Presentazione / Introduction

Schede film / Film notes

 

L’avanguardia italiana ovvero un’avanguardia inconsapevole / Italian Avant-Garde, or, An Unwitting Avant-Garde

Uno dei grandi, paradossali interrogativi della storia dell’umanità è se sia nato prima l’uovo o la gallina. Ovvero, per quanto ci riguarda, se sia stato più determinante, nel progresso scambievole dovuto alla sperimentazione, il nuovo linguaggio del cinematografo o quello in rinnovamento delle altre arti. Sul versante cinematografico non esiste quella documentazione, anche teorica, che invece accompagna lo svilupparsi delle "avanguardie" del ’900. Ma, ritrovando un film come La storia di Lulù, realizzato nel 1910 inquadrando solo le gambe e costruito sull’introduzione progressiva di oggetti (zoccoli, scarpe, sciabole, gioielli, ecc.) che determinano il significato della narrazione, non possiamo non constatare come, attraverso il cinema, sia subentrata nella cultura visiva quella concettualità che ha fatto poi fare un determinante salto qualitativo alle arti figurative del secolo appena passato. Quello che appare, allora, solo come un "modulo stilistico", e per giunta occasionale, potrebbe invece, insieme ad altri elementi di altre opere, rappresentare una delle tante gocce, che, nel tempo hanno scavato nella sensibilità degli artisti, portandoli ad una consapevolezza di derivazione indiretta, se non addirittura inconsapevole. Non è più, allora, casuale constatare ancora che la "madre di tutte le avanguardie", il futurismo, è nata proprio in Italia. Futurismo che, nel settembre del 1916, ha proposto nel Manifesto della cinematografia futurista, in modo più o meno criptico, le istanze di un progresso riconducibile ad esperienze più mature e teoricamente ben più agguerrite che sono state possibili solo nel dopoguerra.
Purtroppo, come è noto, nulla è, ad oggi, sopravvissuto della verifica operata sul campo in quel periodo. Non rimane traccia degli "accordi cromatici" dei fratelli Corradini (Bruno Corra e Arnaldo Ginna, 1912) o di Mondo baldoria (Aldo Molinari, 1914) mentre, di Vita Futurista (Arnaldo Ginna, 1916) conserviamo appena scampoli di fotogrammi, insieme ad una sommaria descrizione degli episodi che ne formavano la struttura. E non so nemmeno se auspicare il ritrovamento di queste pellicole perché nella gran maggioranza dei casi il "setaccio del tempo" ha lasciato passare le scorie e non la qualità: potrebbe essere deludente confrontarsi con una sommaria applicazione di quanto invece, teoricamente, possiamo definire addirittura profetico. Ma questo resta solo un parere personale. Così l’unico testo filmico consultabile del periodo rimane Thaïs realizzato, anche questo nel ’16, da Anton Giulio Bragaglia e Riccardo Cassano, con la collaborazione di Enrico Prampolini per le ambientazioni scenografiche, che vedremo, finalmente, con le colorazioni d’origine.
L’avanguardia, allora, perfino nell’indotto inconscio, può riguardare anche i progressi specifici negli elementi linguistici dovuti all’affinarsi della tecnologia. Se, come indica Barry Salt, il primo esempio di flashback è "made in Italy" (Le fiabe della nonna, Cines, 1908) come non parlare di sperimentalità ammirando i sapienti movimenti di macchina di Pastrone in Cabiria? Ma il film è più che noto anche nell’ultimo, definitivo, restauro e quindi non è stato inserito nella rassegna. Per il medesimo motivo, si è rinunciato allo scanzonato ma soprattutto consapevolmente visionario Maciste all’inferno (Guido Brignone, 1926) che, restaurato, ha già fatto il giro del mondo. Ancora di avanguardia, ma questa volta produttiva, si può parlare, davanti alla quantità di stranieri (soprattutto comici) chiamati a lavorare nei primi anni di industria in Italia. Opportunità poi sistematicamente ripresa da Hollywood che continua a scegliere, all’estero, il meglio del meglio tra attori, autori e tecnici.
Mentre non è possibile discutere né di normale produzione né tanto meno di sperimentazione affrontando il capitolo del cinema d’animazione di carta o d’oggetti. Se ne conserva memoria perfino, come si usava già allora, nella pubblicità, ma non risulta sopravissuto nulla. A parte i degni finali di Cretinetti che bello! e di La storia di Lulù. E tralasciando La guerra e il sogno di Momi (di Giovanni Pastrone, 1917), grande prova di abilità di Segundo de Chomón che, alla fine, risulta però un po’ troppo ripetitiva. Così come è, ad oggi, quasi impossibile ritrovare, nel cinema muto italiano, istanze innovative nel campo del documentario, al di fuori di quel primo, intenso sguardo, lucidamente oggettivo, gettato sulla follia da Camillo Negro con la complicità di Roberto Omegna (Neuropatologia, 1908) e che, per ragioni di spazio, non è possibile programmare.È lecito, allora, parlare contestualmente di "avanguardia storica italiana"? Probabilmente no se la si confronta con quanto prodotto negli anni ’20 soprattutto in Francia, in Germania o in Russia. Probabilmente sì, invece, se si considera, appunto, quanto di innovativo si è tentato, indipendentemente dai rapporti diretti con i movimenti artistici, nel forzare il linguaggio più strettamente cinematografico. Un’"avanguardia inconsapevole", allora perfino, nel comico, pre-surreale. Come mi ricorda l’amico Giovanni Lista, "Marinetti si riconosceva in Fregoli e Petrolini e questi ultimi si sentivano molto più vicini ai futuristi che a D’Annunzio". E allora, partendo proprio da Leopoldo Fregoli e passando per André Deed, Marcel Fabre e Ovaro-Kri-Kri, proveremo a verificare l’essenza anche sperimentale dello spettacolo di pura vocazione popolare. Senza poi dimenticare esperienze di palcoscenico (Comerio con il Ballo Excelsior, non essendoci più di tanto di "ritrovato" nella sceneggiata napoletana), e arrivando alla felice riscoperta di un fior di commediante come Lucio D’Ambra, precursore della leggerezza di Lubitsch.
Un’"avanguardia inconsapevole" che, verificata la sicurezza narrativa di un Luigi Maggi, ritroverà una specifica consapevolezza compiuta e sperimentale, prima con l’azzardo produttivo di un ormai maturo pittore simbolista (Giulio Aristide Sartorio), e poi, solo verso la fine degli anni ’20, con l’unico conosciuto esempio di cinema d’artista (Velocità del trio Cordero, Martina Oriani), e con la sia pur estemporanea ricerca, tra documento ed astrazione, di Corrado D’Errico che evoca analoghe esperienze europee. A parte La storia di Lulù poche, allora, le opere inedite o ritrovate di questa "avanguardia inconsapevole". Diversa invece, e coerente, mi auguro, l’ottica con cui questi film più o meno conosciuti, sono stati collegati tra di loro.

Carlo Montanaro

One of the great paradoxical questions in the story of humanity is, which came first, the chicken or the egg? Or, in our case, what was more determinant, in the reciprocal progress resulting from experiment: the new language of the cinema, or that of the renewal of the other arts? In the case of cinema we do not have the documentation, even theoretical, which on the contrary accompanied the development of the "avant-gardes” of the 1900s. But rediscovering a film like La storia di Lulù, made in 1910, which frames only feet, and is constructed on the progressive introduction of objects (clogs, shoes, sabres, jewels, etc.) which determine the significance of the narration, we cannot fail to observe how in visual culture, through the cinema, that conceptuality, which went on to make a determining qualitative leap to the figurative art of the century just passed, took over. What then appeared only as a "stylistic form”, can now, through occasional links with other elements of other works, instead be seen to represent one of the many drops that in time have penetrated the sensibility of artists, bringing them to a consciousness of indirect, if not actually unconscious, derivation. So it is no longer simply fortuitous to observe that the "mother of all avant-gardes”, Futurism, was born in Italy. Futurism, which in September 1916 proposed in the Manifesto della cinematografia futurista, in a more or less cryptic fashion, the petition for a progress referable to more mature and theoretically much tougher experiments, which would be possible only after the War.
However, as has been noted, nothing has survived till now of proven works in the field from this period. No trace remains of the "chromatic harmonies” of the Corradini Brothers (Bruno Corra and Arnaldo Ginna, 1912), or of Mondo baldoria (Aldo Molinari, 1914), while of Arnaldo Ginna’s Vita Futurista (1916) we have preserved merely fragments of photograms, together with a brief description of the episodes which formed its structure. I do not even know whether to hope for the rediscovery of this film, since in the great majority of cases, the "sieve of time” has allowed the chaff to pass and not the wheat. (Besides, it could be disappointing to confront the actual films with the theoretical writings of the time, excellent and prophetic as they are. But this is only a personal view.) Thus, the only available film of the period remains Thaïs (produced in 1916, released in 1917), directed by Anton Giulio Bragaglia and Riccardo Cassano, with the collaboration of Enrico Prampolini for the settings, which we shall finally see with its original tinting.
The avant-garde, then, even unwitting, can also concern specific progress in the linguistic elements due to refinements in technology. If, as Barry Salt suggests, the first instance of a flashback occurs in Italian cinema (
Le fiabe della nonna, Cines, 1908), how can we not speak of experimentation in admiring the masterly movement of the camera by Pastrone in Cabiria? But Cabiria is more than well-known, especially via the last, definitive restoration, and therefore it has not been included in this Giornate presentation. For the same reasons we have renounced Maciste all’inferno (Guido Brignone, 1926) — popular entertainment, yet visionary in a supremely self-conscious way — as it, too, has been widely shown. Italy can also be seen as being in the vanguard in a production sense, for we can speak of the quantity of foreigners (above all comedians) brought to work in Italy during the industry’s first years. This opportunity was subsequently systematically taken up by Hollywood, which continued to select, from abroad, the crème de la crème of actors, authors, and technicians.
It is not possible, alas, to discuss either regular production, or, still less, experimentation, with regard to the animation of drawings or objects, the reason being that — even if its memory is conserved via publicity, as was then already the usage — no actual works have survived, apart from the admirable finales of Cretinetti che bello! and La storia di Lulù. Leaving out La guerra e il sogno di Momi (Giovanni Pastrone, 1917), which, although a major proof of the skill of Segundo de Chomón, in the end becomes a bit repetitive. Today it is almost impossible to find, in Italian silent cinema, examples of innovation in the field of documentary, apart from the first, intense look, lucidly objective, cast upon the madness of Camillo Negro with the complicity of Roberto Omegna (Neuropatologia, 1908), which for space reasons it was not possible to programme.
Is it permissible, then, to speak contextually of a "historic Italian avant-garde”? Probably not, in comparison with what was produced in the 1920s, above all in France, Germany, or Russia. On the other hand, probably yes, if it is considered exactly how much innovation was attempted, independently of direct connections with current artistic movements, in forcing the more strictly cinematographic language. An "unwitting avant-garde”, then, even, in comedy, pre-surreal. As my friend Giovanni Lista reminds me, "Marinetti recognized himself in Fregoli and Petrolini, and they themselves felt much closer to the Futurists than to D’Annunzio.” And then, starting precisely with Leopoldo Fregoli, and passing via André Deed, Marcel Fabre, and Ovaro-Kri-Kri, we shall attempt to prove the equally experimental essence of the spectacle of purely popular intention. Without forgetting the experiences of the stage (Comerio, with Ballo Excelsior, evokes a popular Neapolitan theatrical genre of the pre-World War I era, of which few documents survive), and arriving at the happy rediscovery of a flowering of comedians like Lucio D’Ambra, precursor of the lightness of Lubitsch.
An "unwitting avant-garde”, which with the confirmation of the narrative confidence of Luigi Maggi would find a specific awareness, mature and experimental, before the chance appearance of an already mature Symbolist painter (Giulio Aristide Sartorio), and then only towards the end of the 1920s, with the sole example known of "cinema d’artista” (Velocità, 1930/31, by the trio of Cordero, Martina, and Oriani), and the pure, extemporaneous research, between documentary and abstraction, of Corrado D’Errico, whose work (Stramilano, 1929; La gazza ladra, 1934) evokes comparable European experiments. Apart from La storia di Lulù, then, many of these works have never before been seen, or are being rediscovered for this programme of the "unwitting avant-garde”. I hope the viewpoints of these more or less known films, though diverse, are coherent, and will demonstrate the links among themselves.

