (The Distant Past), 1946 (Silent Witnesses. Russian Films
1908-1919 [Pordenone: Le Giornate del Cinema Muto], 1989, p.354).
SATANA LIKUYUSHCHII / [SATANA TRIONFANTE]
/ [SATAN TRIUMPHANT](Yermoliev, 1917)
Dir.: Yakov Protazanov; sc.: Olga Blazhevich, Ivan Mozhukhin,
Alexander Volkov, Yakov Protazanov; ph.: Fedor Burgasov & Nikolai
Toporkov; cast: Ivan Mozhukhin, Natalia Lissenko, Polikarp Pavlov,
Aleksandr Chabrov, Vera Orlova, Nekrasov; released: 17 & 21.10.1917;
orig. length: 3683m.; 35mm, Gosfilmofond.
Un titolo simile sarebbe stato impensabile per un film
russo prima della rivoluzione di febbraio del 1917, quando furono aboliti
tutti i tipi di censura, compresa la sezione del Sinodo che controllava
il rispetto verso la religione dei film. Questo spiega almeno in parte
leccitante novità di poter vedere Mozzuhin nel ruolo
di un ministro del culto indotto da Satana (che, quando non è attivo,
abita in un dipinto improvvidamente acquistato dallascetico pastore)
a sedurre la sorella della sua defunta moglie. La provenienza del diavolo
da un quadro è tipica della tradizione russa, come conferma il
racconto ottocentesco di Gogol Il ritratto e la sua versione
cinematografica del 1915 di Wladyslaw Starewicz. Invece lambientazione
in un villaggio scandinavo non meglio precisato si spiega come
acutamente osserva il critico della Teatralnaija Gazeta (n.
43, 1917) con il debole del pubblico russo (e della sceneggiatrice)
per l"ibsenismo". (A proposito, il film fu bandito dalla
censura svedese nel 1919 per le allusioni erotiche e forse anche perché
il ministro peccatore interpretato da Mozzuhin sembra un po svedese!)
La parte era stata chiaramente scritta Mozzuhin, dato che sia il severo
fanatismo sia un certo tocco satanico erano diventati il marchio di fabbrica
della star durante gli anni con Ermolev (qui il tutto è intensificato
dal trucco, che sottolinea suo il naso aquilino rendendo le guance cave
e lo sguardo più dacciaio). Si noti, nella seconda parte,
la simmetria calcolata delle pose e dei gesti di Mozzuhin (ora nel ruolo
del figlio nato dallunione peccaminosa della prima parte) e di Satana
(alla sua seconda apparizione) nel momento in cui suggellano il loro patto:
tutto il gioco del doppio è rafforzato dalla ripresa davanti a
uno specchio. Da non perdere inoltre il tour-de-force
di Satana nella prima parte, quando il sinistro ritratto si stacca dal
muro e fluttua verso la cinepresa, nascondendo alla nostra vista labbraccio
appassionato tra il pastore vedovo e la cognata.
P.S. Gli spettatori che ricordano La Passion de Jeanne dArc
di Dreyer riconosceranno forse leccellente Polikarp Pavlov (o Pavlo,
come il suo nome sarebbe apparso nei credits dei film girati in esilio)
nel ruolo del marito storpio, il pittore (nel film di Dreyer è
uno dei carcerieri che torturano Giovanna dArco, ma la sua partecipazione
non è accreditata). YT
Such a title was unthinkable for a Russian movie before
February 1917 the moment when, as a result of the anti-monarchist
revolution, all kinds of censorship was abolished, including the body
within the Synod responsible for the "piety" of films. This
at least in part explains the exciting novelty of seeing
Mozhukhin playing an ascetic priest coaxed by Satan (residing, in periods
of inactivity, in a painting that the priest had unwittingly acquired)
into seducing his late wifes sister. That the Devil should appear
from a picture is very much in the Russian tradition, since that is where
he comes from in Gogols 19th-century short story "The
Portrait", and in its 1915 screen version by Wladyslaw Starewicz.
But that the whole story is set in a nondescript Scandinavian village
is explained (as the reviewer writing for the Teatralnaya Gazeta
[1917, No. 43] shrewdly observes) by the Russian
publics (and the screenwriters) weakness for "Ibsenism".
(The film, by the way, was banned by Swedish censors in 1919 because of
its erotic innuendoes, and also perhaps because Mozhukhins fallen
minister looks a little Swedish!)
The part was clearly written for Mozhukhin,
for both stern fanaticism and a touch of Satanism became very much this
stars trademark traits in his Yermoliev period. (Here it is intensified
by the make-up that highlights the aquiline line of his nose, making his
cheeks shallow and his eyes steelier.) Note in Part 2 the calculated symmetry
of poses and gestures by Mozhukhin (now in the role of the son born from
the sinful union of Part 1) and Satan (the second apparition) at the moment
they close the pact: the whole doppelgänger business is redoubled
by its being shot in front of a mirror. And do not miss the Satanic
tour-de-force in Part 1, when the ominous portrait detaches itself
from the wall and floats towards the camera, shielding from us the passionate
embrace which locks the widowed priest and his wifes sister.
P.S. People who remember Dreyers Passion of Joan of Arc
will perhaps recognize the wonderful Polikarp Pavlov (or Pavlo, as later
émigré credits would spell his name) in the role
of the crippled husband, the painter he is one of the uncredited
jailers who torture Joan in Dreyers film. YT
KULISSI EKRANA
/ RAZBITA ZHIZN BEZZHALOSTNOI SUDBOI / [DIETRO LO SCHERMO
/ UNA VITA DISTRUTTA DAL CRUDELE DESTINO ] / [BEHIND THE SCREEN / A LIFE
DESTROYED BY PITILESS FATE] . (Yermoliev,
1917)
Dirs./sc.: Alexander Volkov, Georgii Azagarov; ph.:
Nikolai Toporkov; cast: Ivan Mozhukhin, Natalia Lissenko, Nikolai
Panov, V. Lirski, Iona Talanov, Alexander Volkov, Andrei Brei; released:
28.11.1917; orig. length: 2255m.; 35mm, frammento/fragment,
250m., 12 (18 fps), Gosfilmofond.
Versione originale restaurata, con didascalie in russo / Restored version,
with Russian intertitles.
Mozzuhin interpreta se stesso (come fanno gli
altri personaggi) in questo dietro le quinte immaginario, ma la storia
che viene raccontata sembra essere uno scherzo crudele concepito allo
scopo di far inorridire i tanti fan dellartista. Non pare però
che la trovata abbia funzionato: il film uscì un mese dopo la rivoluzione
dottobre, un evento che, essendo qualcosa di più di una fiction
sia pur spaventosa, deve averlo fatto passare inosservato (noi per lo
meno, sulla stampa del 1917, non abbiamo trovato né recensioni
né sinossi di Kulisy ekrana).
È fondamentale che il pubblico delle Giornate abbia presente il
soggetto quando vede il film: è infatti piuttosto difficile da
seguire considerato che ne è sopravvissuto solo un frammento.
Il copione manda "Mozzuhin" al fronte (il vero Mozzuhin non
fu mai chiamato sotto le armi), dove perde un braccio. Il frammento conservatosi
inizia quando il divo, privo del braccio, torna allo studio e viene calorosamente
accolto dalla sua partner, "Natalija Lissenko". (Il tutto si
svolge nel vero studio Ermolev di Mosca. Ledificio si è
conservato fino al giugno 2003, quando lo staff del Museo del Cinema di
Mosca ha malinconicamente assistito alla sua demolizione, decisa per motivi
commerciali.) Allorché lattore si avvicina alla porta del
suo camerino, lo cogliamo in un penoso primo piano mentre guarda (gli
spettatori che non leggono il russo lo ricordino!) la targhetta dalla
quale il suo nome è stato cancellato e sostituito con quello di
un altro (vero) attore, "Lirskij". Mentre entra nel camerino,
due compassionevoli colleghi lo guardano senza darlo a vedere: per me
sono il regista e lo sceneggiatore di un film in lavorazione. Dentro Mozzuhin
si trova di fronte ai fantasmi di se stesso: luniforme indossata
in Pikovaja dama e diverse foto, tra cui una da Satana likujuscij
(Satana trionfante).
Mi affretto ad aggiungere che cè un lieto fine (come si può
dedurre da uninquadratura che pare appartenere al finale
del film in cui vediamo Mozzuhin provare con la Lissenko, ma non
è chiaro che soluzione abbiano trovato allo studio per reintegrare
nella sua vecchia professione un "Mozzuhin" con un braccio solo.
Se fosse un film fatto in anni successivi da Vertov o da Kulesov, ipotizzerei
un ricorso da parte del "regista" del film nel film ai trucchi
del montaggio per rimpiazzare il braccio mancante di "Mozzuhin",
ma mi rendo conto che siamo nel 1917 e che è ancora troppo presto
per pensare a una soluzione simile! Forse la sceneggiatura del film nel
film venne riscritta e adattata allattore, o forse lamore
degli spettatori russi per il suo eroe era tale da indurre Ermolev
a concludere che a loro non importava che "Mozzuhin" avesse
due braccia o uno solo: ciò che contava è che fosse tornato,
e tornato vivo. YT
Mozhukhin plays himself (as do the other characters)
in this backstage studio fantasy, but the story it tells looks like a
cruel practical joke leveled at his many fans, attempting to scare them
to death. This apparently did not quite work: the film was released a
month after the October Revolution, an event which more than a
fictional scare must have made its release pass unnoticed (at least,
we do not find any reviews or synopses of Behind the Screen in
the 1917 press).
It is essential for Giornate audiences watching this film to keep its
story at the back of their minds, as only a fragment of the film survives,
making it quite hard to understand.
The script sends "Mozhukhin" to the front (the real Mozhukhin
was never drafted), where he loses an arm. The surviving fragment begins
when the one-armed movie star returns to his studio, where he is warmly
welcomed by his co-star "Natalia Lissenko". (The setting is
the real Yermoliev studio in Moscow. The building survived until June
2003, when its commercially motivated demolition was witnessed by the
saddened staff of the Moscow Film Museum.) But when the star approaches
the door of his dressing room, we see him in a heart-rending close-up,
as he sees (non-Russian-reading viewers, please note!) his name crossed
out on the doors plaque, superseded by the name of another (real-life)
actor, "Lirski". (As Mozhukhin enters his old dressing room,
note two compassionate colleagues unobtrusively watching him, whom I take
to be playing the roles of the director and the screenwriter of a film
currently in production.) There he is confronted by multiple ghosts of
his former self: a uniform he wore in The Queen of Spades, and
various stills, including one from Satan Triumphant. I hasten to
add that the story ends happily (as we can guess from a shot of him and
Lissenko rehearsing, which apparently comes from the films ending),
but it is unclear what solution the studio people found for a one-armed
"Mozhukhin" to be successfully reinstated in his former profession.
If this film were made by Vertov or Kuleshov several years later, my guess
would be that the onscreen "director" decided to use editing
tricks to body-double "Mozhukhins" missing arm, but I
agree that this kind of thinking is too early for 1917. Probably either
the script of the film-within-a-film was rewritten to adapt it to the
actor, or the love of Russian filmgoers for their hero was such that Yermoliev
decided it would not really matter to them whether "Mozhukhin"
had two arms, or one the main thing was that he was home, and alive.