Carlo Montanaro

 

Programma 1 / Programme 1

 

PROGRAMMA LEOPOLDO FREGOLI
Copie della / All prints from Cineteca Nazionale, ad eccezione di / except DANSE SERPENTINE, proveniente da / which is from CNC Archives du Film, Bois d’Arcy.
Programma complessivo / Total programme: 35mm, 182m., 8’30" (18 fps). Tutti i film sono senze didascalie. / All the films lack intertitles.

PARTIE DE CARTES (Lumière, n.764, F 1897)
Dir.:
Leopoldo Fregoli (?); cast: Leopoldo Fregoli; 13.10m.

DANSE SERPENTINE (Lumière, n.765, F 1897)
Dir.: Leopoldo Fregoli (?); cast: Leopoldo Fregoli; 18m.

PERE COTTE (I 1898-99)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 15.40m.

DIETRO LE QUINTE I (I 1898)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 9.20m.

DIETRO LE QUINTE II (I 1898?)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 11.60m.

MAESTRI DI MUSICA (I 1898)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 14.80m.

FREGOLI DONNA (I 1898-99)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 14.30m.

BURLA AL MARITO (I 1899)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 15.20m.

FREGOLI BARBIERE MAGO (I 1899)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 15.40m.

FREGOLI BARBIERE MALDESTRO (I 1898-99)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 9.20m.

FREGOLI AL RESTAURANT (I 1898-99)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 15.50m.

FREGOLI TRASFORMISTA (I 1898-99)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 14.70m.

FREGOLI PRESTIGIATORE (Leopoldo Fregoli, I, 1898-99)
Dir./sc./cast:
Leopoldo Fregoli; ph.: Luca Comerio (?); 15.30m., dipinto a mano / hand-colored.

Leopoldo Fregoli (1867-1936), trasformista di fama internazionale, ripreso dagli operatori Lumière perfino "en travesti" in una Danse serpentine, è stato l’unico uomo di spettacolo non solo in grado di gestire (con la probabile assistenza di Luca Comerio) il Cinématographe prima che fosse messo in vendita ma anche legittimato a cambiarne il nome. Il "Fregoligraph" divenne così complemento di programma nei suoi spettacoli almeno fino al 1904. In brevi comiche anche dal vero (Pere cotte) che replicano le gag classiche di ogni prima volta al cinema. Con le "scene a trucco" di sapore meliesiano (Fregoli prestigiatore, arricchito da colorazioni perfino astratte che enfatizzano con ulteriori puntini colorati i petali dei fiori che si materializzano magicamente nelle sue mani). Con la replica di alcune trasformazioni arditamente in "primo piano" (Maestri di musica). Ma l’intuizione più straordinaria di un cinema altrimenti usuale rispetto all’epoca (macchina fissa, scenografie allestite all’aperto) è il disvelamento della dinamica dei suoi spettacoli. L’affidare, cioè, alla ormai possibile e perentoria riproduzione del reale la cronaca spicciola degli aiutanti che lo spogliano e lo rivestono con quei costumi preconfezionati anche negli accessori per fargli assumere in un istante una diversa personalità. Fregoli trasformista e Dietro le quinte I e II, proiettati sul palcoscenico alla fine dei suoi numeri dal vero, diventano la controprova oggettiva, ma proprio per questo ancora più magica, dell’abilità del grande attore. La scansione cronologica, basata su notizie ed analisi dei film, è stata messa a punto da Adriano Aprà. — CM

Leopoldo Fregoli (1867-1936), a "protean artist” of international celebrity, filmed by the Lumière cameramen even en travesti in a Danse serpentine, was the only theatrical performer not only able to exploit the Cinématographe (probably with the assistance of Luca Comerio) before it was put on sale, but who was also authorized to change its name. The "Fregoligraph” became a kind of complement to the programme of his stage show until at least 1904. His repertory included short comedies from life (such as Pere Cotte [Cooked Pears]), which repeated classic gags for the very first time in the cinema. Along with "trick scenes” in Mélièsian style (Fregoli prestigiatore), enriched with sometimes abstract coloring, emphasizing with further colored dots the petals of the flowers which magically materialize in his hand. As well as the repetition of some transformations daringly in the foreground (Maestri di musica [Maestros of Music]). But the most extraordinary realization of Fregoli’s cinema, which is otherwise usual in respect to its period (static camera, sets built outdoors), is the exposure of the dynamic of his shows. To the by this time possible and definitive reproductions of the real, he entrusts the petty activity of the assistants who undress and re-dress him with prepared costumes and accessories, enabling him to assume in a moment a different personality. Films such as Fregoli trasformista (Fregoli Quick-Change Artist) and Dietro le quinte I e II (Behi nd the Scenes I and II), projected on the stage at the end of his live numbers, become the objective countercheck of the ability of this great actor, but precisely for this reason they are still more magical. The chronological ordering, based on reviews and analysis of the films, has been established by Adriano Aprà. — CM

 

LA STORIA DI LULÙ (Ambrosio, Torino, I, 1909/10)
Dir./sc.:
Arrigo Frusta; ph.: Giovanni Vitrotti; 35mm, 140m., 6’48" (18 fps), Library of Congress. Didascalie in inglese / English intertitles.

Che sia questo piccolo film di Arrigo Frusta (Augusto Ferraris, 1875-1965) il primo anello dimenticato di una catena che lega lo spettacolo popolare ad un più vasto rinnovamento artistico? L’abbiamo ricercato perché pareva prefigurare (sempre in casa Ambrosio) l’intelligente anomalia di Amor pedestre, il film girato dalle ginocchia in giù. Un’idea difficile da datare nella primogenitura perché a febbraio del 1910 è uscito anche in Francia un film Gaumont con una simile struttura narrativa: La journée d’un pair de jambes, mentre la prima italiana di Lulù non è certificata, anche se Maria Adriana Prolo la colloca nel 1909. Rimaniamo allora in Italia. Perché abbiamo ritrovato un’opera molto ricca, che potrebbe illustrare parecchie ipotesi del Manifesto della cinematografia futurista. È felicemente narrativo, questo sì, e puntualizzato da un uso esemplare delle didascalie. E questo ai futuristi non piaceva. Ma per il resto tende ad andare oltre la superficie delle immagini, a concettualizzare la vita attraverso oggetti d’uso che, nello splendido finale (della copia che ci è stata conservata forse, in parte, incompleta), acquistano loro stessi autonomia d’esistenza prospettando, per giunta, un giudizio morale su quanto accaduto.
Ovvero la vita di una contadinella dagli zoccoloni di legno che cerca denaro e fama vendendosi nell’alta società, fino ad un ritorno di coscienza (didascalia: "La fine di Lulù") che le consente di dire, una volta per tutte, di no. Il tutto girato, per la prima volta dalle ginocchia in giù e con un finale, per la prima volta, in Italia, con soli oggetti animati a passo uno. Gli artisti, curiosi ed eccentrici, erano sicuramente frequentatori dei cinematografi. E con ogni probabilità, anche se forse in modo inconscio, prima di teorizzare poetiche alternative, si sono imbevuti di ombre in movimento progressiste come La storia di Lulù. — CM

Is this little film by Arrigo Frusta (Augusto Ferraris, 1875-1965) the forgotten first link in a chain that connects popular spectacle to a much greater artistic renewal? We have sought it out because it seems to prefigure the intelligent anomaly of Amor pedestre (another Ambrosio production), the film shot entirely from the knees down. The first manifestation of this idea is hard to date precisely, since in France in February 1910 Gaumont released a film with a similar narrative structure, La journée d’un paire de jambes, while the Italian premiere of Lulù is not established, though Maria Adriana Prolo attributes it to 1909. So we remain in Italy, because we have rediscovered a very rich work, which may illustrate many hypotheses of the Manifesto della cinematografia futurista. It is unabashed narrative, certainly, punctuated by an exemplary use of intertitles — something of which the Futurists did not approve. But otherwise it tends to go beyond the externals of the images, to conceptualize life through ordinary objects, which acquire their own autonomy of existence in the splendid finale (perhaps incomplete in parts in the surviving print), at the same time offering a moral judgement on the preceding action.
In essence, the film tells the life of a peasant girl in wooden clogs who seeks money and renown by selling herself in high society, until a resurgence of conscience (intertitle: "The end of Lulu”) permits her to say, once and for all, No. The whole story is shot, for the first time, from the knees down, and with a finale, for the first time in Italy, featuring only objects animated in stop-motion. The Futurist artists, eccentric and inquisitive, were certainly cinemagoers. In all probability, even if perhaps unconsciously, in theorizing poetic alternatives they absorbed somethingfrom progressive moving shadows like La storia di Lulù. — CM

 

AMOR PEDESTRE (Ambrosio, Torino, I 1914)
Dir./sc.
: Marcel Fabre (Marcel Fernández Peréz); cast: Marcel Fabre; 35mm, 140m., 4’ (18 fps), imbibito / tinted, restauro / restored 2001, Fondazione Cineteca Italiana. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

L’esistenza di un antecedente non diminuisce il valore del film di Fabre (18??-1929) finalmente restaurato con le colorazioni d’epoca. Che ne riprende la sostanza innovativa e chiave stilistica ma si allinea, satireggiando, alla nascente moda del mélo borghese. Qui gli oggetti in scena sono importanti ma non determinanti, confidando in una mimica sia pur parziale (sempre dalle ginocchia in giù!) per un abbozzo efficace della psicologia dei tre elementi determinanti di un adulterio. Con qualche accenno perfino feticista (l’accarezzamento della scarpa di lei mentre lui ci inserisce il bigliettino per l’appuntamento galeotto) il film scivola felicemente, senza bisogno di parole, verso l’amorale happy end. Precursore elegante di quell’irridente cinismo che continua a riempire i nostri schermi. — CM

The existence of an antecedent does not diministh the value of this film by Marcel Fabre (18?? — 1929), now restored with its period tinting. It recaptures the innovative essence and stylistic key, but aligns it, satirically, with the rising fashion of bourgeois melodrama. Here the objects on the screen are important but not decisive, relying on a selective mime (always from the knees down!) for an effective sketch of the psychology of the three determining elements of an adultery. With gestures that are even fetishist (the caressing of her shoe as he inserts in it the note for the amorous rendezvous), the film slips easily, without need for words, towards the amoral happy ending. A precursor of that indifferent cynicism which still fills our screens. — CM

 

LE MOGLI E LE ARANCE (Do.Re.Mi., Roma, I 1917)
Dir.
: Luigi Serventi; sup.: Lucio D’Ambra, Luigi Sapelli (Caramba); sc.: Lucio D’Ambra; ph.: Giulio Ruffini; art dir.: Caramba; cast: Luigi Serventi (marchese / Marquis Marcello), Myra Terribili (Caterinetta), Paolo Wullman (il barone / Baron Sanglot), Alberto Pasquali, Rina Maggi, Stella Blu; prima proiezione romana / Rome premiere: 17.12.1917; lunghezza originale / orig. length: 1919m.; 35mm, 1504m., 75’ (18 fps), imbibito / tinted, restauro / restored 2001, Cineteca Nazionale. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

Romanziere, commediografo e giornalista Lucio D’Ambra (Renato Eduardo Manganella, 1877-1939) entra nel cinema nel 1910. Della sua notevole produzione come sceneggiatore, regista (anche, come in questo caso, supervisore) e produttore si conserva assai poco al di là delle recensioni d’epoca che lo indicavano come precursore nella commedia leggera affidata ad una forma geometrica ed elegante. Durante le Giornate vedremo, all'interno di un omaggio ai più recenti ritrovamenti dambriani, anche I due sogni ad occhi aperti (1920) e La principessa Bebè (1921) da lui diretti; ma già in Le mogli e le arance (firmato, oltre che interpretato, nel 1917, dall’"idolo mondano" del periodo Luigi Serventi) si trova la conferma di queste intuizioni stilistico-narrative dell’autore-supervisore. Che offre un modello portato presto a livelli altissimi dal tedesco Ernst Lubitsch. Parlare di un "tocco alla D’Ambra" pare un po’ eccessivo. Ma, rincorrendo l’happy end nella storia d’amore tra il dandy annoiato e la timida Caterinetta, appaiono, avvicendati armonicamente in vari livelli narrativi, anche sogni e favole, contrappuntati da gustose e coreografiche iperboli visuali, soprattutto nelle azioni del gruppo compatto delle giovanissime villeggianti. L’insieme, con le caratterizzazioni briose dei personaggi di contorno, si tramuta in una felice e perfino romantica leggerezza evocativa. — CM

Novelist, playwright, and journalist, Lucio D’Ambra (Renato Eduardo Manganella, 1877-1939) entered the cinema in 1910. From his considerable production as writer, director, and producer (and also, as in this case, supervisor), very little has survived beyond the reviews of the period, which reveal him as the precursor of a light comedy of geometric and elegant style. In the course of the Giornate we shall also see, in the context of a homage to the most recent D’Ambrian rediscoveries, I due sogni ad occhi aperti (Two Dreams with Open Eyes, 1920) and La principessa Bebè (Princess Bebé, 1921), both of which he directed; but already in Le mogli e le arance (Wives and Oranges; signed, as well as performed, in 1917 by a social idol of the time, Luigi Serventi) we find confirmed the stylistic-narrative intuitions of this writer-supervisor. They offer a model quickly to be carried to the highest level by the German Ernst Lubitsch. To speak of a "D’Ambra touch”, however, seems a little excessive. But, pursuing the happy ending of the love story between the bored dandy and the timid Caterinetta, there also appear dreams and fables, harmoniously merging at various narrative levels, in counterpoint with delightful, choreographed visual hyperboles, notably in the actions of the group of young people on holiday. The whole, with the lively characterizations of the marginal characters, is transformed into a happy and even romantic evocative lightness. — CM

Programma 2 / Programme 2

 

PIÙ FORTE CHE SHERLOCK HOLMES (Itala Film, Torino, I 1913)
Dir.
: Giovani Pastrone (o/or Dante Testa); ph.: Segundo de Chomón; cast: Emilio Vardannes (Totò Travetti), Domenico Gambino (Saltarelli); lunghezza originale due episodi / orig. length of 2 episodes: 198m. + 230m.; 35mm, incompleto / incomplete, 130m., 6’ (18 fps), Museo Nazionale del Cinema. Senza didascalie / No intertitles.

Per quanto largamente lacunosa questa comica (diretta o supervisionata da Pastrone?), oltre a ribadire la genialità di Segundo de Chomón alla macchina da presa, prova a contestualizzare gli effetti speciali, rendendoli elementi narrativi di sapore surreale. Non più l’effetto fine a se stesso, eccezionale, e neppure l’effetto come complemento di una realtà altrimenti impossibile da materializzare, ma l’effetto come elemento essenziale del racconto. Certo, alla fine c’è il sogno che, come per altre opere che vedremo, riporta tutto alla normalità. Ma appare coraggioso e originale questo tentativo di spiazzamento della fisicità dei personaggi rispetto al realismo degli sfondi, interni od esterni che siano. — CM

Although very incomplete, this comedy (directed or supervised by Pastrone?), apart from confirming Segundo de Chomón’s genius with the camera, tries to contextualize its special effects, making them narrative elements of surrealist flavor. Here there is no longer the extraordinary effect for its own sake, nor the effect as complement to a reality otherwise impossible to materialize, but the effect as an essential element of the story. True, as in other works we shall view, at the end it is a dream which brings everything back to normality. But this attempt at opening up the physicality of the characters in respect of the realism of the background, interior or exterior, appears courageous and original. — CM

 

LE AVVENTURE STRAORDINARISSIME DI SATURNINO FARANDOLA (Ambrosio, Torino, I 1914)
Dir.
: Marcel Fabre (Marcel Fernández Peréz), &, non accreditato / uncredited, Luigi Maggi; sc.: Guido Volante, dal romanzo di / from the novel by Ferdinand Robida; ph.: Ottavio De Matteis; art dir.: Enrico Lupi, Decoroso Bonifanti; cast: Marcel Fabre (Saturnino Farandola), Nilde Baracchi (Mysora), Filippo Castamagna, Luciano Manara, Alfredo Bertone, Luigi Stinchi, Armando Pilotti, Dario Silvestri, Vittorio Tettoni, Oreste Grandi; prima proiezione / released: 12.1913; lunghezza originale / orig. length: 3660m.; 35mm, edizione condensata / condensed version, 1612m., 78’ (18 fps); imbibito / tinted, restauro / restored 2001, Fondazione Cineteca Italiana. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