YT
OTETS SERGII / KNIAZ KASATSKII
/ PADRE SERGIO / [IL PRINCIPE KASATSKIJ] / [FATHER SERGIUS / PRINCE KASATSKI]
(Yermoliev, 1918)
Dir.: Yakov Protazanov; sc.: Alexander Volkov,
adapted from the novelette by Lev Tolstoy; ph.: Fedote Burgassov
& Nikolai Rudakov; des.: Vladimir Balliuzek & Alexander
Loshakov; cost.: V. Vorobev; make-up: A. Shargalina;
cast: Ivan Mozhukhin, Natalia Lissenko, Vera Dzheneieva, Vladimir
Gaidarov, Olga Kondorova, Nikolai Panov, Vera Orlova, Iona Talanov, Petr
Baksheev, Polikarp Pavolv, Nikolai Rimskii; released: 14.5.1918;
orig. length: 1920m.; 35mm, 2190m., 106 (18 fps), Finnish
Film Archive / Suomen elokuva-arkisto; versione ricostruita nel 1973 con
note introduttive / 1973 Kosmos-Filmi reconstructed version, preceded
by introductory notes.
Didascalie in russo, finlandese e svedese / Russian, Finnish, &
Swedish intertitles.
È difficile immaginare un personaggio più
distante dal suo interprete di quello che Mozzuhin impersona in Otec
Sergij (Padre Sergio) e ciò sia in ragione delletà
sia per il suo deliberato proposito di non cedere alle lusinghe del gentil
sesso. Così come laveva immaginata il suo autore, la vita
del principe Kasatskij, il brillante ufficiale del racconto di Lev Tolstoj
su cui si basa il film, è contrassegnata tanto dallascesa
spirituale quanto dal suo scivolare lungo la china delle tentazioni carnali
e dei valori mondani. Ogni tappa di questo duplice percorso ha un catalizzatore:
una donna. Allinizio cè unoscura storia damore
a corte che vede coinvolto lo zar stesso e in seguito alla quale il disilluso
principe di Tolstoj (e di Mozzuhin) diventa monaco con il nome di padre
Sergio. Le sue tentazioni, però, non finiscono qui. Prima cè
una donna dissoluta che scommette di riuscire a sedurre il monaco (non
vi rivelerò il metodo con cui le viene fatto capire che le sue
avance non sono gradite!), poi cè una ragazza mentalmente
disturbata ai cui occhi vogliosi nemmeno padre Sergio è capace
resistere. Alla fine, egli rinuncia ai voti e, divenuto un vecchio mendicante,
se ne va in giro a predicare finché non viene deportato in Siberia
in base alla legge sul vagabondaggio. Niente di quanto ci mostra questo
film del 1918 (tranne forse le scene di sesso) si sarebbe potuto vedere
sullo schermo solo un anno prima (in questo senso ma solo in questo
Otec Sergij assomiglia a Satana likujuscij [Satana
trionfante]), dato che la censura sinodale in vigore fino al febbraio
del 1917 era molto severa sui temi e sugli oggetti religiosi e i membri
del clero dovevano tenersi alla larga dal temibile mezzo cinematografico.
Non era permesso riprendere gli interni delle chiese, i preti potevano
comparire solo nei cinegiornali e non era possibile che gli zar successivi
a Caterina la Grande (il XVIII secolo era ritenuto storicamente abbastanza
lontano) venissero impersonati da attori. In questo senso Otec Sergij
fu considerato un film rivoluzionario. Daltro canto, il reverenziale
rispetto dimostrato per lopera di un grande scrittore e lassegnamento
che viene fatto sul grande protagonista, rendono Otec Sergij la
quintessenza del film pre-rivoluzionario, oltre che un tipico prodotto
protazanoviano: un film di qualità frenato un poco dalle sue stesse
qualità. Mozzuhin è profondo ed introverso come sempre,
ma qui la sua bravura non sta nella sua rappresentazione del personaggio,
bensì nella sua capacità di interpretarlo ad ogni età,
dai 18 agli 80 anni. Le recensioni concordano: un buon lavoro.YT
It is hard to imagine a character further removed
from its player than the one played by Mozhukhin in this film both
in terms of his age and in his self-inflicted refusal to yield to the
charms of the opposite sex. As its author conceived it, the life of Prince
Kasatski, the dapper cuirassier hero of Leo Tolstoys story
on which this film is based, is as marked by spiritual ascent as it is
by his downward slide on the slippery slope of worldly values and temptations
of the flesh. For each stage of this dual movement there is a catalyst
a woman. At the beginning, there is an obscure love affair at court,
in which the Tsar himself is rumored to have been involved, as a result
of which Tolstoys (and Mozhukhins) disillusioned prince becomes
the monk Father Sergius. His temptations do not end there. First, there
is a libertine woman who makes a bet she can seduce a monk (I wont
give away the monks method of showing her that her advances are
unwanted!). Then there is a mentally ill girl, whose lewd eyes not even
Father Sergius is able to resist. As his next step, he renounces his monastic
vows, and now an old man becomes a pauper and itinerant
do-gooder, who is eventually sent to Siberia, in accord with vagabond
law. Nothing this film shows (except, perhaps, its sexual scenes) could
have been shown a year or so before its release in 1918 (and in this
but only in this sense Father Sergius is similar to Satan
Triumphant), as the Synod censorship in force until February 1917 was
very adamant about religious themes, religious objects, and members of
the clergy being kept away from the redoubtable medium of cinema. The
interiors of churches were not allowed to be shown, priests were only
allowed to appear in newsreels, and there was no way, of course, for Tsars
after Catherine the Great (the 18th century was considered a safe-enough
historical distance) to be impersonated by actors. In this sense Father
Sergius was seen as a revolutionary film. On the other hand, its reverence
for the work of a great author, and its reliance on a great star, make
Father Sergius a quintessentially pre-Revolutionary movie, as well
as typical Protazanov a quality film whose very quality makes it
a little slow.
Mozhukhin himself is as deep and introverted as ever, but his skill in
this role is not in the depiction of the character, but in his ability
to play him at all ages, from 18 to 80. The reviews agree he did it well.YT
CHLEN PARLAMENTA / MORFII / TEN LORDA SHILKOTTA
/ PARAISOS ARTIFICIALES / LORD CHILCOTT / [THE PARLIAMENTARIAN / MORPHIA
/ LORD CHILCOTTS SHADOW](Yermoliev, Crimea, 1919-20?)
Scheda aggiornata dopo la presentazione
del film a Sacile (12 ottobre 2003) e l'identificazione della fonte del
soggetto da parte di Michael Walker
/ Credits and programme notes revised subsequent
to the screening of the film in Sacile (12 October 2003) and identification
of the literary source by Michael Walker
Dir.: Yakov Protazanov; sc.: A. Litvinov (?), dal romanzo
di / from the novel by Katherine Cecil Thurston,
The Masquerader (1904); ph.: Boris Zaveliev; des.:
Alexander Loshakov; cast: Ivan Mozhukhin, Natalia Lissenko; 35mm,
1600m., tinted (extensive dye degeneration), Cineteca Nazionale,
Roma.
Didascalie spagnole / Spanish intertitles.
La storia di questa produzione Ermolev è
stata oscurata per sempre in conseguenza della rivoluzione dottobre.
Sia A. Garri (Mozzuhin, Mosca, 1927) sia Jean Arroy (Ivan Mosjoukine,
Parigi, 1927) sostengono che il film fu realizzato negli studi moscoviti
di Ermolev poco prima della rivoluzione. Arroy, che era in stretto
contatto con Mozzuhin, Protazanov ed il resto del contingente Ermolev
in esilio, convalida la sua affermazione pubblicando una foto la cui didascalia
dice che era questo uno dei primi film in cui Mozzuhin interpretava due
parti. Jean Mitry (Ivan Mosjoukine, Parigi, 1960), che pure aveva
avuto rapporti diretti con gli esuli, fa risalire il film al 1916. Ma
notizie più fondate sulle origini della pellicola sembrano trovarsi
in un articolo del giornale di Rostov sul Don, Zizn (Vita)
del 20 agosto 1919, dove si legge che il film era in preparazione a Jalta
e che Ermolev si era recato a Parigi ad acquistare la necessaria
pellicola vergine.
Sembrerebbe dunque trattarsi di una delle produzioni realizzate in Crimea
nel 1919-20 che Ermolev si portò dietro quando andò
in esilio in Francia. Posto che le cose stiano così, egli comunque
non riuscì a far distribuire il film in quel paese. Chlen Parlamenta
riapparve solo nel 1923, il 7 gennaio, quando uscì nelle sale
dellUnione Sovietica con il titolo di Morphii. La vendita
in URSS non deve sorprendere: i russi non avevano perso il loro entusiasmo
per Mozzuhin e nel primo periodo della NEP, la nuova politica economica,
si erano precipitati a comperare le sue produzioni francesi. Logicamente,
i distributori sovietici, che sapessero o meno la verità, furono
ben felici di far passare Chlen parlamenta come una nuova pellicola
francese anziché ammettere di aver riacquistato un film nazionale
vecchio di tre anni.
Nel gennaio del 1923 il film uscì a Berlino e nel giugno dello
stesso anni in Italia, dove venne ribattezzato Lord Chilcott dal
nome del personaggio principale (Vittorio Martinelli cita una recensione
a firma di Alberto Bruno su Il Roma della domenica, Napoli, 28
luglio 1924). La pellicola devessere stata distribuita anche in
Spagna, considerato che la copia conservatasi ha le didascalie in spagnolo
ed è intitolata da Baudelaire Paraisos artificiales.
Allalone di mistero che circonda Chlen parlamenta, contribuisce
il fatto che il film non appare in nessuna filmografia di Jakov Protazanov,
benché gli sia attribuito nella filmografia in cui V. Visnevskij
elenca le produzioni di società private realizzate tra il 1918
ed il 1921.
Il soggetto tratto dal romanzo di Katherine Cecil Thurston The
Masquerader (1904) riguarda un parlamentare inglese, Lord
Albert Chilcott, morfinomane, che perde la sua abilità politica
e tradisce la moglie con lammaliante Lady Gladys Astrop. Una notte,
mentre sta cercando di procurarsi la droga, incontra uno straccione, John
Loder, che ha le sue stesse sembianze, ed allora concepisce un piano per
farsi sostituire da lui. Dopo un po di prove, Loder si rivela un
politico ed un marito migliore di Chilcott. Lultimo tentativo da
parte di questi di riassumere il proprio ruolo sarà fallimentare.
Loder lo sostituisce ancora una volta ma, volendo chiarire la sua posizione
con Lady Chilcott, della quale si è innamorato, la porta in un
misero appartamento dove trovano il vero Chilcott abbrutito dalla droga.
Che Chlen parlamenta non abbia circolato, come pare, in Francia
si può spiegare con il soggetto melodramma, che nella Parigi del
dopoguerra devessere sembrato troppo datato. Inoltre, Mozzuhin non
è certo al suo meglio: forse perché il testo non lo convinceva
o forse per le invitabili tentazioni cui un attore è soggetto quando
interpreta un tossicomane, egli istrioneggia spesso in maniera insopportabile.
Nondimeno, le doppie esposizioni sono ammirevoli e, visivamente, lattore
sa gestire con notevole abilità ed intelligenza il rapporto tra
i suoi due personaggi. Il film trae poi nuova forza dalla scena della
rivelazione finale, abilmente diretta e recitata. Nella sua recensione
su Il Roma della domenica, il succitato Alberto stabiliva dei paragoni
con Luigi Pirandello nei cui lavori "il paradosso si accoppia alloriginalità"
e si spingeva a definire Mozzuhin "il Pirandello cinematografico":
un curioso "pre-déjà vu", come ha detto Yuri Tsivian
"del Fu Mattia Pascal. DR
Film preservato nel 1995 a cura del Centro Sperimentale
di Cinematografia - Cineteca Nazionale a partire da un positivo depoca
con imbibizioni e con viraggi, in qualche caso caratterizzati da solarizzazione.