Non resta traccia della versione originale nei quattro episodi ("L’isola delle scimmie", "Alla ricerca dell’elefante bianco", "La regina dei Makalolos", "Farandola contro Fileas-Fogg") che appaiono velocemente condensati in questa edizione, realizzata chissà quando, alla quale sono state finalmente restituite le "tinture" originali. Tratta da uno "strampalatissimo libro di avventure a metà strada tra l’imitazione e la parodia dei romanzi di Giulio Verne … corredato da un fittissimo apparato di illustrazioni" (Antonio Costa), l’opera si ispira all’originale anche sul versante iconografico, dando perfino vita, in una sequenza, a quelle ombre cinesi alle quali Robida lavorava nel parigino Chat Noir. Fabre ci trasporta dalle tempeste marine al fondo dell’oceano, dal laboratorio di uno scienziato pazzo alle insidie dei fiumi indiani, e ci proietta, infine, in un cielo percorso da belligeranti palloni frenati. Costruendo un film visionario che apre la strada ad un cinema esagerato, scanzonato e sbruffone, ripercorrendo e affinando, con una particolare e suggestiva cura fotografica e scenografica, quelle "truccherie" che stavano allora iniziando a diventare una componente fondamentale della tecnologia di un cinema di vocazione fantastica: gli "effetti speciali". — CM

There remains no trace of the original version in 4 episodes ("The Isle of Monkeys”, "In Quest of the White Elephant”, "The Queen of Makalolos”, "Farandola versus Phileas Fogg”), which was soon condensed into this version, made who knows when, whose original tinting has now finally been reinstated. Per Antonio Costa, it is based on an "excessively eccentric book of adventures halfway between imitation and parody of the novels of Jules Verne ... complemented by a very dense system of illustrations.” The original work was also inspired by the iconography of the Ombres chinoises with which Robida had worked at the Parisian cabaret Le Chat Noir, and which are actually introduced in one sequence of the film. Fabre transports us from storms at sea to the bottom of the ocean, from the laboratory of a mad scientist to the perils of Indian rivers, and finally hurls us into a sky filled with hostile immobile balloons. Constructing a visionary film which opens the way to a free-wheeling cinema of exaggeration and braggadoccio, repeating and refining, with a special and suggestive care in photography and scenic design, these "tricks” stand on the verge of becoming a fundamental component of the technology of fantastic cinema: "special effects”. — CM

Programma 3 / Programme 3

 

FARFALLE (Cines, Roma, I 1908)
Dir.:
? ; 35mm, 192m., 9’ (18 fps), colorato a mano / hand-colored, Lobster Films. Senza didascalie / No intertitles.

La ripresa dal vivo di un balletto basato sull’iterazione della "danza serpentina", viene usato come finale per una favola amorosa d’ambientazione cinese. I primi due quadri, con la cattura della ballerina-farfalla e la violenta punizione del pretendente-calabrone, rispettano una sorta di idea coreografica complessiva. Ma, nell’ultimo, la realtà documentale si trasfigura, e quell’insieme di tuniche bianche agitate con perizia sulle quali le colorazioni manuali vanno a depositarsi (forse?) casualmente in un incessante, complesso e fantasmagorico caleidoscopio, paiono (a posteriori?) anticipare quel "dinamismo cromatico" di sapore futurista di imminente certificazione (il Manifesto marinettiano, è noto, è del 1909). — CM

The direct shooting of a ballet based on the sinuous forms of the "serpentine dance” is used as the finale for a love fable with a Chinese setting. The first two shots, with the capture of the ballerina-butterfly and the violent punishment of the suitor-hornet, are in keeping with a sort of choreographic and integral idea. But finally documentary reality is transfigured, and this skilfully agitated ensemble of white tunics upon which the hand colouring is (perhaps?) casually arranged in an incessant, complex, and phantasmagoric kaleidoscope, appears (a posteriori?) to anticipate that "chromatic dynamism” of Futurist taste whose certification was imminent (in the Marinettian Manifesto, published, notably, the year after this film, 1909). — CM

 

CRETINETTI CHE BELLO! (Itala, Torino, I 1909)
Dir.
: André Deed (André de Chapais); cast: André Deed (Cretinetti); lunghezza originale / orig. length: 97m.; 35mm, 89m., 4’ (18 fps), Museo Nazionale del Cinema. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

Lo smembramento di un corpo destinato ad autoricomporsi è uno dei grandi paradossi replicati nel primo cinema comico a trucchi (vedasi lo straordinario Nouvelles luttes extravagantes di Mèliès, 1900). Deed (André de Chapais 1878-193?) lo rende il "logico" finale di una storia che inizia con una grottesca vestizione (le scarpe a punta, il bastone da passeggio), autentico valore aggiunto che fa la differenza nella paradossale avvenenza del compiaciuto e narcisistico personaggio. Il quale attirerà, come nella più classica tradizione dello spettacolo popolare, solo donne "en travesti", pronte ad una sorta di rito di cannibalismo nei confronti del maschio. Anche in questo caso l’elemento palesemente deformante pare anticipare alcuni dei più consapevoli eccessi dei dettami futuristi. — CM

The dismemberment of a body destined to re-assemble itself is one of the greatest paradoxes repeated in the early comic trick cinema (cf. Méliès’ Nouvelles luttes extravagantes, 1900). Deed (André de Chapais, 1878-193?) makes it the "logical” finale of a story which opens with a grotesque get-up (pointed shoes, walking stick), together with the true valor which makes the difference in the paradoxical attraction of the complacent and narcissistic character. Which will attract, as in the most classic tradition of popular entertainment, only women en travestie, ready for a kind of cannibalistic rite in face of the male. In this case, the clearly deforming element also seems to anticipate one of the most conscious excesses of Futurist dictates. — CM

 

UN MATRIMONIO INTERPLANETARIO / MARRIAGE IN THE MOON (Latium Film, Roma, I 1910)
Dir./sc.
: Yambo (Enrico Novelli); lunghezza originale / orig. length: 295m.; 35mm, 250m., 12’ (18 fps), Museo Nazionale del Cinema. Didascalie in inglese / English intertitles.

Chissà se Aleksej N. Tolstoj, autore del romanzo Aelita (1922) da cui Jakov A. Protazanov ha tratto l’omonimo lungometraggio (1924), ha visto questo piccolo film di Yambo (Enrico Novelli, 1876-1945) nel quale si racconta di un amore intergalattico tra un terrestre e una marziana, innescato da segnali radiotelegrafici. E se la realizzazione, con trucchi, miniature e modelli appare di una certa qual qualità rispetto all’epoca, quello che sorprende, in alcuni interni marziani, è l’abbigliamento fanta-futurista attribuito a quel popolo. Non si conoscono nomi dei collaboratori di Yambo, ma se per Aelita si è andati poi alla ricerca di una costumista "costruttivista"… — CM

Who can say if Alexei N.Tolstoy, author of the novel Aelita (1922) on which Yakov A. Protazanov based his film of the same name (1924), ever saw this little film by Yambo (Enrico Novelli, 1876-1945), which tells the story of an intergalactic love between a terrestrial and a Martian, sparked by radio-telegraphic signals? And if the realization, with tricks, miniatures, and models, appears very much of its period, what is surprising, in some Martian interiors, is the fanta-futurist clothing assigned to these people. The names of Yambo’s collaborators are not known, but they could readily have provided a "constructivist” costume designer for Aelita... — CM

 

KRI-KRI DETECTIVE / BLOOMER DETECTIVE (Cines, Roma, I 1912)
Dir.
: Ovaro (Raymond Frau); cast: Raymond Frau (Kri-Kri), Lorenzo Soderini (uno dei poliziotti / one of the policemen); lunghezza originale / orig. length: 164m.; 35mm, 487ft., 7’ (18 fps), BFI/ National Film and Television Archive. Didascalie in inglese / English intertitles.

Clown, acrobata e attrazione di caffè concerto, Ovaro (al secolo Raymond Frau 1887-1953) lavora dal 1912 al 1915 alla Cines. La sua qualità non consiste tanto nell’invenzione delle storie quanto nella facilità con cui introduce e gestisce il paradosso, facendolo rientrare nella più vieta normalità. Prefigurando (profeticamente?) alcuni dei dettami del Manifesto della cinematografia futurista. In questo caso riduce e rende trasportabile un manipolo di poliziotti che, ripresa la dimensione normale, lo aiutano a catturare dei malfattori. — CM

Clown, acrobat, and café-concert performer, Ovaro (whose original name was Raymond Frau, 1887-1953) worked at Cines between 1912 and 1915. His quality consists less in the invention of stories than in the facility with which he introduces and manages paradox, thrusting it into the most forbidden normality, prefiguring (prophetically?) some of the dictates of the Manifesto della cinematografia futurista. In this case, he reduces and renders transportable a bunch of policemen, who, resuming their normal dimensions, help him to capture some crooks. — CM

 

KRI-KRI È MIOPE / BLOOMER SHORT-SIGHTED (Cines, Roma, I 1913)
Dir.
: Ovaro (Raymond Frau); cast: Raymond Frau (Kri-Kri), Lorenzo Soderini (lo sfidante / the challenger); 35mm, 295ft., 4’ (18 fps), BFI/National Film and Television Archive. Didascalie in inglese / English intertitles.

Variazioni sulla miopia con l’ovvietà di una sistematica confusione su cose, animali e persone. "Peccato poi che Kri-Kri si rifaccia ad un espediente così umanamente reale come il difetto della vista, perché lo slittamento e lo scambio di ruolo degli oggetti e dei personaggi avrebbe permesso di toglierli ‘dal loro ambiente abituale (e di porli) in una condizione anormale (mettendo in risalto) la loro stupefacente costruzione e vita non umana (dal Manifesto della cinematografia futurista, punto 7)’ nel momento in cui Kri-Kri si inoltra sul cammino di un altro mondo entrando nel bosco. La scopa che diventa fucile, il conoscente che diventa mendicante, il mendicante che diventa cacciatore, il dipinto che diventa un volatile, il signore che diventa un portaoggetti, l’albero che diventa una persona, ecc. avrebbero ‘scomposto e ricomposto l’universo’ secondo ‘i meravigliosi capricci’ di Kri-Kri" (Cristina Zanasi, Le ultime risate, Kri-Kri comico della Cines, 1912-1915, tesi di laurea, Università di Bologna, DAMS, marzo 2002, relatore Michele Canosa). Estemporaneo nella struttura (sono due scene cucite insieme), questo Kri-Kri appare comunque verifica esemplare del suo istinto alla messa in scena. — CM

Variations on shortsightedness, resulting in a systematic confusion of things, animals, and people. "It is an error that Kri-Kri goes back to an expedient as humanly real as deficient sight, because the slipping and changing of the role of the objects and the characters might have allowed him ‘to remove them from their usual ambience (and to place them) in an abnormal condition (giving prominence to) their stupefying construction and non-human life’ (from Manifesto della cinematografia futurista, point 7), at the moment when Kri-Kri advances on the road to another world, entering the forest. The broom which becomes a rifle, the acquaintance who becomes a beggar, the beggar who becomes a hunter, the painting which becomes a winged creature, the gentleman who becomes a suitcase, the tree that becomes a person, etc., would have ‘decomposed and recomposed the unverse’ according to the ‘marvellous caprices’ of Kri-Kri.” (Cristina Zanasi, Le ultime risate, Kri-Kri comico della Cines (1912-1915) [The Last Laughs; Kri-Kri, Comic of Cines (1912-1915)], thesis prepared at DAMS, Bologna, March 2002, supervised by Michele Canosa). Extemporaneous in structure (two scenes are stitched together), this Kri-Kri film nevertheless seems a true exemplar of his instinct for mise-en-scène. — CM

 

THAÏS / LES POSSÉDÉES (Novissima-film, Roma, I 1917)
Dir./sc.
: Anton Giulio Bragaglia & Riccardo Cassano; ph.: Luigi Dell’Otti; art dir.: Enrico Prampolini; cast: Thaïs Galitzky (Vera Preobrajenska/Thaïs), Ileana Leonidoff (Bianca Stagno-Bellincioni), Mario Parpagnoli (il conte di / Count of San Remo), Augusto Bandini (Oscar), Dante Paletti, Alberto Casanova (due corteggiatori / two suitors); prima proiezione romana / Rome premiere: 4.10.1917; lunghezza originale / orig. length: 1446m.; 35mm, incompleto / incomplete, 756m., 35’ (18 fps), imbibito / tinted, restauro / restored 2001, Cinémathèque Française. Didascalie in francese / French intertitles.

Nel clima culturale dei primi anni del ’900, Anton Giulio Bragaglia (1890-1960) esordisce con le sue ricerche di visualizzazione del movimento pubblicate nel suo trattato tecnico-estetico Fotodinamismo (Nalato 1911-1913, Einaudi 1970-1980). Queste esperienze permettono a Bragaglia una "sapienza visuale" portante dei suoi successivi percorsi registici. Thaïs è l’opera prima cinematografica realizzata da Bragaglia. A tutt’oggi è la sola pellicola superstite del gruppo di film d’avanguardia cui appartiene con gli altri due lungometraggi Perfido incanto, Il mio cadavere e il cortometraggio Dramma nell’Olimpo. Prodotte da Bragaglia tra il 1916 e il 1917 in questo anno le opere sono immesse nel normale circuito di distribuzione in Italia e all’estero. Si deve ad Henri Langlois la salvezza di questo documento culturale italiano, conservato alla Cinémathèque Française di Parigi dove ho potuto identificarlo dopo che nel corso di decenni si erano diffuse notizie errate sull’identità stessa dell’opera. L’edizione francese è intitolata Les Possédées mentre il titolo originale italiano — Thaïs — è legato al nome del personaggio protagonista.
Come una pièce teatrale il film è suddiviso in quattro atti connotati da una vistosa teatralità. La vicenda è una storia mondano-sentimentale con tragico epilogo. In opposizione al divismo allora imperante Bragaglia, per i ruoli femminili, sceglie due interpreti del tutto sconosciute. Alle scene veriste girate in esterni — lungo Tevere, Pincio, Villa Strohl Fern — si alternano interno eccentrici. Le ambientazioni contrastanti, dove agiscono Thaïs e Bianca, danno rilievo psicologico alle loro opposte personalità. La rappresentazione della crisi e suicidio di Thaïs si svolge nel susseguirsi di sequenze figurative dinamiche ossessive allucinate ad esprimere stati e vibrazioni dell’inconscio. L’opera sfugge ad una rigida classificazione estetica: anche i costumi, al di là di ogni epoca, sono una libera invenzione fantastica. E Thaïs, in parrucca settecentesca e costume tra Maria Stuarda e Pierrot, ironica e ambigua, se ne va in altalena tra Futurismo e Surrealismo, Astrattismo e Optical Art. — Antonella Vigliani Bragaglia (Roma, luglio 2002)
Continuando ad ammirare l’attenzione di Antonella Vigliani Bragaglia nei confronti dell’opera di Anton Giulio, mi permetto di offrire un ulteriore contributo:
"La validità estetica di Thaïs era tutta nella raffinatezza dei costumi e degli oggetti decorativi, a cui collaborò forse Giuseppina Pelonzi- Bragaglia, la moglie di Anton Giulio, e nelle scenografie di gusto secessionista, surreale e astratto di Prampolini … Il film non era futurista nel senso marinettiano del termine" (Giovanni Lista).
Unica testimonianza sopravvissuta di un momento di grande fermento artistico-culturale Thaïs sottende sicuramente un’intenzione di ricerca. Solo che non pare farlo in modo esemplare. Non si ispira cioè ad una precisa poetica, ma raggiunge alte vette sperimentali in un impianto melodrammatico-decadente che occhieggia al classico (il mito della cortigiana Thaïs). Perché anche alcune delle notevoli intuizioni scenografiche di Prampolini (lo strepitoso finale con la trappola mortale dell’"aldilà misterioso") non risultano fuse e coerenti con l’insieme a tratti perfino naturalistico delle altre ambientazioni.
Rimane il rammarico della perdita degli altri film (in primis Perfido incanto, 1918, sempre del duo Bragaglia-Cassano, ma anche dei film "ufficiali" del futurismo) che avrebbero potuto completare un quadro che risulta, invece, parziale e più documentabile attraverso dichiarazioni di intento che con la verifica contestuale. La visione della versione restaurata a colori di quanto rimane di Thaïs (poco più della metà) può essere l’occasione più propizia per allargare il dibattito sul ruolo di Bragaglia regista innovatore anche nel campo cinematografico. — CM

Anton Giulio Bragaglia (1890-1960) came to the fore in the cultural climate of the first years of the 20th Century with his researches on the visualisation of movement, published in his technical-aesthetic treatise Fotodinamismo (Nalato 1911-1913, Einaudi 1970-1980). These experiences gave Bragaglia a "visual knowledge” informing his subsequent journeys into direction. Thaïs was Bragaglia’s first directorial work for the cinema, and so far it is the only avant-garde film on which he worked that is known to survive. Bragaglia’s cinematic oeuvre, produced between 1916 and 1917, also included two other feature films, Perfido incanto and Il mio cadavere, and a short, Dramma nell’Olimpo, all of which were presented in 1917-18 in the normal distribution circuits in Italy and abroad. The rescue of this Italian cultural document is thanks to Henri Langlois, founder and head of the Cinémathèque Française of Paris, who was able to recognise the film, after decades during which it had been variously (mis-)identified. The French version was titled Les Possédées, while the original Italian title — Thaïs — was taken from the name of the progagonist.
Like a stage play, the film is divided into 4 acts, distinguished with flamboyant theatricality. The unfolding story is fashionably sentimental, with a tragic epologue. In opposition to the then-current dominance of divismo, Bragaglia chose two quite unknown actresses for the female leads. Naturalistic scenes shot in exteriors — Lungo Tevere, Pincio, Villa Strohl Fern — alternate with eccentric interiors. The contrasting settings in which Thaïs and Bianca are presented give psychological relief to their opposing personalities. The chronicle of the crises and suicide of Thaïs unfurls in a succession of figurative, dynamic, obsessive, hallucinatory sequences, to express states and vibrations of the unconscious. The work eludes a rigid aesthetic classification: even the costumes, outside any period, are a free, fantastic invention. Thaïs, in 17th-century wig and costumes somewhere between Mary Stuart and Pierrot, swings, ironic and ambiguous, between Futurism and Surrealism, Abstract and Op Art. (Antonella Vigliani Bragaglia, Rome, July 2002)
Admiring the perception of Antonella Vigliani Bragaglia in looking at the work of Anton Giulio, I would like to offer an additional comment, by Giovanni Lista: "The aesthetic validity of Thaïs was all in the refinement of the costumes and the decorative objects, on which Giuseppina Pelonzi-Bragaglia, the wife of Anton Giulio, probably collaborated, and in the scenic design of Prampolini, with its Secessionist, surreal, and abstract taste. The film was not Futurist in the Marinettian sense of the term.”
A unique surviving testimonial of a moment of great artistic-cultural ferment, Thaïs undoubtedly represents an intent to experiment. Except that it does not seem to do it in an exemplary fashion. It is not inspired by a precise poetic, but places high experimental peaks within a melodramatic-decadent base, which looks to the classic (the myth of Thaïs the courtesan). Partly because some of the notable scenic realizations of Prampolini (the clamorous finale with the mortal trap of the "mysterious beyond”) prove not to be merged and coherent with the whole, given the even naturalistic aspect of some of the other settings.
There remains regret for the loss of the other films, above all Perfido incanto (1918), again by the duo Bragaglia-Cassano, but also of the "official” films of Futurism. They might have made it possible to complete a picture which instead must remain partial, and must be documented through declarations of intent rather than by contextual verification. The screening of the restored version, with tinting, of what remains of Thaïs (little more than half) should prove a propitious occasion to extend the debate on the role of Bragaglia as an innovative director in the field of cinema. — CM

Programma 4 / Programme 4

 

LE FIABE DELLA NONNA / GROSSMUTTER’S MÄRCHEN (Cines, Roma, I 1908)
Dir.:
? ; lunghezza originale / orig. length: 230m.; 35mm, 464ft., 7’ (16 fps), BFI/National Film and Television Archive. Didascalie in tedesco / German intertitles.
"Il primo esempio conosciuto di narrazione in flashback lo si trova nel film Cines Le fiabe della nonna" (Barry Salt, Film Style Technology: History and Analysis, 2a ed. ampliata, Londra, Starword, 1992).