Per questi ultimi è stata scelta una riproduzione su dupe negativo
colore, mentre il resto del film (imbibizioni e alcuni viraggi) è
stato duplicato con il sistema Desmet.
The record of Yermolievs production Chlen
Parlamenta has been permanently obfuscated by the aftermath of the
1917 Revolution. Both A. Garri (Mozhukhin, Moscow, 1927) and Jean
Arroy (Ivan Mosjoukine, Paris, 1927) suggest that the film was
made at Yermolievs Moscow studios shortly before the Revolution.
Arroy who was in close contact with Mozhukhin, Protazanov, and
the rest of the exiled Yermoliev contingent consolidates his assertion
by reproducing a still, with a caption confirming that this was one of
the first films in which Mozhukhin played a dual role. Jean Mitry (Ivan
Mosjoukine, Paris, 1969) notoriously unreliable but nevertheless
also deriving his information from the Russian exiles dates the
film to 1916. However, more concrete evidence of its origins appears to
be provided by an article in a Rostov-on-Don newspaper, Zhizn (Life;
20 August 1919), which reports that the film is in preparation in Yalta,
and that Yermoliev has travelled to Paris to obtain the necessary raw
film stock.
Thus it would appear to be one of the 1919-20 Crimean productions which
Yermoliev took with him into exile in France. If so, however, he appears
never to have succeeded in releasing it there; the film did not reappear
until 1923, when, on 7 January, it was released in the Soviet Union under
the title Morphii (Morphia). The sale to the USSR at this time
is hardly surprising: Russians had lost none of their enthusiasm for Mozhukhin,
and in the early period of NEP, the state distribution organisation, they
eagerly bought his French productions. Clearly the Soviet distributors
whether knowingly or not were happy to accept Chlen
Parlamenta as a new French release, rather than admit they were buying
back a 3-year-old domestic production.
The film was released in Berlin in January 1923, and in Italy, under the
title Lord Chilcott (from the name of the principal character),
in June 1923: Vittorio Martinelli cites a review of the film by Alberto
Bruno in Il Roma della Domenica (Naples, 28 July 1924). It must
also have been distributed in Spain, on the evidence of the surviving
print, with its Spanish intertitles and main title of Los Paraisos
Artificiales (taken from Baudelaire).
To add to the mysteries of Chlen Parlamenta, the film appears in
no filmography of Yakov Protazanov, though he is listed in the credits
of the film in V. Vishnevskis filmography of productions by private
companies between 1918 and 1921.
The story adapted from from Katherine Cecil Thurstons The
Masquerader (1904) concerns a British parliamentarian,
Lord Albert Chilcott, wrecked by addiction to morphia, losing his political
gifts, and cheating on his wife with the alluring Lady Gladys Astrop.
One night, while seeking new drug supplies, he meets a shabby man, John
Loder, who is his exact double. Chilcott devises a plan to have Loder
change places with him. After some rehearsal, Loder proves to be a better
politician and a better husband than Chilcott himself. Chilcotts
final attempt to resume his own role proves disastrous. Loder again takes
his place; but wishing to clarify his own position with Lady Chilcott,
with whom he has fallen in love, he takes her to a wretched apartment,
where they find the real Chilcott in the last stages of addiction.
Yermolievs apparent failure to secure a release for Chlen Parlamenta
in France may well be explained by the melodramatic story, which must
have seemed outdated in post-war Paris. Moreover, Mozhukhins performance
shows him far from his best: perhaps from a lack of confidence in the
material or from the perilous temptations in playing a drug addict, he
is frequently guilty of outrageous overacting. Nevertheless, the double
exposures are admirably staged; and Mozhukhin shows enormous skill and
intelligence in establishing the visual relationship between his two characters.
The film also collects new strength in the dénouement, which is
admirably staged and played. Yuri Tsivian cites a Turin review which perceives
comparisons with Pirandello, and even calls Mozhukhin a "cinematic
Pirandello in Tsivians words, "a curious pre-déjà-vu
of his later Feu Mathias Pascal. DR
Da
quanto finora pubblicato in merito ai credits della riedizione del 1923
e dal titolo che compare sulla copia spagnola presentata alle Giornate,
il soggetto di Chlen parlamenta risultava inequivocabilmente ricavato
da un romanzo di William John Locke. Il catalogo del festival si atteneva
a queste informazioni, pur facendo notare che nessuno dei romanzi di Locke
corrispondeva alla trama di Chlen. Dopo la proiezione del film
a Sacile (domenica 12 ottobre), Michael Walker ne ha identificata la fonte:
si tratta del romanzo di Katherine Cecil Thurston, The Masquerader
(1904), il cui testo è leggibile sul sito www.knowledgerush.com.
Il romanzo era stato adattato per il palcoscenico da John Hunter Booth
nel 1917 (la prima newyorkese si tenne il 3 settembre dello stesso anno);
dopo la versione di Mozzuhin, venne portato sullo schermo altre due volte:
nel 1922 da James Young, con Guy Bates Post nel doppio ruolo
di Lord Chilcote e John Loder; nel 1933 da Richard Wallace con Gregg Toland
direttore della fotografia. Il protagonista di questa versione sonora
era Ronald Colman, mentre Lady Chilcote era interpretata da Elissa Landi,
che compose anche l'accompagnamento musicale. In tutte e tre le versioni
i nomi dei personaggi e l'intreccio sono chiaramente gli stessi.
The published credits for the 1923 reissues, as well as the title on the
Spanish print which was shown by the Giornate del Cinema Muto, unequivocally
attribute the story of the film as "from a novel by John William
Locke; and in the catalogue we faithfully followed this, while noting
that no known Locke novel corresponded to the story. Now however Michael
Walker has identified the story as being from Katherine Cecil Thurstons
The Masquerader (1904). There is no doubt of this.
The complete text of the novel can be found as an e-book on www.knowledgerush.com.
The novel was adapted for the stage in 1917 by John Hunter Booth (New
York opening 3 September 1917).
It has twice been filmed, subsequently to the Mozhukhin version, under
the original title of The Masquerader. A silent version in
1922 was directed by James Young and starred Guy Bates Post in the dual
role of Lord Chilcote and John Loder. A sound version in 1933 was
directed by Richard Wallace, photographed by Gregg Toland, and starred
Ronald Colman. The character names and story are recognisably the
same in all three versions. Lady Chilcote was played by Elissa Landi,
who also composed the incidental music.
LANGOISSANTE
AVENTURE / L'AVVENTURA ANGOSCIOSA (Ermolieff-Cinéma,
F 1920)
Dir.: Jacob Protazanov; sc.: Ivan Mosjoukine & Jacob Protazanov;
ph.: Paul Guichard [+ Nicolas Toporkov & Fedote Bourgassoff ?];
art dir.: Alexandre Lochakoff; cast: Ivan Mosjoukine, Nathalie
Lissenko, Valentine Dark, Alexandre Colas, Rivory, Edouard Hardoux; released:
19.11.1920; 35mm, 1673m., 82 (18 fps), Cinémathèque
Française.
Didascalie in francese e in inglese / French and English intertitles.
Vuole la leggenda (cui Jean Mitry ha fatto da levatrice)
che LAngoissante Aventure, la prima produzione cinematografica
degli esuli russi in Francia, sia stato girato in circostanze singolarmente
perigliose che darebbero al titolo un duplice significato. Scriveva Mitry
nella sua monografia del 1969 su Mosjoukine: "Trattenuti per diverse
settimane in Turchia [durante la fuga dalla Crimea alla Francia via Costantinopoli],
Mosjoukine, Protazanov e Volkov concepirono un soggetto basato su una
serata trascorsa al circo. Ne girarono una parte nello stesso circo di
Istanbul, unaltra a bordo del cargo passeggeri che li trasportava
in Francia. Ad Atene e Marsiglia, le successive tappe del viaggio, furono
ambientate altre sequenze che venivano improvvisate di volta in volta.
Ultimato a Parigi, il film, diretto da Protazanov (con Mosjoukine, la
Lissenko, Vera Orlova, Rimsky, Koline e Volkov [sic]), uscì nellottobre
del 1919 [sic] con il titolo di LAngoissante Aventure".
Purtroppo nella pellicola cè ben poco che possa avvalorare
questi retroscena. Effettivamente ci sono alcune riprese di Mosjoukine
e della Lissenko a Costantinopoli (forse girate per un altro film mai
completato, o forse come semplice souvenir di quel soggiorno), ma lintera
vicenda è ambientata in Francia, soprattutto a Marsiglia e dintorni
(dove la troupe di Ermolieff sbarcò nella primavera del 20)
e nello studio Pathé di Montreuil-sur-Bois. Mitry si sbaglia anche
per quanto concerne il cast: a parte Mosjoukine e la Lissenko (e forse
linterprete che si nasconde dietro lo pseudonimo di "Valentine
Dark"), gli attori non protagonisti sono tutti di pura estrazione
gallica. Inoltre lo studioso, che evidentemente scrive basandosi solo
sui propri ricordi, riferisce in maniera errata anche gran parte dei particolari
della trama, per quanto a un certo punto ci sia unessenziale scena
circense (palesemente girata in studio, però). Mosjoukine non interpreta
un "uomo felicemente sposato che si innamora di una funambola",
ma un giovane scapolo francese di sangue blu che scappa di casa con una
ballerina del varietà e viene diseredato dal padre indignato.
Film minore, sulla scia quelli realizzati da Ermolieff in Russia e in
Crimea, LAngoissante Aventure rivela un Protazanov a tratti
eccentrico. Non mancano piacevolezza compositiva e giocosità pittorica
(liniziale festa in giardino, con i giovani ospiti non sposati di
entrambi i sessi che si confrontano lungo una balaustrata curvilinea;
la gag visiva dello specchio sul balcone di un hotel affacciato su Place
de la Concorde), ma nel complesso il regista non è al suo meglio
come inventività. In Francia egli avrebbe diretto in rapida successione
altre quattro pellicole, fra cui unultima collaborazione con Mosjoukine,
prima di rientrare in Unione Sovietica facendo tappa in Germania.
Per Mosjoukine il film fu un biglietto da visita per accreditarsi presso
un pubblico che praticamente non lo aveva mai sentito nominare. Nellestate
del 1920, quasi per preparare le platee allinvasione imminente,
erano uscite in Francia quattro produzioni russe antecedenti la rivoluzione
bolscevica (distribuite, guarda caso, dalla Gaumont, la principale rivale
della casa che aveva accolto Ermolieff, la Pathé): fra queste,
ce nerano due fatte su misura per Mosjoukine, in particolare Pikovaja
dama (La donna di picche; 1916), di cui, in LAngoissante
Aventure, si può vedere la locandina inglese in una delle scene
ambientate nello studio cinematografico! Anche se i recensori rimasero
impressionati dal livello tecnico e narrativo di queste opere, molti trovarono
ripugnante la morbosità delle vicende narrate. Queste critiche
furono di sicuro notate da Ermolieff, Protazanov e Mosjoukine, che appiccicarono
un lieto fine alla loro cupa storia ricorrendo al solito vetusto colpo
di scena dell"È stato tutto un sogno".
Scrivendo nel 1927 una monografia su Mosjoukine, il giornalista Jean Arroy
riassumeva così la rilevanza del film: "Avete visto al cinema
quella strana storia intitolata "LAngoissante Aventure"?
Una vera sferzata di nervosa espressività che ha steso tutti noi,
stupidi latini dai sensi infiacchiti. Mosjoukine sapeva essere di volta
in volta allegro, affascinante, tenero, sarcastico, patetico, drammatico,
orripilato, brutale, disperante. Un superbo arcobaleno di emozioni!"
LB
Legend (with Jean Mitry as its midwife) has it that
LAngoissante aventure, the first real Russian émigré
production in France, was made in unusual peripatetic circumstances that
gives its title a double significance. As Mitry describes it in his 1969
monograph on Mosjoukine: "Held up in Turkey for several weeks [during
their flight from the Crimea to France via Constantinople], Mosjoukine,
Protazanov, and Volkov came up with a suitable story idea based on a evening
out at the circus. They shot part of it in Stamboul at this same circus,
another on board a passenger cargo ship taking them to France. The stopovers
in Athens and Marseilles were used as backdrops for other sequences improvised
on a day-to-day basis. Completed in Paris, the film, directed by Protazanov
(with Mosjoukine, Lissenko, Vera Orlova, Rimsky, Koline, and Volkov [sic]),
was released in October 1919 [sic] as LAngoissante aventure...
Unfortunately, a viewing of LAngoissante aventure hardly
bears out this production backstory. Although there are, indeed, a few
shots of Mosjoukine and Lissenko in Constantinople (possibly made for
another, uncompleted, film or simply as a sort of home-movie souvenir
of their stay), the entire story is set in France, mostly in and around
Marseilles (where Ermolieffs troupe did disembark in the spring
of 1920) and at Pathés disaffected studio in Montreuil-sous-Bois.
Moreover, Mitry gets the cast wrong apart from Mosjoukine and Lissenko
(and probably the pseudonymous "Valentine Dark"), the supporting
cast is of pure Gallic stock. Worse, Mitry (obviously writing from memory)
gets most of the plot details wrong, though there is indeed a late but
pivotal circus scene (clearly studio-shot, however). Mosjoukine does not
play a "happily married man who falls in love with a circus tightrope-walker,
but a young French bachelor of aristocratic stock who runs away from his
family in the company of a music hall dancer, only to be disowned by his
outraged father.
A minor effort in the vein of the films Ermolieff had been turning out
back home in Russia and Yalta, LAngoissante aventure shows
Protazanov in an intermittently whimsical mood. There are some charmingly
composed scenes and pictorial playfulness (the opening garden party where
the available young male and female guests face off along a curving balustrade;
the visual gag with a mirror on a hotel balcony overlooking the Place
de la Concorde). But overall this is not Protazanov at his imaginative
best. He would quickly direct four other films in France including
one last collaboration with Mosjoukine before going home to Soviet
Russia via Germany.
For Mosjoukine, the film was important essentially as a calling card for
a new audience, one which had virtually never heard of him. During the
summer of 1920, four pre-emigration Russian films had been released in
France, as if to prepare French filmgoers for the imminent invasion (though,
strangely, they were distributed by Gaumont, the chief rival to Ermolieffs
industry host, Pathé!). Two of the titles were Mosjoukine vehicles,
notably Pikovaya Dama / The Queen of Spades (1916) an English
poster of which can be glimpsed in one of the movie-studio scenes in LAngoissante
aventure! Though critics were impressed by these films technical
and narrative prowess, many were repelled by their morbid subject matter.
No doubt, these criticisms did not go unnoticed by Ermolieff, Protazanov,
and Mosjoukine, who tacked on a happy end to their increasingly dark tale
in the form of that most hoary of dramatic cop-outs the "It
was all a dream! stunt.
Writing retroactively in 1927, in his monograph on Mosjoukine, journalist
Jean Arroy summed up the importance of the film: "Did you see that
strange cinematic romance entitled "LAngoissante aventure?
It was a real whiplash of nervous expression that knocked us dull Latins
out of our jaded senses. Mosjoukine was by turns merry, charming, tender,
sarcastic, pathetic, dramatic, horror-struck, brutal, despairing. A superb
rainbow of emotion!LB
LENFANT DU CARNAVAL
/ IL FIGLIO DEL CARNEVALE (Ermolieff-Cinéma, F 1921)
Dir./sc.: Ivan Mosjoukine; ph.: Fedote Bourgassoff (?); art
dir.: Alexandre Lochakoff; cast: Ivan Mosjoukine, Nathalie
Lissenko, Bartkevitch, Paul Ollivier; released: 29.7.1921; 35mm,
1264m., 62 (18 fps). Cinémathèque Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
LEnfant du carnaval è il terzo film
francese di Mosjoukine (dopo LAngoissante Aventure e Justice
dabord! [Giustizia innanzi tutto] entrambi per la regia
di Protazanov) e quello in cui egli per la prima volta dirige se stesso.
Per la trama Mosjoukine non ebbe remore ad usare la storiella melodrammatica
del misterioso orfanello, qui lasciato sulla porta di casa di un ricco
scapolo aristocratico di Nizza durante il carnevale. Il marchese (chiamato
Octave de Granier, come nellAngoissante Aventure!) decide
di adottare il piccolo e prendersi personalmente cura di lui con laiuto
del suo divertito cameriere. Essi però comprendono ben presto di
non essere allaltezza del compito ed assumono una bambinaia (Nathalie
Lissenko) che si rivelerà essere la vera madre del piccolo. La
situazione volge al melodramma quando il marchese e la bambinaia si innamorano
e progettano di sposarsi, ma il marito di lei, dato per morto, ricompare
allultimo minuto rivendicando moglie e figlio.
Mosjoukine condisce la trita vicenda (una sorta di Three Men and a
Baby [Tre scapoli e un bebè] ante litteram) con la sua tipica
commistione transgenerica di comicità buffonesca e sobrietà
drammatica. La sua tendenza a clowneggiare è stata variamente giudicata
dai critici e dagli storici (ed anche dai suoi colleghi: secondo la figlia
di Nathalie Lissenko, certi membri del suo entourage non lo trovavano
affatto divertente!), ma nei rulli iniziali di questo film lo spirito
e gli estri festosi di Mosjoukine sono davvero irresistibili. Egli ha
spesso parlato di Chaplin come del suo idolo cinematografico, pertanto
si pensa al Chaplin di One A.M. (Charlot rientra tardi)
per non parlare di quel grande dandy comico che fu Max Linder
come modello per le scene con lui ubriaco durante il carnevale di Nizza.
Cè pure un tocco di The Kid (Il monello), sebbene
questo film sia uscito negli Stati Uniti proprio mentre Mosjoukine stava
girando LEnfant (ma di sicuro, ne conosceva il soggetto tramite
gli articoli apparsi sulla stampa specializzata).
Per quanto concerne la regia, scene comiche a parte, mancano qui quasi
del tutto quei voli di fantasia che avrebbero fatto di Le Brasier ardent
un film inclassificabile e spesso emozionante. Peraltro, tra i momenti
più memorabili cè la superba ripresa iniziale: Mosjoukine,
vestito da arlecchino, si avvicina furtivo ad un sipario scuro che riempie
lo schermo e lo tira rivelando la folla che festeggia il Carnevale sulla
Promenade des Anglais sottostante. Linquadratura anticipa un sorprendente
effetto del più tardo Casanova, quando da un primissimo
piano degli occhi mascherati di Mosjoukine si passa in dissolvenza a una
veduta mozzafiato della folla che festeggia il carnevale in piazza San
Marco.
LEnfant du carnaval devessere stato un buon successo commerciale,
se più di dieci anni dopo Mosjoukine (con Alexandre Volkoff come
regista) si sarebbe lasciato convincere a farne un deplorevole rifacimento
sonoro: il penultimo chiodo sulla sua bara di icona cinematografica.
La copia qui presentata, restaurata da Renée Lichtig, non è
completa: in particolare manca una scena di duello che colpì i
recensori per bellezza della sua composizione drammatica.LB
LEnfant du carnaval was Mosjoukines third
film in France (after LAngoissante aventure and Justice
dabord, both directed by Protazanov) and the actors first
time out as his own director.
For his plot, Mosjoukine had no qualms about using the melodramatic chestnut
of the mysterious foundling here left on the doorstep of a wealthy
aristocratic bachelor in Nice during carnival. The marquis (named Octave
de Granier, as in LAngoissante aventure!) decides to adopt
the child and personally care for it, with the help of his bemused valet.
But they quickly realize their incompetence in the matter and hire a nanny,
who turns out to be none other than the babys real mother (Lissenko).
The situation takes a melodramatic turn for the worse when they fall in
love and plan to marry, but Lissenkos real husband, thought dead,
makes a typical last-minute return to claim both wife and child.
Mosjoukine seasons this bathetic story a sort of Three Men
and a Baby, avant la lettre with his own genre-hopping
brand of buffoonish humor and dramatic restraint. Mosjoukines penchant
for clowning has been variously appreciated by critics and historians
(and even his peers according to Nathalie Lissenkos daughter,
members of his entourage did not find him funny!), but in this films
opening reels Mosjoukines high spirits and clownish holiday moods
are irresistible. Mosjoukine often proclaimed Chaplin his screen god,
and one thinks of the Chaplin of One A.M. (not to mention that
great comic dandy, Max Linder) as informing Mosjoukines drunken
revels during Nice Carnival. There is also a hint of The Kid, though
Chaplins film was released in the USA at the very moment Mosjoukine
was shooting this film (still, he certainly must have known about Chaplins
plot from reports in the trade press).
As director, and apart from the comedy scenes, Mosjoukine shows little
of the flights of pictorial fancy that would make Le Brasier ardent
such an unclassifiable and often exhilarating work. But among the films
most memorable moments is the superb opening shot: Mosjoukine, in a harlequins
outfit, steals up to a dark curtain that fills the screen and yanks it
aside... to reveal the vast teeming carnival crowds on the Promenade des
Anglais below. The shot anticipates another stunning effect in the later
Casanova when an extreme close-up of Mosjoukines masked eyes
dissolves into a breathtaking vista of carnival crowds on the Piazza San
Marco.
Presumably, LEnfant du carnaval was a commercial success,
since more than a decade later Mosjoukine (with Alexandre Volkoff as director)
would indulge in a lamentable sound remake that would be the penultimate
nail in his coffin as a screen icon.
The print on view, restored by the Renée Lichtig, is not quite
complete. Missing, in particular, is a duel scene, which impressed reviewers
with its striking dramatic composition. Lenny Borger
LA MAISON DU MYSTÈRE (Ermolieff-Films
/ Films Albatros, F 1921-23)
Dir.: Alexandre Volkoff; sc.: Alexandre Volkoff, Ivan Mosjoukine,
based on the novel by Jules Mary (1921); ph.: Joseph-Louis
Mundwiller, Nicolas Toporkoff; art dir.: Alexandre Lochakoff, Edouard
Gosch; cast: Ivan Mosjoukine, Charles Vanel, Nicolas Koline, Hélène
Darly, Francine Mussey, Wladimir Strijewsky, Simone Genevois, Bartkevich;
released: 15.3.1929 (feature film version); 35mm, 3260m.,
159 (18 fps), Cinémathèque Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
La Maison du mystère appartiene a quel
manipolo di serial muti francesi che sono sopravvissuti e di cui sono
stati restaurati sia i singoli episodi della versione originale sia il
lungometraggio in cui sono stati condensati. Benché i serial (chiamati
in Francia "cinéromans" o "films à episodes")
costituissero un pezzo forte dellindustria cinematografica francese
durante e dopo la Grande Guerra, le case di produzione (specie la potente
Société des Cinéromans, affiliata alla Pathé)
erano costrette a prepararne versioni ridotte per lesportazione
e per successive ridistribuzioni nazionali. Lesule russo Joseph
Ermolieff produsse in Francia tre serial, tutti nel 1921 e tutti adattati
da "roman-feuilletons" di Jules Mary, uno specialista del genere
che ebbe un fenomenale successo e che scrisse molti famosi melodrammi
sul tema dellerrore giudiziario, argomento cui coloro i quali avevano
subito lingiustizia dellesilio come i tecnici e gli artisti
che avevano lavorato negli studi di Ermolieff a Mosca e Yalta devono essere
stati parecchio sensibili. I primi due serial, La Pocharde e La
Fille sauvage, furono diretti entrambi dallattore francese,
divenuto regista, Henri Etiévant, con cast misti franco-russi,
ma non hanno lasciato tracce negli annali della storia del cinema né
negli archivi.