Ma, come Salt specifica, si tratta, in questo caso, di un incastro che vede al centro la visualizzazione di quanto raccontato e non una azione accaduta ai personaggi della storia e destinata a diventarne parte integrante; come era già avvenuto nel 1901 con Histoire d’un crime di Ferdinand Zecca, con l’apertura di una sorta di finestra in doppia esposizione su un’inquadratura fissa. Qui, all’inizio e alla fine, una nonna intrattiene i suoi nipotini, e anche se il flashback è una favola, strutturalmente, è così che funziona questo elemento semantico. Celebriamo, allora, questa "prima volta" italiana. Che in più, ed è probabilmente l’idea più interessante del film, nel flashback offre anche, tramite uno specchio magico, la visione di un’altra avventura parallela ambientata altrove. Potrebbe iniziare così quel gioco delle scatole cinesi che, in opere di più vasto respiro, introduce progressivamente, l’uno dentro l’altro, i tipici elementi di un racconto a suspense. — CM

"The earliest known example of a narrated flashback occurs in the Cines film Le fiabe della nonna…” (Barry Salt, Film Style Technology: History and Analysis, 2nd expanded edition, London: Starword, 1992). But, as Salt specifies, in this case it is a matter of the core of the film being the visualisation of something that is related, and not an action that is happening to the characters of the story and destined to become an integral part; as had already happened in 1901 with Ferdinand Zecca’s Histoire d’un crime, with the opening of a kind of window in double exposition on a fixed framing. Here, at the beginning and at the end, an old lady amuses her grandchildren, and even if the flashback is the fable she relates, it is thus that, structurally, this semantic element functions. It is in this context that we celebrate this Italian "first”. Perhaps the most interesting idea of the film is that it offers, in flashback, through a magic mirror, the vision of another parallel action located elsewhere. In this way it might initiate that game of Chinese boxes which, in works of broader scope, progressively introduces, one within another, the typical elements of a suspense story. — CM

 

NOZZE D’ORO (Ambrosio, Torino, I 1911)
Dir.
: Luigi Maggi; sc.: Arrigo Frusta; ph.: Angelo Scalenghe; cast: Alberto Capozzi (il nonno/il bersagliere / grandfather/the Bersagliere), Mary Cléo Tarlarini (la nonna/la contadina / grandmother/peasant girl), Luigi Maggi (il padre della contadina / peasant girl’s father), Giuseppe Gray (l’ufficiale degli Austriaci / Austrian official), Paolo Azzurri (il capitano dei Bersaglieri / captain of the Bersaglieri), Mario Voller Buzzi, Ernesto Vaser; lunghezza originale / orig. length: 450m.; 35mm, 389m., 19’ (18 fps), Museo Nazionale del Cinema. Didascalie in italiano e francese / Italian and French intertitles.

Notevolissimo e perfino eccessivo esempio di effettivo "racconto all’indietro". Nel senso che solo due inquadrature fisse, all’inizio e alla fine, ci parlano della ricorrenza delle nozze d’oro. Mentre la gran parte del film, in flashback, racconta sì dell’incontro casuale che porta alla conoscenza del nonno e della nonna, ma racconta soprattutto, tentando un innesto di introspezione psicologica, un eroico episodio del Risorgimento italiano (Palestro, 1859). Messo in scena con un notevole ritmo e con un grande senso dell’inquadratura (la profondità di campo soprattutto negli interni, i personaggi che entrano di spalle,…) e del paesaggio. Le truppe italiane che escono, nei campi, dai covoni fanno perfino pensare al viscontiano Senso. Ma è meglio fermarci qui. — CM

A very remarkable and even excessive example of "reversed narrative”, in the sense that only two fixed sequences, at the beginning and the end, are concerned with the Golden Wedding anniversary. While the major part of the film deals with the casual meeting which brings together the grandfather and grandmother, it above all relates, attempting a connection of psychological introspection, a heroic episode of the Italian Risorgimento (Palestro, 1859). Directed with a notable rhythm, a fine sense of framing (particularly the depth of field in interiors, the characters who enter from behind…), and use of landscape. The Italian troops who come out from the sheaves in the field even recall Visconti’s Senso. But it is better to stop there…. — CM

 

EXCELSIOR (Luca Comerio, Milano, I 1913)
Dir.
: Luca Comerio; sc.: dal / based on Ballo Excelsior (1881) di / by Luigi Manzotti (ballo / dance) & Romualdo Marenco (musica / music); coreografo / choreographer: Luigi Manzotti; messa in scena / staged by: Enrico Biancifiori; mus.: Armando Dominici; art dir.: Caramba (Luigi Sapelli); cast: Eugenia Villa (Luce / Light / prima mima / first female mime), Armando Berruccini (Oscurantismo / Obscurantism / primo mimo / first male mime), Vittorina Galiberti (Civiltà / Civilization / prima ballerina); prima proiezione / first screening: 12.1913; lunghezza originale / orig. length: 2000m.; 35mm, incompleto / incomplete, 450m., 16’ (20 fps), imbibito / tinted, Cineteca Nazionale. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

Singolare "azione cine-fono-coreografica". Il "Ballo Excelsior, titanica lotta sostenuta dal Progresso contro il Regresso" era stato concepito nel 1881 per celebrare, in sintetica progressione, il modernismo. Replicato entusiasticamente in tutto il mondo, "fu forse il ballo italiano di maggiore successo dell’Ottocento e sicuramente l’unico a rimanere in repertorio sino ai nostri giorni" (Flavia Pappacena) e divenne, nel 1913, una straordinaria impresa produttiva non scevra da implicazioni legali tra Comerio, produttore e regista, e la Casa Sonzogno, detentrice dei diritti musicali nonché, di fatto, in parte, co-produttrice. La suddivisione in quadri (sopravvivono il I°, L’Oscurantismo e gran parte del II°, La Luce) è stata filmata ora ricostruendo dal vero ambientazioni anche di sapore storico, ora allestendo un enorme palcoscenico. Davanti al quale la macchina da presa è stata fissata molto in alto inquadrando — anche nell’unico campo più stretto, ingrandito (teleobiettivo?) e montato in asse — in plongée, esaltando così il movimento coreografico. Un uso preciso delle colorazioni sostituisce i cambiamenti di luce e di scena in questa sorta di "proto-musical" che, unico nella storia del primo cinema, ha avuto scarsa diffusione, soprattutto all’estero, per la difficoltà di gestione di un evento (durerebbe complessivamente 90 minuti) impossibile da attuare senza l’utilizzo di un grande teatro e di una grande orchestra. — CM

A unique "cine-phono-choreographic” event, "The Excelsior Dance, the Titanic Struggle of Progress against Decline” was conceived in 1881 to celebrate, in synthetic progression, modernism. Enthusiastically taken up throughout the world, "it was perhaps the most successful Italian dance of the 19th Century, and certainly the only one to remain in the repertory until our own times” (Flavia Pappacena). Finally it became, in 1913, an extraordinary production undertaking not free from legal implications between Comerio, the producer and director, and the firm of Sonzogno, holders of the musical rights as well as de facto part co-producers. The subdivision in pictures (those which survive are the first, Obscurantism, and a large part of the second, Light) was filmed sometimes reconstructing from real settings and with historical flavour, sometimes using an enormous stage, in front of which the camera was fixed at a very high angle framing — even in the single very narrow field, enlarged (telephoto lens?) and mounted on an axis — in plongée, thus emphasizing the choreographic movement. A very precise use of coloring compensates for the changes of light and scene in this (as it were) "proto-musical”, unique in the history of the early cinema. The film had very little distribution, especially abroad, owing to the difficulty of organising an event (it would run in all 90 minutes) impossible to perform without the use of a very big theatre and a very big orchestra. — CM

 

FAUNO (Ambrosio, I 1917)
Dir./sc.
: Febo Mari; ph.: Giuseppe Paolo Vitrotti; cast: Febo Mari (il mito/il fauno / the myth/the faun), Nietta Mordeglia (Fede, la modella / the model), Elena Makowska (Femmina, la principessa / the princess), Vasco Creti (Arte, lo scultore / the sculptor), Oreste Bilancia (Astuzia, il principe / the prince), Ernesto Vaser (il carrettiere / the carter), Giuseppe Pierozzi (un giocatore / a gambler), Fernando Ribacchi; prima visione romana / first Rome screening: 6.12.1917; lunghezza originale / orig. length: 1385m.; 35mm, 1325m., 72’ (18 fps), virato e imbibito / tinted and toned, Cineteca del Friuli / Suomen elokuva-arkisto. Restauro effettuato all’interno del Lumière Project nel 1994 in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino e con la Cinémathèque Royale di Bruxelles; copia del 2002 colorata col metodo Desmet. / Restored under the LUMIERE Project, 1994, in collaboration with the Museo del Cinema, Turin, and the Cinémathèque Royale/Koninklijk Filmarchief, Brussels. This copy made in 2002, colored using the Desmet process. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