Iniziata nellestate 1921 da Alexandre Volkoff (con limportante
sebbene non citato nei credits apporto dato come regista
della seconda unità da un collega dello studio, Viatcheslav Tourjansky),
la lavorazione di La Maison du mystère dovette essere sospesa
per sei mesi quando Ivan Mosjoukine contrasse la febbre tifoide. Completata
finalmente nellestate del 1922 (sotto legida di Alexandre
Kamenka e Noë Bloch, i nuovi signori della colonia cinematografica
russa di Montreuil dopo che Ermolieff aveva deciso di fare base a Monaco),
la pellicola fu presentata agli esercenti solo in novembre ed uscì
(in 10 puntate, una alla settimana) a partire dal marzo del 1923.
Il successo fu immediato ed enorme. Critici che prima avevano bollato
il serial come rozzo e triviale esagerarono perfino con gli elogi per
lelegante aggiornamento dei cliché melodrammatici praticato
in La Maison, per la sua squisita eleganza pittorica e limmaginazione
narrativa, per non parlare della completa credibilità delle interpretazioni.
Per Mosjoukine segnò, dopo quattro successi di stima, la consacrazione
definitiva e servì, ancora una volta, come vetrina per il suo multiforme
talento. Il serial lanciò anche Charles Vanel (che diede nuova
linfa alla melodrammatica scuola dei cattivi imprecanti "Maledizione!
Sconfitto di nuovo!") ed il prodigioso Nicolas Koline, un ex comico
del Teatro dellArte di Mosca giunto in Francia con il famoso cabaret
di Nikita Balief "Il pipistrello" e poi passato a Montreuil.
Quella proposta dalle Giornate è la versione condensata del serial,
il lungometraggio uscito nel 1929 e nel 1985 amorevolmente restaurato
da Renée Lichtig (che nel 1992 avrebbe concluso la sua accurata
ricostruzione della versione originale a episodi). È riduzione
fatta abbastanza abilmente da 8800 metri si passa a 3200
che acquista in ritmo quanto perde in particolari e chiarezza narrativa.
I pezzi forti ci sono quasi tutti (dalla magnifica scena delle nozze presentate
come un gioco dombre nello stile di Beardsley alla fuga dalla colonia
penale), anche se a volte sono stati accorciati (come la lotta omerica
tra Mosjoukine e Vanel nella casa sulla rupe). Il comico corteggiamento
di Hélène Darly ad opera di Mosjoukine, sotto lalbero,
è stato eliminato, come il ritorno delleroe nei panni di
un clown uninterpolazione drammatica del romanzo originale
che Mosjoukine e Volkoff dovettero lottare per imporre allautore,
il quale morì prima della fine delle riprese.LB
La Maison du mystère is one of the handful
of French silent serials to have survived and been restored both in their
original episode format and their condensed feature-length version. Though
serials (or "ciné-romans or "films à episodes,
as they were called locally) were a staple of the French film industry
in the years during and after the Great War, producers (notably the powerful
Pathé-affiliated Société des Cinéromans) were
obliged to prepare feature-length versions for export and for eventual
domestic re-release. Russian émigré producer Joseph
Ermolieff produced three serials, all in 1921, and all adapted from "roman-feuilletons
by the phenomenally successful Jules Mary, a specialist in the genre,
who penned many a famous melodrama around the theme of the miscarriage
of justice a theme that must have had special appeal for the
unjustly displaced technicians and artists of Ermolieffs Moscow
and Yalta studios. The first two serials, La Pocharde and La
Fille sauvage, were both directed by French actor-turned-director Henri
Etiévant with Franco-Russian casts, and have left a trace neither
in the annals of film history nor in the archives.
Begun in the summer of 1921 by Alexandre Volkoff (with fellow studio director
Viacheslav Tourjansky providing some important and uncredited second-unit
work), La Maison du mystère was interrupted for six months
when Ivan Mosjoukine contracted typhoid fever. Finally completed during
the summer of 1922 (under the aegis of Alexandre Kamenka and Noë
Bloch, the new masters of Montreuils Russian film colony after Ermolieff
decided to move his production base to Munich), the film was not trade-screened
until November 1922, and was finally released (in 10 weekly instalments)
starting in March 1923.
Its success was immediate and phenomenal. Critics who had previously denounced
the serial as artless, low-brow fare were almost fulsome in their praise
of the films stylish upgrading of melodramatic clichés, sheer
pictorial elegance, and narrative imagination, not to mention the utter
credibility of the performances. For Mosjoukine it was the ultimate consecration
after four succès destime, and once again served as
a showcase for his multifarious talent. But the film also opened doors
for Charles Vanel (who gives the "Curses! Foiled again! school
of melodramatic villainy a new lease on life) and the astonishing Nicolas
Koline, a former Moscow Art Theater comedian who came to France with Nikita
Baliefs famous Chauve-Souris cabaret theatre before defecting
to the Montreuil troupe.
The print on view here is the 1929 French re-release feature version of
La Maison du mystère, lovingly restored in 1985 by Renée
Lichtig. (She would only complete the painstaking reconstitution of the
original serial version in 1992.) It is a reasonably skilful condensation
of the film reduced from 8800 metres to 3200 metres which
gains in rhythm what it loses in incidental detail and narrative clarity.
Most of the major set pieces have been preserved (the gorgeous wedding
scene staged as a Beardsley-like shadow play, in silhouette; the escape
from the penal colony), though sometimes shortened (the Homeric knock-down-drag-out
fight between Mosjoukine and Vanel in the cliff-top house). Mosjoukines
buffoonish courtship of Hélène Darly under a tree has been
deleted, as has the heros return as a circus clown, a dramatic interpolation
to Marys original plot that Volkoff and Mosjoukine fought hard to
get accepted by author, who died before the film was completed.LB
LE BRASIER ARDENT / IL BRACIERE
ARDENTE (Films Albatros, F 1923)
Dir./sc.: Ivan Mosjoukine; ph.: Joseph-Louis Mundwiller, Nicolas
Toporkoff; art dir.: Alexandre Lochakoff, Edouard Gosch; cast:
Ivan Mosjoukine, Nathalie Lissenko, Nicolas Koline, Camille Bardou, Huguette
de la Croix; released: 1.6.1923; 35mm, 2152m., 105 (18 fps),
Cinémathèque Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
La prima metà del 1923 fu per Mosjoukine un periodo
molto esaltante. Il suo serial La Maison du mystère, a lungo
ritardato, uscì finalmente il 23 marzo ed iniziò a tenere
il pubblico col fiato sospeso da una settimana allaltra; nel frattempo
aveva cominciato a girare Kean diretto da Volkoff; ed il primo
giugno uscì, al famoso teatro Marivaux, la sua seconda ed ultima
fatica come regista, Le Brasier ardent, realizzato nella tarda
estate e nellautunno del 1922. Il pubblico ne fu sorpreso, scioccato
e diviso. In un articolo uscito quindici anni più tardi (mentre
Mosjoukine stava morendo in una clinica fuori Parigi), Jean Renoir ricordava
la proiezione del film e leffetto che aveva avuto su di lui: "Un
giorno al cinema Colisée [sic?] ho visto Le Brasier ardent,
diretto ed interpretato da Mosjoukine e prodotto dal coraggioso Alexandre
Kamenka. Il pubblico gridava e fischiava, scioccato da una pellicola così
insolita. Io ero in estasi
Fu così che decisi di abbandonare
il mio campo, la ceramica, per mettermi a fare film" (Le Point,
dicembre 1938). La critica in genere ne fu ammirata, sia pure con qualche
perplessità; Ricciotto Canudo non usò mezzi termini, affermando
che Le Brasier ardent era "stupefacente come i primi balletti
di Diaghilev". Visto oggi, il film risulta affascinante, a volte
estremamente originale ma, in ultima analisi, insoddisfacente ed inferiore
alla somma delle sue parti così eterogenee. Non era innovativo
come per esempio La Roue, dello stesso anno, ma, come avrebbe fatto
notare in seguito Carl Vincent, volgarizzò "le trovate, le
ricerche di espressione puramente cinematografiche del gruppo francese
dellavanguardia del tempo: Epstein, Dulac e quelle di alcuni altri
registi audaci, da Delluc agli espressionisti tedeschi".
Nellutilizzare il film come vetrina per la sua gamma interpretativa
Mosjoukine superò se stesso. Scrive in proposito Richard Abel:
"Il soggetto originale di Mosjoukine
può sembrare frettoloso
ed assurdamente incoerente, una ricetta fatta di ingredienti contrastanti
che non riescono ad amalgamarsi. Ma era stato in parte scritto in funzione
del suo umorale temperamento dattore. Il suo estro fantasioso e
il suo gusto per la commedia ne fanno un proteiforme maestro del travestimento,
capace di sintetizzare diverse tipologie di personaggi
Nella sola
scena iniziale dellincubo interpreta un eretico bruciato sul rogo,
un dandy, un prelato, un mendicante. Nel resto del film passa attraverso
una serie di personaggi contrastanti: un brillante detective, uno sciocco
buffone, un crudele maestro di ballo, un timido innamorato, un cocco di
mamma."
In questo più che in qualsiasi altro dei suoi film del tempo, Mosjoukine
deve molto ai suoi principali collaboratori, lo scenografo Alexandre Lochakoff
ed il capo operatore Joseph-Louis Mundwiller. (Contrariamente ad unaltra
delle leggende mitryane, Volkoff non fu il co-regista del film, anche
se rimase di sicuro a disposizione per dare dei consigli tecnici a Mosjoukine.)
Un giornalista dellepoca, dopo aver visitato lo studio durante la
lavorazione, descrisse la fantasia e leconomia di mezzi con cui
Lochakoff aveva ricreato nel cortile del piccolo stabilimento il canale
fiancheggiato da una strada che si vede nellincubo iniziale. (Qui
occorre sfatare unaltra affermazione di Mitry: in questo film, Boris
Bilinsky e Pierre Schildknecht non fecero da assistenti a Lochakoff, anzi
Bilinsky arrivò in Francia solo lanno dopo.)
Per quanto riguarda Mundwiller, questo grande maestro alsaziano della
luce aveva iniziato la sua carriera a Mosca, con laffiliata russa
della Pathé, prima della Grande Guerra. Oltre ad aver filmato per
primo lormai vecchio Lev Tolstoj, fu tra i pionieri della nascente
industria cinematografica russa. Tornato in Francia dopo la guerra, divenne
capo operatore dello studio di Montreuil, dopodiché lavorò
con Abel Gance (la prima parte di Napoléon, in particolare)
e Raymond Bernard (Le Joueur déchecs [Il giocatore di
scacchi]).