Diverse opere appartengono al periodo "decadente" del cinema italiano che scivolerà presto verso tematiche sempre più disperate che faranno la fortuna delle nostre "dive". Febo Mari (Alfredo Rodriguez, 1881-1939) è stato uno dei maggiori artefici di questa tendenza databile tra il 1915 e il 1920. Ha interpretato, scritto, diretto, anche con la supervisione di personaggi come Pastrone, film costruiti su un possibile (per allora) approfondimento psicologico, connesso anche alla creatività o ispirato ad illustri fonti letterarie (Cenere da Grazia Deledda, 1916, con Eleonora Duse; Casa di bambola da Ibsen, 1919). Il Fauno è un suo soggetto originale. Che materializza, nel sogno, una propensione amorosa espressa con il prender vita di una statua d’ispirazione mitologica. È un’opera che porta all’eccesso ogni, peraltro prevedibile, comportamento: agli occhi di oggi un po’ romanzo d’appendice e un po’ kitsch. Eppure la cura delle atmosfere sottilmente sensuali, concretizzate nella splendida fotografia di Vitrotti, e l’assenza reale delle emozioni che sono illustrate e non partecipate ce lo fanno preferire ad altre sue opere più celebrate come Il fuoco (1915) o Tigre reale (1916). Mari lavora in sottrazione, come se la forma potesse quasi rendere superfluo il contenuto. — CM

Various works from the "decadent” period of Italian cinema quickly slide towards the more extravagant themes that made the fortune of our "divas”. Febo Mari (Alfredo Rodriguez, 1881-1939) was one of the main authors of this tendency, which we can place between 1915 and 1920. He acted, wrote, and directed (also with the supervision of such figures as Pastrone) films based on the degree of psychological exploration that was possible at that time, and often connected to creativity or inspired by celebrated literary sources (Grazia Deledda’s Cenere, 1916, with Eleonora Duse; Ibsen’s A Doll’s House, 1919). Fauno is his own original story. In the dream, an amorous inclination materialises, expressed through the coming to life of a statue of mythological inspiration. The film is a work in which all behaviour, however predictable, is carried to excess: to today’s eyes a sort of serial romance, and a shade kitsch. Yet the care for a subtly sensual atmosphere, realised in the splendid camerawork of Vitrotti, and the real absence of emotions, which are only illustrated and not shared, make Fauno superior to other more celebrated works by Mari, such as Il fuoco (1915) or Tigre reale (1916). He works through subtraction, as if the form might render the content almost superfluous. — CM

Programma 5 / Programme 5

 

COME FU CHE L’INGORDIGIA ROVINÒ IL NATALE DI CRETINETTI (Itala Film, Torino, I 1910)
Dir.
: André Deed (André de Chapais); cast: André Deed (Cretinetti); lunghezza originale / orig. length: 252m.; 35mm, 237m., 11’ (18 fps), Museo Nazionale del Cinema. Didascalie in francese / French intertitles.

L’eterna lotta tra un bene ed un male esemplificati con la logica dell’illustrazione popolare, la stessa delle amatissime — all’epoca — "passioni" qui allegramente — ma anche sontuosamente, scenograficamente parlando — sbertucciate. Una sorta di maliziosa celebrazione della perdita dell’innocenza dato che nessun bambino potrebbe, né per sogno né per incubo da indigestione, avere una visione così trasgressivamente distorta dei "gestori ufficiali" dell’aldilà. Un’intuizione, volendo, perfino di sapore blasfemo che, senza peraltro minimamente offendere, apre la strada a ben altro tipo di contaminazioni. — CM

The eternal struggle between good and evil exemplified with the logic of popular illustration, like the "Passions”, well-loved at the time, and here cheerfully — but also sumptuously, in terms of staging — deformed. A kind of malicious celebration of the loss of primal innocence — though no child could, either in dreams or indigestion-inspired nightmare, have a vision so transgressively distorted of the "official managers” of the afterlife. An intuition, wilful, even blasphemous in taste, which, without however giving the least offence, opens the way to other types of contamination. — CM

 

KRI-KRI FUMA L’OPPIO / PATACHON ALS OPIUMSCHUIVER (Cines, Roma, I 1913)
Dir.
: Ovaro (Raymond Frau); cast: Raymond Frau (Kri-Kri); lunghezza originale / orig. length: 123m.; 35mm, 117m., 5’30" (18 fps), Fondazione Cineteca Italiana. Didascalie in olandese / Dutch intertitles.

L’oppio, si sa, crea visioni surreali. Kri-Kri incontra così due alter-ego che poi si autodistruggeranno: uno di costoro è la sua riflessione su uno specchio che si dissocia dall’originale. Essenziale e perfetta l’esecuzione delle esposizioni multiple. — CM

Opium is known to create surreal visions. Thus Kri-Kri encounters two alter egos who then autodestruct: one of them is his reflection in a mirror, which dissociates itself from the original. The execution of the multiple exposures is essential and perfect. — CM

 

KRI-KRI SENZA TESTA / PATACHON HEEF ZIJN HOOFA VERLOREN (Cines, Roma, I 1913)
Dir.
: Ovaro (Raymond Frau); cast: Raymond Frau (Kri-Kri), Lea Giunchi (la miliardaria americana / the American billionairess), Gildo Bocci (il concorrente / the rival); 35mm, 161m., 6’ (18 fps), virato / toned, Fondazione Cineteca Italiana. Didascalie in olandese / Dutch intertitles.

L’evento escogitato per conquistare la bella ma capricciosa miliardaria americana è "uscir di testa". E Kri-Kri esegue, inseguendo poi, acefalo, la sua appendice pensante. Raymond Frau si distingue, nei film che abbiamo presentato rispetto ai suoi egregi colleghi comici contemporanei, ricostruendo un mondo sottilmente dissonante, nel quale l’anomalia (l’"effetto speciale"), più che stupire o ammaliare, punta al puro divertimento, con garbo, sobrietà e grande attenzione formale. Siamo davanti ad un personaggio che probabilmente sarebbe da analizzare più a fondo. — CM

The event thought up to conquer the beautiful but capricious American billionairess is "to lose his head”. And Kri-Kri does just that, thereafter pursuing, headless, his thinking appendage. In the films we have presented, Raymond Frau is distinguished, in respect of his excellent comic contemporaries and colleagues, by recreating a subtly dissonant world in which the anomaly (the "special effect”), rather than intended to amaze or charm, aims at pure amusement, with grace, sobriety and great formal care. We are in the presence of a personage who probably merits much deeper analysis. — CM

 

L’UOMO MECCANICO (Milano-film, Milano, I 1921)
Dir./sc.
: André Deed (André de Chapais); ph.: Alberto Chentrens; cast: André Deed (Modestino detto/known as Saltarello), Valentina Frascaroli (Mado, l’avventuriera / the adventuress), Gabriel Moreau (Prof. D’Ara), Mathilde Lambert (Elena D’Ara), Ferdinando Vivas-May (Ramberti), Giulia Costa; prima visione romana / first Rome screening: 25.10.1922; lunghezza originale / orig. length: 1821m.; 35mm, incompleto / incomplete, 850m., 35’ (19 fps), virato e imbibito / tinted and toned, Cineteca del Comune di Bologna. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

Modernismo ed elettricità. Quante farse fatte di automatismi, di manomissioni della realtà, votate, nel finale, a terribili esplosioni sono state costruite sbeffeggiando il progresso tecnologico! Deed va oltre, prefigurando l’automa della fantascienza futuribile e identificando come "meccanico" quanto dovrebbe in realtà essere almeno "elettrico" se non già "elettronico". Ignoranza, sfiducia verso un pubblico che poteva non capire? Forse niente di tutto questo. Forse solo un’intuizione basata su una realtà che veniva da lontano (gli automi meccanici sette-ottocenteschi) e che, tramite un improbabile utilizzo della tecnologia (la visione a distanza — la TV! — per lui è un "quadro luminoso") poteva diventare elemento di sorpresa e contrapposizione in un intreccio probabilmente più diffusamente costruito (la parte andata perduta) sulla comicità e destinato ineluttabilmente, come in molte delle opere di corto respiro targate "Cretinetti", ad una conclusione catastrofica. Progresso inconsapevole? Probabilmente. Più certo sul versante allegramente trasgressivo e voyeuristico se, malgrado il massacro censorio lamentato dalla critica d’epoca, qui e là permangono ancora superfici proibite di epidermide femminea. Michele Canosa ha segnalato collegamenti tra l’immagine del robot e l’iconografia futurista contemporanea. — CM

Modernism and electricity. How many comedies dealing with automation and tampering with reality, with a grand finale devoted to terrible explosions, have been created to make fun of technological progress? Deed goes further, anticipating the automata of future science fiction, and identifying as "mechanical” what would in reality be at least "electric”, if not already "electronic”. Ignorance? Mistrust of a public which could not understand? Perhaps neither. Perhaps only an intuiion based on a reality which came from a distant past (the mechanical automata of the 18th and 19th centuries), and which, by means of an improbable use of technology (vision at a distance — television! — is for him a "luminous picture”) could become an element of surprise and juxtaposition, in an interweaving that was probably constructed at greater length (part of the film is lost) on the comic quality, and inescapably destined, as in many of the breathless works labelled "Cretinetti”, to a catastrophic conclusion. Unwitting progress? Probably. More confident on the lightly transgressive and voyeuristic side. Despite the censorship massacre lamented by the critics of the period, there still remain here and there forbidden surfaces of feminine skin. Michele Canosa has pointed out links between the image of the robot and contemporary Futurist iconography. — CM

 

STRAMILANO (Istituto Nazionale Luce "presentato da Za Bum", Roma, I 1929)
Dir.
: Corrado D’Errico; 35mm, 396m., 17’ (20 fps), Istituto Luce. Senza didascalie / No intertitles.