Purtroppo la carriera di regista di Mosjoukine terminò con Le
Brasier ardent, che si rivelò anche un grande insuccesso commerciale.
È comunque evidente il ruolo di co-regista svolto dallattore
nella gran parte dei suoi film successivi, specie quelli firmati da Volkoff,
il quale, una volta separatosi dal suo amico e ispiratore, sarebbe andato
incontro a un rapido declino professionale.LB
The first half of 1923 was a heady time for Mosjoukine.
His long-delayed serial vehicle, La Maison du mystère, finally
began to keep audiences on weekly tenterhooks as of March 23rd.
In the meantime, Mosjoukine and Volkoff had begun shooting Kean.
And on June 1st, Mosjoukines second and last solo directing
venture, Le Brasier ardent, shot in the later summer and fall of
1922, opened a first-run engagement at the celebrated Marivaux theatre.
By all accounts, the film surprised, shocked, and divided contemporary
audiences. In an article published 15 years later (as Mosjoukine lay dying
in a clinic outside Paris!), Jean Renoir recalled a screening of the film,
and its effect on him: "One day at the Colisée cinema [sic?]
I saw Le Brasier ardent, directed and acted by Mosjoukine and produced
by the courageous Alexandre Kamenka. The audience howled and whistled,
shocked by a film so different from their usual fare. I was ecstatic...
I decided to abandon my trade, ceramics, to try to make films. (Le
Point, December 1938). Critics, on the whole, were more admiring, if
perplexed. Ricciotto Canudo didnt mince his words, declaring Le
Brasier ardent as "stunning as the first ballets of Diaghilev.
Seen today, the film remains fascinating, at times strikingly original,
though finally unsatisfactory, less than the sum of its heterogeneous
parts. It was not innovative, in the sense that La Roue, for instance,
was that same year, but, as Carl Vincent would later point out, it "popularized
the strokes of inspiration and the purely cinematic experimentations in
expression of the French avant-garde group of the time: Epstein, Dulac,
and those of the other bold filmmakers, from Delluc to the German expressionists.
As a personal showcase for his acting range, Mosjoukine outdid himself.
Richard Abel writes: "Mosjoukines original scenario ... may
seem slapdash and wildly inconsistent, a recipe of oddly contradictory
ingredients that do not really blend. But it was written, in part, as
a vehicle for his own mercurial presence as an actor. His penchant for
eccentric fantasy and comedy made him a Protean master of disguise, a
synthesis of character types... In the opening nightmare alone, he plays
a heretic burning at the stake, an elegant gentleman, a bishop, and a
beggar. In the rest of the film, he shifts among a series of contradictory
personae a brilliant detective, a silly buffoon, a cruel dancing
master, a shy lover, and a mamas boy.
More than in his other films of the period, Mosjoukine was particularly
indebted to his chief collaborators, set designer Alexandre Lochakoff
and chief cameraman Joseph-Louis Mundwiller. (Contrary to another Mitry
legend with a long life, Volkoff did not co-direct the film, though
he most certainly was on hand to offer technical advice to Mosjoukine.)
A contemporary journalist visiting the studio during production described
the sheer imagination and economy of means with which Lochakoff conjured
up the opening nightmares canal street in the courtyard of the tiny
studio. (Yet again, another Mitry claim must be laid to rest: Boris Bilinsky
and Pierre Schildknecht were not assistants to Lochakoff on this film
Bilinsky, in fact, didnt arrive in France until the following
year.)
As for Mundwiller, this great Alsatian master of light began his career
at Pathés Russian affiliate in Moscow before the Great War.
In addition to being the first to capture the ageing Leo Tolstoy on film,
he pioneered cinematography in the nascent Russian film industry. Returning
to France after the war, he served as chief cameraman at the Montreuil
studio, before going on to work for Abel Gance (especially on the first
part of Napoléon) and Raymond Bernard (Le Joueur déchecs
/ The Chess Player).
Unfortunately, Mosjoukines directing career ended with Le Brasier
ardent, which was a resounding commercial failure. Yet at the same
time it is obvious that Mosjoukine was actually the co-director of most
of his subsequent films, especially those directed by Volkoff, whose career
also would go into a rapid decline once separated from his friend and
chief source of inspiration.LB
KEAN OU DÉSORDRE
ET GÉNIE / KEAN (Films Albatros, F 1924)
Dir.: Alexandre Volkoff; sc.: Alexandre Volkoff, Ivan Mosjoukine,
Kenelm Foss, from the play by Alexandre Dumas père,
Thiaulon & Courcy; ph.: Joseph-Louis Mundwiller, Fedote Bourgassoff;
art dir.: Alexandre Lochakoff, Edouard Gosch; cast: Ivan
Mosjoukine, Nathalie Lissenko, Nicolas Koline, Georges Deneubourg, Otto
Detlefsen, Kenelm Foss, Mary Odette, Albert Bras; released: 15.2.1924;
35mm, 2877m., 136 (18 fps), Cinémathèque Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
Allepoca Kean fu considerato lapice
della carriera dattore di Mosjoukine, un nobile esempio di cinema
di prestigio in cui uno dei più grandi interpreti del XIX secolo
veniva reincarnato da uno dei più grandi interpreti della nuova
forma darte del XX secolo. Da allora però la reputazione
dellelegante "superproduzione" di Alexandre Volkoff è
andata un po sbiadendosi: gli spettatori moderni si lamentano per
le lungaggini, le compiaciute cadute di tono, la magniloquenza e per una
scena di morte che tuttora è tra le più lunghe della storia
(da 15 a 20 minuti, a seconda della velocità di proiezione!). Giustamente,
Richard Abel ha manifestato il suo stupore per i "banali" e
"indistinti" allestimenti di Romeo e Giulietta ed Amleto
che si vedono in Kean, ma in effetti questo non è il Kean
le cui ardenti riletture del Bardo fecero dire a Coleridge che era come
"leggere Shakespeare alla luce dei lampi". (Per di più,
nella realtà, Kean fu un eccellente cattivo shakespeariano ma un
totale fallimento in ruoli romantici come Romeo o Amleto!)
E poi il film era un adattamento del lavoro teatrale di Alexandre Dumas
padre, il quale aveva orgogliosamente sostenuto che si poteva usare violenza
alla Storia se poi ne nascevano splendide creature, ed il film Kean
rimane, con tutti i suoi difetti, una creatura di notevole potenza drammatica
e splendore cinematografico. Si potrebbe anche aggiungere che se la recitazione
di Kean sembra curiosamente scialba, Mosjoukine e Volkoff sapevano il
fatto loro. Infatti, limpatto drammatico del copione, cui partecipò
un drammaturgo e cineasta inglese oggi dimenticato, Kenelm Foss (che interpreta
anche il malvagio Lord Mewill), sta proprio nel contrasto tra limpostazione
classica dellarte di Mosjou-Kean e la debilitante irrequietezza
bohémienne della sua vita privata, appunto il genio e la sregolatezza
del sottotitolo del film. E pur con tutta la sua lunghezza, la scena della
morte è ancora efficace nel rammentarci che, se Mosjoukine poteva
gigioneggiare, era nondimeno capace di recitare con un controllo ed un
fuoco interiore sopravvissuti alla prova del tempo.
Kean è rimasto famoso anche per uno dei più sensazionali
esempi di montaggio rapido del cinema muto francese: la scena alla taverna
del "Buco di carbone" dove un Kean sempre più esagitato
beve e danza tutta la notte, fino allo stordimento. Il montaggio ritmico
e sempre più frenetico che riflette il suo stato non è casuale:
da quando, alcuni mesi prima che iniziassero le riprese di Kean, era stato
presentato in anteprima a critici, distributori ed esercenti La Roue
(La rosa sulla rotaia) di Abel Gance, il montaggio virtuosistico era
diventato di gran moda in Francia. Basta guardare alcuni dei maggiori
film commerciali prodotti dopo La Roue per trovare almeno unesplosione
obbligata (anche se non sempre motivata) di montaggio rapido. Volkoff,
però, adottò tale soluzione con la massima eleganza. E,
infatti, come segnala Kevin Brownlow, poiché "nella prima
scena di Napoléon
[questa] sperimentazione tecnica doveva
essere portata allestremo limite, Gance si assicurò laiuto
di Volkoff".
Kean fu una delle produzioni più costose mai uscite dal
piccolo studio della Films Albatros a Montreuil. Date le dimensioni del
Drury Lane Theatre ricostruito da Alexandre Lochakoff comera nel
1830, la produzione fu costretta ad affittare altro spazio nei vicini
studi di Joinville. Ad ogni modo, la vantata "autenticità"
storica della pellicola è un curioso ibrido, con Versailles ed
alcuni hôtels particuliers assai poco inglesi che fanno le veci
di Hyde Park e delle case londinesi! Gli interni disegnati da Lochakoff
tuttavia rappresentano il momento più alto della scenografia cinematografica
francese di quegli anni.LB
In its day Kean was considered the high point
of Mosjoukines acting career, a noble example of prestige filmmaking
in which one of the greatest actors of the 19th century was reincarnated
by one of the greatest actors of a new 20th century art form. Since the
1920s, however, the reputation of Alexandre Volkoffs elegantly mounted
"super-production" has faded somewhat modern viewers
complain about the longueurs, the self-indulgent bathos, the grandiloquence,
and a death scene that still remains one of the longest on record (15-20
minutes, depending on projection speed!). Richard Abel rightly expressed
amazement about the "mundane" and "undistinguished"
quality of Keans on-stage performances in Romeo and Juliet
and Hamlet. Indeed, this is hardly the Kean whose sizzling re-readings
of the Bard Coleridge described as "reading Shakespeare by flashes
of light." (What is more, the real-life Kean excelled in Shakespearean
villains but was a flop in such romantic roles as Romeo or Hamlet!)
But then, this film was adapted from a stage melodrama by Alexandre Dumas
père, who proudly claimed that it was perfectly all right
to rape History so long as one produced beautiful children. Kean
the film remains a child of considerable dramatic power and cinematic
beauty, warts and all. One might argue that if the representations of
Keans acting indeed seem somewhat curiously staid, Mosjoukine and
Volkoff knew what they were doing. For the dramatic impact of the script
co-authored by a now-forgotten British dramatist and filmmaker
named Kenelm Foss (who also plays the malevolent Lord Mewill) resides
in the contrast between the classical decorum of Mosjou-Keans art
and the debilitating bohemian recklessness of his private life
the genius and disorder of the films subtitle. And for all its length,
that final death scene still packs a wallop, reminding us that if Mosjoukine
could chew the scenery with the best of them, he could also play with
a restraint and inner fire that has stood the test of time.
But Kean remains equally famous for one of the most sensational
examples of rapid-cutting in French silent movies: the scene at the Coaly
Hole tavern, where an increasingly agitated Kean drinks and dances himself
silly into the wee hours of the morning. The increasingly frenzied rhythmic
cutting that translates his state was not there by chance: since the trade
screenings of Abel Gances La Roue a few months prior to the
shooting of Kean, virtuoso cutting had became all the rage in French
films take a look at some of the major commercial pictures produced
after La Roues release and you will find at least one obligatory
(if not always justified) explosion of rapid editing. But Volkoff did
it with the greatest flair. As Kevin Brownlow has pointed out, when Abel
Gance "intended to take the technique [of rapid cutting] as far is
it would go in the first scene of Napoléon, he enlisted
Volkoffs help..."