Una premiata ditta di varietà (Za Bum di Mario Mattoli e Luciano Ramo) che ha prodotto una canzone di successo (Stramilano) ispira o fa da garante produttivo per un’opera del tutto anomala nel panorama italiano ma che, se si vuole, conferma il legame tra lo spettacolo popolare e il futurismo. Corrado D’Errico (1902-1941) giornalista, collaboratore di Mario Camerini e poi regista di finzione, iniziando a lavorare per il Luce, firma un documentario impressionistico, non narrativo, che si allinea con gli affreschi di città sperimentali degli anni ’20. Descrivendo, dall’alba a tramonto, una Milano vitale e industriosa e soffermandosi appena un po’ troppo (pubblicità occulta?) sulle industrie tessili e sul relativo indotto allora agli esordi: il mercato della moda. L’opera rimane molto attenta (con sovrimpressioni e contemporaneità d’immagini sullo schermo) nell’identificazione anche minimale di situazioni e gesti, applicando una dinamica di sapore futurista che, focalizzando il lavoro, mai dimentica l’elemento umano. Uno stile ed un approccio che D’Errico replicherà in un successivo (1933) Ritmi di stazione, Impressioni di vita n.1 sulla stazione Termini di Roma, costruito su una straordinaria colonna sonora fatta di rumori contrappuntati di strappi sinfonico-ritmici (Gershwin, Honegger). — CM

A prize-winning variety company (Mario Mattoli e Luciano Ramo’s Za Bum) which had produced a hit song ("Stramilano”), inspired or guaranteed production for a work which is quite anomalous in the panorama of Italian cinema, but which, if one wishes, confirms the links between popular spectacle and Futurism. Corrado D’Errico (1902-1941), journalist, collaborator of Mario Camerini, and subsequently director, began work for Luce with this impressionist, non-narrative documentary, which aligned with the frescoes of the experimental city of the 1920s. Describing, from dawn to midnight, a Milan that is vital and industrious, it dwells a little too much (hidden publicity) on the textile industy, and on a related activity (just starting), the fashion market. The work remains very careful (with superimpositions and contemporaneity of images on the screen) in the identification even of minimal situations and actions, applying a dynamic of Futurist flavour which, focalising work, never forgets the human element. This was a style and approach which D’Errico was to repeat in his subsequent Ritmi di stazione, Impressioni di vita n.1 (1933), filmed at Rome’s Stazione Termini. It is constructed on an extraordinary soundtrack composed of realistic sounds, in counterpoint with rhythmic-symphonic snatches (Gershwin, Honegger). — CM

 

VELOCITÀ (Futurista Film, Torino, I 1930/31)
Dir.
: (Tina) Cordero, (Guido) Martina, (Pippo) Oriani; sc.: Cordero, Martina; art dir.: Oriani; 35mm, 368m., 13’ (24 fps), Cineteca Nazionale. Senza didascalie / No intertitles.

"Velocità appartiene alla tendenza più radicale della cinematografia d’avanguardia della fine degli anni Venti, di cui adotta il linguaggio costruendosi sul puro concatenamento non narrativo e non sintattico delle immagini" (Giovanni Lista). Arriva proprio a cavallo tra muto e sonoro questa opera totalmente "d’artista" che, all’origine, in una prima fase di circolazione anche in Francia, pare durasse novanta minuti. A lungo dispersa, è stata recentemente ritrovata in una ulteriore versione estremamente concentrata, montata con la collaborazione del francese Eugene Deslaw, grande amico dei futuristi. Per quanto in modo essenziale testimonia, al di là della poetica palese, un interesse e una inventiva tecnico-stilistica tipica dell’indipendente motivato, capace di evocare con mezzi appropriati ed incisivi per quanto semplici e artigianali. La versione del film in programma proviene da un originale conservato al BFI/National Film and Television Archive e ricavato da una copia appartenente alla collezione della London Film Society ed evidentemente acquisita negli anni Venti. — CM

"Velocità belongs to the more radical tendency of the cinematographic avant-garde of the late Twenties, from which it adopts language constructed on the pure non-narrrative and non-syntactic montage of the images.” (Giovanni Lista)
This totally artistically conceived work arrived just at the changeover between silents and sound, and originally, in its first phase of distribution, in France as well, seems to have had a running time of 90 minutes. Long vanished, it has recently been rediscovered in an extremely concentrated later version, edited with the collaboration of the (Ukrainian-born) French director Eugene Deslaw, a great friend of the Futurists. However essentially, it evidences, beyond its obvious poeticism, an interest and a technico-stylistic inventiveness typical of the motivated independent, able to evoke with appropriate and incisive means, however simple and craftsmanlike. The present print is copied from an original in the BFI/National Film and Television Archive, deriving from the collection of the London Film Society, which evidently purchased it in the 1920s. — CM

 

LA GAZZA LADRA, estratto da / extract from "La Rivista Luce n.2" (Istituto Nazionale Luce, Roma, I 1934)
Dir.
: Corrado D’Errico; 35mm, 64m., 2’33" (24 fps), Istituto Luce. Senza didascalie / No intertitles.

Come in altre parti del mondo, con l’avvio del sonoro, anche in Italia si sono prodotte delle Riviste più o meno lunghe, fatte di corti di varia ispirazione e consistenza, prima della dimensione di un lungometraggio, poi più succinti "fuori programma" seriali, con intenti più o meno sperimentali. L’Istituto Luce diede a Corrado D’Errico la responsabilità di queste Riviste Luce. La gazza ladra, l’unico film d’animazione astratta del panorama cinematografico italiano nasce grazie a questa opportunità. "Le figure astratte che D’Errico mette in movimento per visualizzare la sinfonia di Rossini sono diverse e autonome tra loro: ventagli, cerchi, sfere, spirali regolari, triangoli, stelle, curve spezzate ecc. … la notazione segnica del dinamismo musicale non ha nulla della fragilità o della delicatezza delle grafica simbolista e secessionista che traspariva ancora nei disegni di Ginna. L’immediatezza plastica delle forme e delle linee in movimento ricorda invece la grafica pubblicitaria dell’epoca". Citiamo ancora Giovanni Lista anche perché è grazie alle sue insistenze che il Luce ha deciso, essendo andata perduta la colonna sonora della Rivista Luce N.2, di ricercare in Archivio ritrovandolo, almeno per questo breve saggio sperimentale, il disco originale sul quale ha lavorato D’Errico, e di ricostruire con questo materiale d’epoca la copia del film che qui si presenta per la prima volta. — CM

As elsewhere in the world, the coming of sound saw the production in Italy of riviste (reviews) of varying lengths, made up of items of varied inspiration and texture, initially of feature length but then in the more succinct form of "extra-to-the-programme” serials, with more or less experimental intention. The Istituto Luce assigned Corrado D’Errico the responsibility for their Riviste Luce. La gazza ladra, the only abstract animated film in the panorama of Italian cinema, came into being thanks to this opportunity. "The abstract figures which D’Errico puts in movement to visualise Rossini’s symphonic overture are distinctive and autonomous in themselves: fans, circles, spheres, regular spirals, triangles, stars, broken curves, etc. The graphic notation of the musical dynamism has nothing of the fragility or delicacy of the Symbolist and Secessionist graphics which were still appearing in Ginna’s drawings. The plastic immediacy of the forms and lines in movement rather recall publicity graphics of the era.” We again quote Giovanni Lista, because it is thanks to his insistence that Luce decided, since the soundtrack of Rivista Luce N.2 was considered lost, to search in their archive to find the original disc on which D’Errico worked, and to use this period material to reconstruct the film, a copy of which is here presented for the first time since its original release. — CM

 

IL MISTERO DI GALATEA (Giulio Aristide Sartorio, I 1918-19)
Dir./art dir.
: Giulio Aristide Sartorio; cast: Marga Sevilla (Galatea), Giulio Aristide Sartorio (Mamurzio), gli abitanti di / the inhabitants of Antocoli Corrado; lunghezza originale / orig. length: 5 rulli / reels, c.1200m.; trascrizione su supporto video / copied onto video; 68’ (19 fps), imbibito / tinted, Eredi Sartorio. Didascalie in italiano / Italian intertitles.

SOLO VIDEOPROIEZIONE / VIDEO PROJECTION ONLY

Esordio completamente autogestita di un notevole pittore di scuola simbolista. Giulio Artistide Sartorio (1860-1932) ha poi scritto e diretto Il sacco di Roma (1920, co-regia Guazzoni) e San Giorgio (1921), due film all’epoca indicati come figurativamente ispirati. Capacità già presente in questa opera prima costruita sull’adesione ad alcuni dei più diffusi movimenti culturali del periodo, dalla letturatura (D’Annunzio), alla fotografia (von Gloeden), alla pittura (lo stesso Sartorio, ma anche Gemito, Michetti ed altri), ma ancora incerta sul piano cinematografico. Non tanto nelle ambientazioni assai felici (gli esterni e in particolare la processione finale nel paese in festa) ma proprio per una necessità espressiva non ancora supportata dalla padronanza del linguaggio. Come poi spesso accade agli esordienti (seppur quasi sessantenni…), si cerca di dire tutto subito, e questa mancanza di controllo comporta, in questo caso, lentezze narrative non del tutto giustificate dalla ispirata, pagana ritualità del mito rappresentato. Con i suoi limiti Il mistero di Galatea rimane comunque una testimonianza unica della volontà di utilizzo trasversale di un cinematografo potenzialmente capace di riunificare nel suo farsi le altre forme di umana creatività. — CM

Il mistero di Galatea marked the completely independent debut of a notable painter of the Symbolist school, Giulio Artistide Sartorio (1860-1932), who subsequently wrote and directed Il sacco di Roma (The Sacking of Rome, 1920; co-directed by Guazzoni) and San Giorgio (1921), two films regarded at the time as figuratively inspired. This quality was already present in this first work, based on adherence to some of the most varied cultural movements of the period, in literature (D’Annunzio), photography (von Gloeden), and painting (Sartorio himself, but also Gemito, Michetti, and others), though still uncertain on the cinematographic plane. Not so much in the very apt setting (the exteriors and in particular the final festive village procession), but peculiarly through an expressive necessity not yet supported by a command of cinematic language. As is often the case with debutants (even at almost 60 years old), Sartorio wants to say everything at once, and this lack of control here results in some narrative slowness not entirely justified by the inspired, pagan ritual of the myth represented. With all its limitations, Il mistero di Galatea nevertheless remains a unique testimony to its creator’s will, of his transverse use of a cinema potentially capable of re-unifying the other forms of human creativity. — CM

 

Schede di / Programme notes by:
CM: Carlo Montanaro