Kean was one of the most expensive productions to come out of the
tiny Montreuil studio of Films Albatros. Due to the size of Alexandre
Lochakoffs recreation of the Drury Lane theatre in 1830, the production
was obliged to rent additional studio space at the nearby Joinville studios.
But the films proudly proclaimed historical "authenticity"
is curiously hybrid, with Versailles and some very un-British hôtels
particuliers standing in for Hyde Park and London town houses! Still,
Lochakoffs interiors represented a high-water mark for French film
set design of the time.LB
FEU MATHIAS PASCAL / IL FU MATTIA
PASCAL (Cinégraphic / Films Albatros, F 1925)
Dir.: Marcel LHerbier; sc.: Marcel LHerbier, based
on the novel by Luigi Pirandello (1904); ph.: Jean Letort,
Paul Guichard, Fedote Bourgassoff, Jimmy Berliet; art dir.: Alberto
Cavalcanti, Lazare Meerson; cast: Ivan Mosjoukine, Marcelle Pradot,
Lois Moran, Pierre Batcheff, Jean Hervé, Michel Simon, Isaure Douvan,
Marthe Belot, Pauline Carton, Georges Térof; released: 7.8.1925;
35mm, 3495m., 170 (18 fps), Cinémathèque Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
Benché potessero sembrare una strana coppia, Ivan
Mosjoukine e Marcel LHerbier si rivelarono un tandem vincente con
il loro eccentrico adattamento del romanzo di Pirandello su un giovanotto
che fa credere a famiglia ed amici di essere morto, per iniziare una nuova
vita sotto un altro nome. Cerano molte probabilità che la
collaborazione di due personalità così diametralmente opposte
portasse a un fallimentare conflitto (anche se Mosjoukine, così
passionale ed espansivo, spesso indicò il freddo e cerebrale LHerbier
come il regista francese da lui preso a modello insieme con Abel Gance):
bastava vedere il film che lattore aveva interpretato appena prima
del Feu Mathias Pascal, lorrendo Le Lion de Mogols.
Il giovane Jean Epstein, appena scritturato dalla Albatros per sostituire
Viacheslav Tourjansky (passato alla nuova enclave russa di Billancourt),
lottò invano contro la risibile sceneggiatura di Mosjoukine ed
al tempo stesso contro la sua volubile star. Nonostante il successo al
botteghino, il film segnò il punto più basso nelle carriere
di entrambi gli artisti e per Epstein rimase sempre un ricordo doloroso.
(Finché visse, la sorella del regista, Marie, a lungo collaboratrice
di Henri Langlois, non autorizzò mai la proiezione del film, nemmeno
alla Cinémathèque française!)
Senza dubbio LHerbier, che aveva comprato i diritti cinematografici
del romanzo con la benedizione dello stesso Pirandello ed aveva personalmente
voluto Mosjoukine come protagonista, era un cineasta più flessibile
di Epstein, così indifferente agli attori: egli capì come
incanalare nel proprio progetto artistico lampia gamma emotiva dellinterprete.
Cè una stimolante commistione di realismo e fantastico, di
gravità e giocosità, sia nella messinscena di LHerbier
sia nella recitazione di Mosjoukine; il film diventa allora ben più
di un elegante prodotto costruito in funzione del divo. (Tra i moderni
detrattori del Feu Mathias Pascal, si annovera Noel Burch che lo
definì retrogrado, pur avendo lui contribuito a rivalutare LHerbier
come uno dei grandi registi del muto.)
Fu questo lultimo film di Mosjoukine per la Films Albatros di Alexandre
Kamenka (che lo coprodusse con la Cinégraphic, la società
di LHerbier). A riprese ultimate lattore fece le valigie e
lasciò Montreuil per trasferirsi dallaltro capo della città,
a Billancourt, dove lex socio di Kamenka, Noë Bloch, aveva
appena fondato la Ciné-France-Film, affiliata francese di un nuovo
consorzio di produttori europei, la Westi. Il nuovo studio di Billancourt
sarebbe stato la base per limminente produzione targata Westi di
Abel Gance, Napoléon. Gance prese seriamente in considerazione
Mosjoukine per la parte principale del suo kolossal. Alla fine lattore
si tirò indietro facendosi dirigere da Tourjansky in Michel
Strogoff. Per molti critici e storici questo passaggio alle produzioni
commerciali internazionali ad alto budget segnò linizio del
declino artistico di Mosjoukine
LB
Though they made for very strange bedfellows, Ivan
Mosjoukine and Marcel LHerbier were a winning tandem with their
eccentric adaptation of Luigi Pirandellos early novel, about a young
man who allows family and friends to believe him dead, and begins a second
life under a new guise. By all odds, the collaboration of two such diametrically
opposed temperaments should have ended in confusion, conflict, and failure
(even if the passionately expansive Mosjoukine often held up the coldly
cerebral LHerbier as one of his two French directing models, along
with Abel Gance). One only had to look at the vehicle Mosjoukine made
just before Feu Mathias Pascal the dire Le Lion de Mogols.
Young Jean Epstein, just hired by Albatros to replace Viacheslav Tourjansky
(who had defected to the new Russian émigré studio
enclave in Billancourt), struggled in vain with both a ludicrous screenplay
by Mosjoukine and his mercurial star. Though a box-office success, the
film marked the nadir of both these two artists careers, and its
production remained a sore memory for Epstein. (So long as she lived,
the directors sister, Marie Epstein, a long-time collaborator of
Henri Langlois, refused to allow the film to be screened, even at the
Cinémathèque Française!)
No doubt LHerbier, who had bought the screen rights with Pirandellos
blessing and personally sought out Mosjoukine to star, was a more flexible
filmmaker than the actor-indifferent Epstein, and cannily understood how
he could channel the actors wide emotive range into his artistic
design. There is exhilarating interplay of realism and fantasy, gravity
and playfulness in both LHerbiers mise-en-scène
and Mosjoukines performance that makes this more than just an elegantly
carpentered star vehicle (among the films contemporary detractors,
Noel Burch, who pioneered re-evaluations of LHerbier as one of the
great silent directors, called the film retrograde.)
Feu Mathias Pascal was Mosjoukines final film under his contract
to Alexandre Kamenkas Films Albatros (which co-produced with LHerbiers
own production firm, Cinégraphic). Upon completing it, the actor
packed his bags and left Montreuil to move across town to Billancourt,
where Kamenkas former associate Noë Bloch had just created
Ciné-France-Film, the French affiliate of a new European production
consortium, Westi. The spanking-new studio at Billancourt was to be home
base for Abel Gances upcoming Westi production of Napoléon,
and Gance was seriously considering Mosjoukine to play the title role.
In the end Mosjoukine backed off and instead made Michel Strogoff
under Tourjanskys direction. For many critics and historians, this
move into big-budget international commercialism marked the beginning
of Mosjoukines artistic decline...LB
MICHEL STROGOFF (Ciné-France-Film/Films
de France-Société des Cinéromans, F 1926)
Dir.: Viacheslav Tourjansky; sc.: Viacheslav Tourjansky, Ivan
Mosjoukine, Boris de Fast, from the novel by Jules Verne; ph.:
Léonce-Henri Burel, Nicolas Toporkoff, Fedote Bourgassoff; art
dir.: Alexandre Lochakoff, Pierre Schildknecht, César Lacca,
Wladimir Meinhgardt; cast: Ivan Mosjoukine, Nathalie Kovanko, Acho
Chakatnouny, Henri Debain, Gabriel de Gravonne, Eugene Gaidaroff, Tina
de Izarduy, Boris de Fast, Wladimir Kwanine; 35mm, 3845m., 169 (20
fps), Cinémathèque Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
Nonostante le riserve che si possono nutrire nei confronti
del film e del suo protagonista, la pellicola di Tourjansky rimane a tuttoggi
la miglior versione cinematografica del famoso romanzo storico di Giulio
Verne, anzi, direi che si tratta di uno dei migliori adattamenti della
letteratura popolare mai portati sullo schermo.
Le ragioni sono molteplici: in primis, il mondo del romanzo, la Russia
imperiale dello zar Alessandro II, è ricreato da un gruppo di cineasti
russi emigrati che per la prima volta hanno lopportunità
di abbandonarsi in un film alla nostalgia per la madrepatria che è
stata loro usurpata (una doppia nostalgia, considerato che la vicenda
riguarda il loro stesso passato storico). Avendo poi da poco vissuto unaltra
specie di "esilio", da Montreuil a Billancourt, dove il produttore
Noë Bloch, separatosi dal co-fondatore della Albatros, Alexander
Kamenka, aveva creato la Ciné-France-Film, affiliata francese
del potente nuovo consorzio a maggioranza tedesca, la Westi, questi russi
si trovarono di colpo con le risorse finanziarie e tecniche per poter
ricreare gli splendori e la vastità della Madre Russia, dallopulenza
dei balli di corte (ripresi a Billancourt) al fasto primitivo del campo
dei ribelli tartari (gli esterni vennero girati in Lettonia, con un notevole
supporto logistico da parte del governo locale e delle autorità
militari).
Se però questo Strogoff funziona, gran parte del merito
va al regista-sceneggiatore Tourjansky (qui al suo lavoro migliore). Il
film ha tutta la pompa, il respiro epico ed il fascino ingenuo del romanzo
di Verne: le scene di battaglia, con tutti i loro patetici dettagli ricordano
quelle griffithiane della guerra civile di The Birth of a Nation,
mentre il ballo iniziale, con le figure danzanti alternate alle riprese
dellavanzata delle orde tartare, rivela linfluenza del montaggio
rapido di Gance non va dimenticato che nel 1925 Strogoff e
Napoléon furono girati praticamente fianco a fianco negli
studi di Billancourt (solo dopo che Strogoff fu completato, Tourjansky
avrebbe dato a Gance una mano dirigendo nel 1926 le scene della battaglia
di Tolone).
Cosa più importante ancora, Tourjansky non tradisce il coup
de théâtre finale di Verne. Se Strogoff non perde la
vista quando la sciabola arroventata viene passata sui suoi occhi, è
perché piange guardando la povera madre, non perché (come
versioni più tarde vorrebbero far credere) il carnefice sia stato
pagato per fingere laccecamento! La fedeltà con cui Tourjansky
rende per lo schermo questo miracolo fisiologico ci prepara a uno dei
grandi momenti del film: il primo piano degli occhi di Mosjoukine che
si aprono lentamente mentre il malvagio Ogareff urla impaurito: "Ci
vede!" Questo sì che è grande cinema popolare.
E poi cè Mosjoukine. Il film può anche non essere
uno dei vertici della sua carriera dinterprete, ma nella miglior
versione cinematografica del libro egli si rivela il miglior Strogoff
possibile e si ritaglia come tale una splendida, romantica figura di uomo
dazione, leale e pronto al sacrificio, nonostante alcuni infelici
cadute di stile e uninterminabile sequenza di delirio, quasi una
parodia delle scene del sogno di Le Brasier ardent e assai poco
in tono col film. In effetti queste interpolazioni sembrano essere state
il principale contributo di Mosjoukine alla sceneggiatura (che Tourjansky
affermò di aver scritto sostanzialmente da solo) e paiono suggerire
il disagio con cui lattore viveva il suo passaggio ai grandi film
spettacolari, quasi temesse che avrebbe finito col perdere la sua anima
di artista.LB
Whatever reservations one might have about the film
and its stars contribution to it, Tourjanskys film remains
to date the best screen version of Jules Vernes famous historical
romance, bar none I would even say it is one of the greatest film
adaptations of a work of popular literature ever brought to the screen.
There are several reasons for this: the first obviously being that the
world of the novel the Imperial Russia of Tsar Alexander II
was recreated by a group of émigré Russian filmmakers
who for the first time had the golden opportunity to indulge all their
nostalgia for their usurped homeland in a film (and it was a double nostalgia,
since the story was set in their own historical past). Having just taken
part in another kind of "exile from Montreuil to Billancourt,
where producer Noë Bloch, having just split with Albatros co-founder
Alexander Kamenka, created Ciné-France-Film, the French affiliate
of the powerful new German-led Westi production consortium these
Russians suddenly found themselves with the financial and technical resources
to evoke the splendors and vastness of Mother Russia from the opulence
of the imperial balls (shot at Billancourt) to the savage pomp of the
rebel Tartar camp (shot on location in Latvia, with considerable logistical
support from the local government and military).
But if this Strogoff works, most of the credit is due to writer-director
Tourjansky (in what certainly remains his best work). The film has all
the panache, epic sweep, and naïve charm of Vernes novel
the battle scenes, with their pathetic detail, are especially evocative
of Griffiths Civil War scenes in The Birth of a Nation, and
the opening ballroom scenes, with their rushing dancers intercut with
shots of advancing Tartar hordes, bear the influence of Gances rapid
cutting techniques lets not forget that Strogoff and
Napoléon were shot virtually back-to-back at Billancourt
studios in 1925! (It was only after completing Strogoff that Tourjansky
would give Gance a helping hand directing Napoléons
Toulon battle scenes in 1926.)
Most importantly, Tourjansky doesnt betray Vernes final
coup de théâtre. If Strogoff doesnt lose his eyesight
to the executioners burning hot sword, it is indeed because he sheds
tears for his poor mother and thus saves his vision not because
(as later film versions would have it) the executioner is bribed to fake
the blinding! And Tourjanskys fidelity to dramatizing this physiological
miracle prepares us for one of the films great moments: the close-up
of Mosjoukines slowly opening eyes as the villainous Ogareff lets
out a terrified cry: "He can see!This is great popular moviemaking.
And then theres Mosjoukine. This may not be one of the summits of
his acting career, but in this best of film versions of the book, he is
the best of Strogoffs, cutting a splendidly romantic figure of the man
of action, sacrifice and loyalty, despite some unfortunate moments of
bathos and a interminable delirium sequence which seems like a parody
of the dream scenes in Le Brasier ardent and is at odds with the
tone of the film. In fact, these interpolations seem to have been Mosjoukines
principal contribution to the screenplay (which Tourjansky claimed to
have basically written alone), and they suggest the actors uneasiness
about moving into large-scale spectaculars in which he might finally lose
his artistic soul.LB
CASANOVA (Ciné-Alliance
/ Société des Cinéromans, F 1927)
Dir.: Alexandre Volkoff; sc.: Alexandre Volkoff, Ivan Mosjoukine,
Norbert Falk; ph.: Léonce-Henri Burel, Nicolas Toporkoff,
Fedote Bourgassoff; art dir.: Alexandre Lochakoff, Vladimir Meingart,
Edouard Gosch; cast: Ivan Mosjoukine, Diane Karenne, Rina de Liguoro,
Suzanne Bianchetti, Jenny Jugo, Olga Day, Rudolph Kleine-Rogge, Paul Guidé,
Carlo Tedeschi, Nina Kochitz, Raymond Bouamerane, Albert Decoeur; released:
13.9.1927; 35mm, 3600m., 158 (20 fps), Cinémathèque
Française.
Didascalie in francese / French intertitles.
Sontuoso, agile, traboccante darguzia ed immaginazione,
Casanova fu il regalo daddio di Mosjoukine allEuropa
prima della sfortunata avventura professionale americana. Nel 1927 lattore
era sulla cresta dellonda: Michel Strogoff non solo aveva
riscosso un enorme successo in Europa, ma era anche stato scelto per essere
distribuito in America (dalla Universal, che al contempo offrì
a Mosjoukine un contratto per la realizzazione a Hollywood di più
film, contratto che si sarebbe rivelato peggiore di un patto col diavolo).
Sul versante della critica, le cose stavano diversamente: molti ammiratori
di Mosjoukine storsero il naso nel vederlo sprecare il suo talento in
un filmone commerciale come Strogoff, e Casanova non fece
altro che peggiorare la situazione: era una superproduzione ancor più
spettacolarmente vuota (ed altrettanto lunga!) di Strogoff e non
poteva vantare neanche lalibi letterario di Giulio Verne. Per critici
nobili come Léon Moussinac, Casanova non era riuscito ad
essere "una descrizione critica della decomposizione sociale della
Venezia del XVIII secolo, la denuncia di unepoca di bassi piaceri
e vili crudeltà".
Ma gli autori di Casanova non avevano mai preteso di avere nobili
scopi. E il pubblico, giustamente, prese il film per quello che era: un
divertissement tra i più grandi, gustosi ed eleganti mai
prodotti in Francia o in Europa. Casanova non era un film biografico,
ma una fantasia storica, una commedia epica basata su un libertino storicamente
esistito che sfruttava tutte le possibilità del film in costume
facendosi contemporaneamente beffe delle sue convenzioni (per esempio,
la splendida gag sullo strascico assurdamente lungo di Caterina la Grande).
Volkoff, qui al massimo della classe, superò se stesso scena dopo
scena, mescolando commedia raffinata e farsa, momenti di sbalorditiva
spettacolarità e marivaudage, inseguimenti picareschi e
crogiolamento nostalgico (ancor più di Strogoff, Casanova
offrì a Volkoff e compagni desilio il destro per rievocare
la patria perduta nelle Alpi francesi e sulle rive della Senna).
Per Mosjoukine il ruolo di Casanova fu un momento di pura détente
comica, fino alla parodia di sé. È evidente che egli si
diverte un mondo a parodiare i grandi seduttori di Cinelandia, incluso
se stesso. Casanova è lanti-Kean ed al tempo stesso una tra
le migliori interpretazioni comiche di Mosjoukine. Stranamente, uno dei
sostenitori del film e del suo interprete fu Jean Mitry, che ne scrisse
in termini lusinghieri in una recensione del 1927. Quarantanni dopo
avrebbe però rinnegato entrambi nella sua monografia sullattore,
riducendolo al ruolo di "élégant mannequin, régisseur
des élégances".
Casanova è stato nellera del muto il precursore
assai più riuscito di quello che oggi si definisce con disprezzo
"Europudding". I produttori, Noë Bloch e Gregor Rabinovitch,
avendo creato la Ciné-Alliance dalle ceneri della Ciné-France-Film,
con il sostegno finanziario della Société des Cinéromans
e dellUFA, decisi a realizzare il sogno di un cinema europeo che
potesse opporsi allo strapotere di Hollywood. I titoli di Casanova
sembrano un "Chi è?" cinematografico, con collaboratori
russi, francesi, tedeschi ed italiani nei posti chiave, dal miglior sceneggiatore
dellUFA, Norbert Falk, alla diva russa Nina Kochitz. Purtroppo,
partito Mosjoukine, la Ciné-Alliance entrò in crisi. La
spettacolare produzione successiva, Geheimnisse des Orients o anche
Shéhérezade (La meravigliosa notte), ispirata alle
Mille e una notte non reggeva il confronto con Casanova.
Peggio ancora, induceva a pensare che il talento di Volkoff no bastasse
senza la presenza e il contributo artistico di Mosjoukine. Quando questi
rientrò da Hollywood per ottemperare al resto del suo contratto
con la Universal negli studi berlinesi, era ormai troppo tardi. Manolescu
(Manolesco) e Der weisse Teufel (Il diavolo bianco), diretti
rispettivamente da Tourjansky e Volkoff, rappresentarono un discreto ritorno
di forma, ma nel frattempo era arrivato il cinema sonoro: per Mosjoukine
e per molti dei suoi compagni desilio la festa era finita.LB
Lavish, light-fingered, and lilting with wit and imagination,
Casanova was Mosjoukines farewell present to Europe as he
embarked on his abortive American career. In 1927, Mosjoukine was riding
the crest of the wave of his popularity: Michel Strogoff was not
only a smash hit across Europe, it had even been picked up for American
distribution (by Universal, which at the same time offered Mosjoukine
a multi-picture Hollywood contract that proved worse than a pact with
the Devil).
Critical response was another matter: many admirers sniffed at the sight
of Mosjoukine wasting his talents on such crowd-pleasing pap as Strogoff.
Casanova only aggravated the case. Here was a super-production
that was even more spectacularly vain (and just as long!) as Strogoff
(which at least boasted Jules Verne as a literary alibi). For high-minded
critics such as Léon Moussinac, Casanova failed because
it was not "a critical description of social decomposition in 18th
century Venice and an indictment of an era of crass sensual pleasure and
foul cruelty. But the makers of Casanova never made any claim
to high purpose. Audiences rightly took the film for what it was: a divertissement,
one of the biggest, funniest, and most stylish ever produced in France
indeed in Europe. Casanova wasnt a "biopic,
it was a historical fantasia, an epic comedy based on a real-life historical
rogue which exploited all the resources of the costume studio spectacular
even as it poked fun at its very conventions (e.g., the marvellous gag
involving Catherine the Greats impossibly long royal train). Volkoff,
at his most stylish, outdid himself with scene after scene, blending high
comedy and farce, eye-popping spectacle and close-quarters marivaudage,
picaresque chases and nostalgic dallyings (even more than Strogoff,
Casanova was an opportunity for Volkoff and his fellow émigrés
to conjure up their lost homeland in the French Alps and on the
banks of the Seine!).
For Mosjoukine, the role of Casanova was a pure moment of comic détente,
even of self-parody. He visibly has a grand old time sending up the great
movieland seducers, himself included. Casanova was the anti-Kean, and
one of Mosjoukines best comic performances. Ironically, one of the
films and Mosjoukines supporters was Jean Mitry, who wrote
warmly of both film and star in a 1927 review. Forty years later, he was
to dismiss both in his monograph on the actor, reducing Mosjoukine to
the role of an "elegant model, a stage manager of elegant manners.
Casanova was the silent-era template for what is today disdainfully
called "Europudding but this pudding had plenty of flavor.
Producers Noë Bloch and Gregor Rabinovitch created their new Ciné-Alliance
out of the ashes of Ciné-France-Film, and with financial backing
from the Société des Cinéromans and UFA, set out
to achieve the dream of a European cinema that could resist the Hollywood
juggernaut. The credits of Casanova read like a Whos Who,
with Russian, French, German, and Italian collaboration in key production
and cast posts from top UFA screenwriter Norbert Falk to Russian
diva Nina Kochitz. Unfortunately, with Mosjoukine gone, Ciné-Alliance
faltered. Their next extravaganza, the Arabian Nights fantasy The
Mysteries of the Orient (aka Sheherezade), was a feeble follow-up
to Casanova. Worse, it suggested that Volkoffs talents needed
Mosjoukines presence and artistic input. By the time Mosjoukine
returned from Hollywood to fulfil the rest of his Universal contract in
the studios of Berlin, it was too late. Manolescu and The White
Devil, directed by Tourjansky and Volkoff respectively, were a partial
return to form. But the talkies had arrived, and for Mosjoukine and many
of his émigré companions, the parade had gone by.LB
Schede di / Film notes by: Lenny Borger, David Robinson, Yuri Tsivian
|